Sul Monte Celio a Roma, nascosta in gran parte alla vista, c’è una delle più antiche chiese cristiane, quella di Santo Stefano Rotondo, così chiamata per via della sua forma circolare, unica nella sua struttura insieme al Pantheon, al Mausoleo di Adriano e alla chiesa di Santa Costanza.
Si accede da un piccolo cancello, passando per una stradina che attraversa un curatissimo giardino e che conduce fino all’entrata.
La Chiesa è antichissima, risale alla metà circa del V secolo, fu consacrata da Simplicio, durante il suo pontificato tra il 468 ed il 483, e con molta probabilità fu voluta da papa Leone I (440-461) che qualche anno prima aveva iniziato a dare disposizioni per la sua costruzione.
La Chiesa antica
La chiesa venne costruita sopra edifici romani preesistenti, fu eretta infatti sulle rovine di una caserma, i Castra Peregrinorum, e del Mitreo poco distante, un piccolo edificio per il culto del dio Mitra, risalente al 180 e riportato alla luce durante gli scavi del 1973-1975. Secondo un’altra ipotesi, poi accantonata, la chiesa era stata costruita riutilizzando la struttura del Macellum Magnum, cioè il mercato ai tempi di Nerone, oppure di un palazzo imperiale, comunque un edificio lussuoso ed elegante. Sicuramente i numerosi reperti rinvenuti dimostrano che vi fossero intorno all’area dei luoghi sacri. Durante il sacco di Roma del 410 la caserma e il vicino palazzo della famiglia senatoriale dei Valeri furono distrutti e su queste rovine venne costruita la chiesa dalle dimensioni monumentali.
Santo Stefano, il primo martire cristiano
La venerazione di Santo Stefano come primo martire cristiano aveva dato l’impulso per la costruzione del luogo di culto, nato come chiesa commemorativa dedicata al santo e la sua monumentalità rappresentava un’eccezione nell’arte sacra romana del V secolo. Stefano era stato il primo dei sette diaconi scelti per aiutare gli apostoli nella diffusione del Vangelo, e fu il primo cristiano ad aver sacrificato la vita per testimoniare la fede in Cristo. Il suo martirio, avvenuto per lapidazione, è descritto negli atti degli apostoli.
L’interno
Entrando l’effetto è straordinario. Si rimane abbagliati dalla luce e dall’imponenza della struttura. E’ un esempio unico di architettura paleocristiana romana. L’edificio monumentale era organizzato in diversi spazi, un ambiente centrale e due ambulacri intorno, realizzando una forma singolare che vedeva la sovrapposizione della pianta circolare a quella a croce greca. La forma originaria è visibile oggi solo nell’ambiente centrale, il primo ambulacro ed il braccio nord-est.
Una particolarità è che la chiesa non è orientata, cioè mancano un ingresso monumentale e un abside. Al centro c’è il tamburo circondato da 22 colonne in granito con capitelli ionici in marmo. Proprio la forma rotonda fece pensare già nel X secolo che fosse il tempio di Fauno, una divinità pagana molto venerata all’epoca.
Le modifiche
Dopo essere stata una tra le più sfarzose costruzioni dell’antica Roma, espressione della rinascita paleocristiana, la chiesa cadde in rovina per molto tempo fino all’epoca rinascimentale.
Negli anni subì varie modifiche, restauri e ristrutturazioni. Di notevole importanza fu quello realizzato tra il 1452 ed il 1454, commissionato da papa Niccolò V all’architetto e scultore fiorentino Bernardo Rossellino, su progetto di Leon Battista Alberti, che ne curò la pavimentazione e collocò al centro l’altare di marmo su cui venne posizionato un tabernacolo di legno intagliato, che poi fu spostato nell’ambulacro.
Il progetto era ispirato alla pianta della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ritenuta il massimo esempio di luogo di culto e fede, ma anche di architettura cristiana.
La basilica oggi
Gestita fino al 1580 dai paolini ungheresi, da allora appartiene al Pontificio collegio germanico-ungarico in Roma, un convitto per sacerdoti tedeschi diretto dai Gesuiti, ed è la chiesa nazionale di Ungheria. E’ stata eretta basilica minore ed è una delle chiese stazionali di Roma.
Il Martirologio del Pomarancio
Niccolò Circignani, detto il Pomarancio (1517-1597), dipinse le pareti della chiesa. Gli affreschi riportano le scene del martirio di Santo Stefano. Un ciclo che inizia con la Strage degli innocenti, la Crocifissione di Gesù, il Martirio di Stefano, i supplizi degli Apostoli. Il non consueto realismo e la violenza delle 24 scene colpiscono brutalmente l’osservatore.
Le rappresentazioni crude delle torture hanno impressionato negli anni anche visitatori illustri come Charles Dickens, che nel X capitolo del suo “Pictures from Italy”, afferma che “Nessuno potrebbe sognare un tale panorama di orrore”.
La concezione alla base degli affreschi era quella di invitare i fedeli e soprattutto gli allievi del seminario a condurre una vita onesta e morigerata all’insegna di Cristo.
Un luogo sacro unico nel suo genere
Santo Stefano Rotondo al Celio è un esempio di architettura paleocristiana unico nel suo genere. Poco nota agli stessi romani, nascosta in cima ad uno dei colli più alti, custode e testimone di una storia antichissima nel cuore della Capitale.
Photo credit: Laura Spadella