L’imperatore Nerone è stato uno dei personaggi più controversi della storia. Amato dal popolo e odiato dal Senato, temuto dai nemici per la sua fama di tiranno egocentrico e crudele. Vissuto tra il 37 ed il 68 d.C., è ricordato soprattutto per l’incendio di Roma del 64 e per i gravi delitti di cui si macchiò, tra cui l’uccisione della madre Agrippina. Ma c’è una storia che non tutti conoscono.
La leggenda
Un’antica leggenda narra che l’imperatore Nerone, inseguito dai congiurati e ormai consapevole di stare per cadere nelle mani dei nemici, si fece uccidere dal suo servo, non essendo abbastanza coraggioso per farlo da solo.
Il suo corpo venne seppellito in un bosco di pioppi in Piazza del Popolo, da lui stesso voluto per abbellire la zona, e venne piantato un noce vicino alla sua tomba, per onorarlo.
Il nome della piazza deriva proprio da populus, che in latino significa “pioppo”.
Poco dopo la morte dell’imperatore però, iniziò a diffondersi tra i romani la leggenda che il luogo scelto per la sua tomba fosse maledetto e infestato da spiriti malvagi e che streghe e presenze negative vi praticassero riti malefici durante la notte.
Questa credenza con il passare degli anni divenne sempre più diffusa e difficile da gestire per le autorità ecclesiastiche, poiché il popolo chiedeva loro aiuto per essere liberati dalla maledizione, credendo che Nerone sarebbe presto ritornato dagli Inferi come l’Anticristo.
Nel 1099 Papa Pasquale II (1053-1118) decise di intervenire, esortando i cittadini alla preghiera e ad osservare tre giorni di digiuno, e lui stesso si ritirò in clausura a meditare. Gli apparve in sogno la Madonna, che gli indicò come via per la liberazione dalle presenze maligne quella di abbattere il noce, disseppellire le spoglie di Nerone, bruciarle e spargerle nel Tevere.
Pasquale II fece come indicato dalla Vergine nell’apparizione e liberò la piazza e il popolo dalla maledizione e dalle paure che lo affliggevano.
Nel posto in cui sorgeva il mausoleo dei Domizi Enobarbi, fece costruire una cappella dedicata alla Madonna e trasferì il monumento della Tomba di Nerone sulla Via Cassia. La zona infatti porta ancora oggi questo nome, ma in realtà il sepolcro ospita le spoglie del Prefetto Publio Vibio Mariano e di sua moglie Regina Maxima.
La Chiesa di Santa Maria del Popolo
Nel 1227 il diffondersi di un’epidemia fece riaccendere la leggenda della maledizione di Nerone, attribuendo tutto quello che succedeva di brutto all’ira dell’imperatore poichè era stata demolita la sua tomba. Intervenne allora Papa Gregorio IX (1170-1241), che fece trasportare nella Cappella di Santa Maria del Popolo l’icona bizantina della Madonna del Popolo, che si trovava nella cappella del Santissimo Salvatore in Laterano e che si riteneva fosse stata realizzata da San Luca Evangelista.
La Madonna del Popolo divenne così la protettrice di Roma, e la cappella venne ampliata e arricchita negli anni, fino al 1472 , quando Papa Sisto IV (1414-1484) la fece ricostruire completamente realizzando l’attuale chiesa, che prese il nome di Santa Maria del Popolo.
Nella seconda metà del XV secolo divenne una delle prime chiese rinascimentali, con interventi degli artisti più importanti, come Bramante, che realizzò il coro a forma di conchiglia, Raffaello a cui si deve la Cappella Chigi, ed il Pinturicchio che decorò la Cappella Della Rovere. Il Bernini poi, tra il 1655 ed il 1660, si occupò dei lavori di restauro, in tipico stile barocco.
Ma le leggende non finiscono qui.
Il monumento di Giovanni Battista Gisleni, un morto in carcere
All’interno della chiesa c’è il monumento funebre dell’architetto barocco Giovanni Battista Gisleni.
Uno scheletro che simboleggia la Morte scolpito in marmo giallo chiuso dietro una grata, come in prigione.
Secondo un’antica credenza infatti, alcuni membri dell’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte, che seguivano la missione di dare degna sepoltura ai morti abbandonati nelle campagne o sulle sponde del Tevere, una notte bussarono alle porte della chiesa portando un cadavere, ma i frati non aprirono. Per tutta risposta, sfondarono la porta e lasciarono il povero defunto nella chiesa. Un gesto davvero sgradito al papa, che, non sapendo chi fossero gli autori di un simile affronto, decise di punire la Morte, mettendola in carcere.
In realtà la tomba era stata ideata dal Gisleni stesso, che aveva previsto nei minimi particolari come sarebbe stato il suo monumento funebre: nella parte superiore raffigurato da vivo, nella parte inferiore scolpito come scheletro da morto, su cui si può leggere rispettivamente “Neque hic vivus” (Né qui vivo) e “Neque illic mortuus” (Né lì morto), nel senso che quando si è vivi non lo si è completamente perché destinati a morire, e quando si è morti, non lo si è del tutto perché c’è un’altra vita dopo. Un modo ironico per esorcizzare la morte e dimostrare le sue capacità come architetto, pittore e scultore.
Le due fontane sarcofago
A piazza del Popolo ci sono altri legami con le sepolture e il mistero. Due fontane sarcofago risalenti al III secolo d.C., un tempo alimentate dall’Acquedotto Vergine e poi nel Settecento usate come abbeveratoio e lavatoio.
Si trovano una a ridosso della Chiesa di Santa Maria del Popolo, ornata con un medaglione in cui sono raffigurati due coniugi, l’altra accanto alla Caserma dei Carabinieri, un tempo sede delle guardie papali, ed è decorata con la figura di un personaggio maschile togato.
I fantasmi del Muro Torto
In Piazza del Popolo, oltre al fantasma di Nerone, si racconta che ce ne fossero molti altri, infatti era qui che venivano eseguite le condanne a morte del tristemente famoso Mastro Titta, il boia di Roma, per conto del governo pontificio.
Qui impiccagioni, decapitazioni, torture e molto altro, venivano spettacolarizzate per far capire al popolo cosa si potesse rischiare non obbedendo alle leggi del tempo.
Tra Piazza del Popolo e l’adiacente Piazzale Flaminio esisteva un cimitero dove venivano sepolti tutti coloro che non erano ritenuti degni, quindi ladri, assassini, stranieri, prostitute, e i due giovani carbonari di cui c’è ancora una targa, Angelo Targhini e Leonida Montanari, che vennero ghigliottinati dal famoso boia nel 1825, divenuti poi simbolo e ispirazione durante i moti risorgimentali.
La leggenda narra che lungo il Muro Torto la notte appaiano gli spiriti dei ghigliottinati da Mastro Titta, che dall’Ottocento vagano nella zona non trovando pace.
Tra fantasmi e misteri, da Nerone alle povere anime dei ghigliottinati, la zona è sempre stata teatro di avvenimenti storici, episodi singolari e curiose vicende, che ancora oggi rendono questo posto misterioso e affascinante, popolato da chissà quali presenze….
Photo credit: Laura Spadella