Camminando lungo la bellissima Via Giulia a Roma, vicino all’arco Farnese, non si può non notare la facciata di una chiesa un po’ particolare, è quella di Santa Maria dell’Orazione e Morte, appartenente al Rione Regola.
Sul portone d’ingresso campeggiano enormi teschi alati posti su pilastri e incoronati da ramoscelli di foglie. Sulla sommità una clessidra, anche questa con delle ali, chiaro simbolo del tempo che scorre e della fugacità della vita.
Ai lati due graffiti con le fessure per le elemosine ricordano a chi passa che la morte prima o poi toccherà a tutti….
”Hodie mihi, cras tibi” (”Oggi a me, domani a te”) apostrofa uno scheletro con enormi ali nell’incisione del riquadro a sinistra, invitando a fare delle offerte per la lampada perpetua del cimitero, mentre in quello di destra un altro scheletro alato, la Morte, tiene in mano una clessidra e, seduta su una lapide, osserva un cadavere, mentre esorta ad offrire delle “elemosine per i morti che si pigliano in campagna”.
Proprio a questo è legata la storia della Chiesa.
La Confraternita
Nel 1522 Papa Giulio III Del Monte istituì la Confraternita dell’Orazione e Morte per dare una degna sepoltura ai cadaveri trovati nelle campagne o nel Tevere, e pregare per le loro anime. I membri di quella che divenne poi, nel 1560, l’Arciconfraternita, erano conosciuti come i “Fratelli della Morte”, ed erano davvero caritatevoli a portare via i cadaveri abbandonati dalle zone malsane o affogati nel fiume, con le modeste lettighe di cui disponevano o addirittura in spalla.
La loro missione venne portata avanti fino all’Unità d’Italia, perché da quel momento le sepolture vennero prese in carico dal sistema delle istituzioni pubbliche. Da allora (1861) il compito dell’Arciconfraternita è quello di pregare per le anime dei defunti e gestire la chiesa di via Giulia.
La Chiesa
I confratelli nel 1572 acquistarono il terreno che all’epoca era un’area di campagna sulle sponde del Tevere, e avviarono la costruzione della Chiesa nel 1575, consacrata l’anno successivo, un oratorio e un grande cimitero dove seppellire i poveri cadaveri abbandonati, scopo della loro missione.
Il gusto del macabro, i simboli, le sculture, le iscrizioni legate al tema della morte, caratterizzano ogni angolo dell’edificio, tra teschi alati, scheletri incastonati nei muri, tibie incrociate, putti piangenti e così via.
L’interno
L’architetto che progettò la Chiesa originaria fu Giacomo Della Porta. Nel corso dei secoli poi l’edificio subì numerosi restauri e modifiche, fino alla riedificazione, tra il 1732 ed il 1737, su progetto dell’architetto Ferdinando Fuga.
L’interno è a pianta ellittica e colonne corinzie sostengono il soffitto a cassettoni. La cupola ovale sovrasta le cappelle laterali, dedicate ai santi e ricche di pregiate opere d’arte. Tra queste una copia del 1750 del San Michele Arcangelo di Guido Reni (1635), protettore degli agonizzanti dagli attacchi del demonio, raffigurato mentre con la mano destra brandisce la sua spada contro il diavolo incatenato e gli schiaccia la testa con il piede sinistro.
Di Giovanni Lanfranco sono gli affreschi che rappresentano Sant’Antonio Abate, San Paolo di Tebe e San Simeone Stilita. La pala con la Crocifissione di Ciro Ferri, della metà del Seicento, impreziosisce l’altare maggiore, mentre la Vergine con il Bambino venne donata alla Chiesa nel 1577 dal duca Cesare Glorieri.
Il cimitero
Il cimitero era molto grande, si sviluppava sulle rive del fiume e in parte era sotterraneo. Vi furono seppelliti oltre 8000 cadaveri di persone ignote. Sui teschi veniva inciso l’anno della morte, le cause se si conoscevano, ed il luogo del ritrovamento.
Con la costruzione dei muraglioni del Tevere nel 1886, il cimitero venne quasi completamente demolito.
La cripta
E’ la parte più macabra e inquietante dell’edificio, ma anche la più interessante per la sua singolarità: attraverso un corridoio che segue la pianta ellittica della chiesa, si accede all’antico Coemeterium, ciò che rimane del cimitero, e che è accessibile ancora oggi, tra scritte che ricordano la caducità della vita, esortazioni a pregare per le anime dei defunti, e simboli di morte ovunque.
Scendendo nella cripta un teschio con due tibie incrociate sulla porta indica l’accesso all’ossario, dove ogni arredo, dai lampadari, alle sculture, alle decorazioni, è fatto con le ossa dei cadaveri che un tempo vi erano seppelliti.
Un altare con una croce fatta interamente di teschi, scheletri incastonati nei muri, ma anche una riproduzione de “Le sette opere di misericordia corporale” del Caravaggio, tra cui c’è proprio quella di dare sepoltura ai morti, ricorda la missione. Vi sono anche delle testimonianze storiche dell’operato dei confratelli, come delle lettighe e barelle con cui i cadaveri venivano trasportati.
Il ruolo religioso e sociale
La Confraternita era un’associazione laica, che ha svolto una missione di misericordia veramente importante in tutti gli anni in cui è stata attiva.
Grandi erano la devozione e l’impegno verso un compito difficile come quello di cui si facevano carico. Vestiti con un lungo abito e un cappuccio neri, anche per proteggersi da contagi e infezioni dai cadaveri, hanno svolto un ruolo sociale e religioso nello stesso tempo. Non solo infatti restituivano dignità a dei poveri corpi abbandonati o gettati nel fiume, di cui nessuno si occupava o non aveva i mezzi per farlo, avendo pena e cura di dare loro una degna sepoltura, ma anche pregavano per loro, per il suffragio delle loro anime. Spesso infatti erano vittime di morti violente oppure appartenevano a famiglie che non erano in grado di provvedere alle esequie. In ogni caso, l’operato dei confratelli ha svolto una funzione ammirevole, carica di devozione e rispetto per il prossimo.
Tutte le foto presenti in questo articolo sono di Laura Spadella. Si prega di non utilizzare se non previa autorizzazione dell’autrice.
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