Piazza Bocca della Verità
Foto di Gianni Crestani da Pixabay

Piazza Bocca della Verità: tradizione e leggenda

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Nel rione Ripa a Roma c’è una delle piazze più belle e ricche di storia di tutta la città, è piazza della Bocca della Verità. Si trova di fronte all’Isola Tiberina, una zona un tempo animata dal Foro Boario, il mercato del bestiame, e dal vicino Foro Olitorio, il mercato delle erbe e generi alimentari, situati vicino al Tevere e al Porto Tiberino, dove venivano trasportati i prodotti che sarebbero stati venduti nelle botteghe.

 
Foto Adobe Stock

La Bocca della Verità

Per drenare e pulire la zona dai rifiuti dei mercati, il re Tarquinio il Superbo fece realizzare la Cloaca Maxima, in funzione fino ai giorni nostri, che raccoglieva anche le acque piovane e gli scarichi delle terme e delle abitazioni private, attraversando gran parte della città per poi sfociare nel Tevere. Un tempo era una struttura a cielo aperto , ma con la costruzione di molti edifici nella zona fu necessario coprirla ed inserire dei tombini, che non erano certo come quelli di oggi, ma grandi, di marmo, decorati a bassorilievo e perfettamente funzionanti, posti a breve distanza l’uno dall’altro.

Tra quei tanti chiusini, uno è diventato famosissimo, simbolo della romanità nel mondo e avvolto nella leggenda. L’enorme lastra di marmo ha la forma rotonda di un mascherone raffigurante il volto di un uomo con la barba, spesso infatti i tombini avevano le sembianze di divinità fluviali, soprattutto nelle zone più importanti, come quella dei fori imperiali. Gli occhi, il naso e la bocca sono forati per permettere il fluire dell’acqua, il volto è circondato da alcuni simboli tra cui uno scarabeo, due teste di lupo, due chele di granchio. E’ databile intorno al I secolo d.C., ha un diametro di 1,75 metri e un peso di circa 1 tonnellata e 300 kg. 

Molte sono le leggende che avvolgono il famoso disco di marmo, da quelle medievali che raccontavano che dietro di esso si nascondesse il diavolo, fino a quella del suo utilizzo per provare o meno la fedeltà delle mogli. Da quest’ultima deriva proprio il nome “Bocca della Verità”, usato per la prima volta nel 1485, perché si diceva che , se non si fosse stati sinceri infilando la mano nella bocca, questa sarebbe stata mangiata o tagliata, e molti mariti vi conducevano le proprie mogli per metterle alla prova.

Il tombino è conservato dal 1632 nel pronao della Basilica di Santa Maria in Cosmedin, una chiesa del primo Medioevo con uno splendido campanile, e ogni giorno è possibile notare file di turisti che sfidano il mascherone inserendo la mano nella sua bocca. 

Piazza della Bocca della Verità negli anni però divenne tristemente famosa come uno dei luoghi romani di giustizia: qui infatti venivano eseguite le pene capitali per lo Stato Pontificio, ad opera del celebre Mastro Titta, il cosiddetto Boia di Roma, ricordato per aver decapitato 516 condannati tra il 1796 ed il 1864.  Il patibolo fu eretto l’ultima volta nel 1868, per l’esecuzione di Monti e Tonnetti, autori del fallito attentato alla caserma degli Zuavi pontifici in Prati.

Oltre alla chiesa, la piazza include due splendidi templi, quello di Ercole e quello di Portuno, entrambi del II secolo a.C., l’Arco degli Argentari e la più recente Fontana dei Tritoni.

Foto L. Spadella

Il Tempio di Ercole Vincitore

Spesso erroneamente confuso con il Tempio di Vesta del Foro Romano per via della notevole somiglianza e la pianta circolare, è antichissimo, risale infatti al II secolo a.C. Venne dedicato ad Ercole Olivario, protettore dei commercianti. E proprio da un mercante, Marcus Octavius Herennius, fu commissionato all’architetto Hermodoros di Salamina. Una statua in bronzo, opera dello scultore greco Skopas Minore, era collocata al suo interno. Oggi la si può ammirare ai Musei Capitolini, dove è custodita. L’attribuzione del piccolo tempio è stata fatta proprio grazie ad un’iscrizione su un blocco, probabilmente parte della base della statua, che riportava il nome di Hercules Holivarius e di Skopas minore, vissuto nel II secolo a.C. E’circondato da venti colonne corinzie in marmo ellenico, in parte sostituite con il restauro ordinato nel XV secolo d.C. dall’imperatore Tiberio dopo i danni provocati da una grave inondazione.

Al tempio si recavano anche i gladiatori romani dopo che erano stati liberati per appendervi le loro armi dedicandole ad Ercole Vincitore , e da questa tradizione deriva il detto “appendere al chiodo”, quando si lascia definitivamente un’attività.

Nel XII secolo fu poi trasformato in una chiesa, quella di Santo Stefano delle Carrozze, infine  a metà del XVI secolo fu dedicato a Santa Maria del Sole, dopo il ritrovamento di un’immagine miracolosa della Madonna nel Tevere che emetteva un raggio di sole. All’interno si può ammirare un bellissimo affresco, della fine del XV secolo, che raffigura la Madonna con il Bambino e i Santi. All’inizio del XIX secolo la chiesa fu sconsacrata e nel 1809, quando Roma era la seconda città dell’Impero napoleonico, l’architetto Giuseppe Valadier  si occupò di restaurare il tempio su incarico del governo francese, tentando di restituirgli lo splendore originale, ripristinando la struttura del tempio romano. Un ultimo e più recente restauro è stato realizzato nel 1996, con il rifacimento dei capitelli. 

Foto L. Spadella

Il Tempio di Portuno (Aedes Portuni)

Il Tempio di Portuno o Tempio della Fortuna Virile, è invece di forma rettangolare, dedicato a Portunus, divinità fluviale. La definizione è dovuta alla Dea Fortuna cui i giovani lasciavano la toga praetexta entrando nell’età della virilità al compimento dei 16 anni. Alla dea Servio Tullio dedicò il tempio, proprio nel Foro Boario; la dedica fu rivolta poi alla Mater Matuta con il figlio Portunus in braccio, e infine al solo Dio Portunus. E’ un esempio di architettura greco-romana del II secolo a.C.

Come si rileva da un’epigrafe scoperta nel 1571, il tempio venne convertito in chiesa cristiana nell’872, prima con il nome di Sanctae Mariae in Secundicerio, perché affidata alle cure di Stefano Stefaneschi, giudice e secundicerio, una carica ecclesiastica, poi come Santa Maria Egiziaca, patrona delle prostitute, in quanto essa stessa prostituta redenta.

L’esterno rimase uguale, mentre all’interno si possono ancora vedere gli affreschi che raffigurano le storie della santa. Nel 1926 poi, la struttura venne riportata a tempio. Probabilmente era collocato un tempo all’interno di un recinto sacro, ma subì modifiche intorno alla prima metà del II secolo a.C. , con il rialzamento del terreno per la soprelevazione degli argini del Tevere.  Il muro in blocchi di tufo nell’angolo posteriore sinistro era probabilmente parte del recinto sacro. La struttura muraria è in tufo rivestito esternamente con lastre di travertino. Dopo il restauro, oggi il tempio presenta lo stesso aspetto del I secolo a. C.

Foto Wikipedia

L’Arco degli Argentari

L’Arco degli Argentari è una antichissima porta che, nonostante il nome, è ad architrave, e si trova sul lato sinistro della chiesa di San Giorgio in Velabro; probabilmente serviva come accesso al Foro Boario.

L’arco è stato eretto nel 204 d.C. , nell’anno della celebrazione dei Ludi Saeculares, e, come si può leggere dall’epigrafe incisa sullo stesso, dedicato dagli argentarii et negotiantes boari huius loci (“i banchieri e i commercianti boari di questo luogo”) a Settimio Severo, sua moglie Giulia Domna e suo figlio Geta, a Caracalla e sua moglie Fulvia Plautilla. Dalle iscrizioni furono poi cancellati i nomi di Plautilla, esiliata nel 205 e uccisa nel 211, e di Geta, ucciso nel 212, entrambi per volere di Caracalla e per i quali era stata stabilita la damnatio memoriae, cioè la “condanna della memoria”, per effetto della quale veniva eliminato ogni ricordo della persona. In cima all’arco erano collocate cinque statue che li rappresentavano, oggi perdute. E’ alto 6,15 metri e largo 3,30 rivestito in marmo bianco, ricchissimo di decorazioni. Oltre infatti all’iscrizione dedicatoria, ci sono due bassorilievi raffiguranti Ercole e un genio. Nei pannelli interni sono raffigurate scene di un sacrificio, a destra Settimio Severo e Giulia Domna, e una figura abrasa che doveva essere Geta prima che fosse condannato alla damnatio memoriae. Sul lato sinistro Caracalla e Plauziano, anche quest’ultima cancellata. Sui lati esterni figure di soldati e prigionieri barbari, aquile che portano ghirlande, e ancora scene di sacrifici e stendardi militari.

Foto L. Spadella

La Fontana dei Tritoni

Dal 1717 davanti ai due templi, nella piazza antistante la chiesa di Santa Maria in Cosmedin, sorge la Fontana dei Tritoni, realizzata dall’architetto Francesco Carlo Bizzaccheri (1655-1721) su commissione di papa Clemente XI Albani (1700-1721).

In omaggio al pontefice, la fontana barocca rappresenta due tritoni con le code intrecciate che sorreggono una conchiglia da cui sgorga l’acqua, decorata con lo stemma della famiglia Albani ripetuto sui due lati. Ispirata alla fontana del Tritone di Gian Lorenzo Bernini, è stata realizzata in travertino e ha base ottagonale.

Questo insieme di ricchezze storiche rende Piazza Bocca della Verità un luogo davvero unico, uno dei più misteriosi e leggendari, dove, riuscendo ad isolarsi dal traffico cittadino, è possibile fare un salto nel passato e ritrovarsi tra mercanti e gladiatori, filosofi ed oratori, immergendosi nell’antica Roma camminando tra questi preziosi monumenti, che sfidando il tempo sono arrivati fino a noi.

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Info Laura Spadella

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Sono nata e vivo a Roma, dove mi sono laureata in Scienze Politiche. Scrivo e organizzo corsi di formazione manageriale e di orientamento scolastico e professionale. Mi piace esplorare e raccontare la mia città, con le sue meraviglie ed i suoi difetti, girare senza meta tra vicoli e stradine, per scoprire ogni volta qualche angolo nascosto e condividerlo con gli altri.

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