Caproni congedo del viaggiatore
Giorgio Caproni

8 Giorgio Caproni. “Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee”: la vita come viaggio. Prima parte

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Tempo di lettura: 3 minuti

 

   Ora che più forte sento

stridere il freno, vi lascio

davvero, amici. Addio.

Di questo, sono certo: io

son giunto alla disperazione

calma, senza sgomento.

 

   Scendo. Buon proseguimento.

 

Il “Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee”: la vita come viaggio. L’incontro con gli alter-ego del ‘Congedo’.

Il Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee esce nel 1965 e nell’intento di Caproni doveva rimanere una raccolta aperta, soggetta ad eventuali ampliamenti e modifiche. Pertanto nella nota finale Caproni precisa che:

Forse questo Congedo è ancora incompiuto, se il brusio che sento nella mente è quello non solo di un altro mèzigue che, nelle brevi pause in cui m’è concesso di dare ascolto alle “voci” (ci son tante cose da fare, nel mondo), sta preparandosi per entrare in scena.

Può darsi che un giorno io trovi il tempo di portare il libro a compimento. Ma chi si fida della speranza? Per questo mi son deciso, intanto, a licenziarlo com’è. (Giorgio Caproni, Nota al Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, Poesie, cit., p.287)

Le due brevi poesie iniziali (In una notte d’un gelido 17 Dicembre e Senza titolo ) già delineano quello che sarà il percorso del poeta: un viaggio dentro se stesso all’insegna della solitudine e del buio della notte. Un viaggio alla ricerca del proprio Io da compiersi ormai necessariamente, un inevitabile passaggio da un “di là” a un “di qua”.

Caproni congedo del viaggiatore
Foto di Patrizia Traverso

 

“Nel Congedo […] la metafora del ‘passaggio’ s’infrange nell’impatto con la realtà che non consente situazionismi e vanifica ferocemente qualsiasi progetto utopico. Il passaggio diventa viaggio all’interno della dissoluzione delle cose, percorso ad inferos – reso significativamente persino nei suoi termini tecnici: treni, scali, cacciatori, compagni di viaggio – nella consapevolezza “d’aver più conoscenze / ormai di là che di qua” e nell’unica certezza di cui ormai dispone che “io / son giunto alla disperazione / calma, senza sgomento.” (A.Barbuto, Giorgio Caproni, Il destino di Enea, cit. p.40)

 

…l’uomo che di notte, solo,

nel “gelido dicembre”,

spinge il cancello e rientra

– solo – nei suoi sospiri…

              (In una notte…)

 

…l’uomo che se ne va

e non si volta: che sa

d’aver più conoscenze

ormai di là che di qua…

              (Senza titolo)

 

Ritroviamo la metafora della vita come viaggio che rappresenta sempre un’avventura, una ricerca spirituale.

Il viaggio si compie, infatti, sempre all’interno del proprio Io, dei propri sospiri, della propria solitudine.

“Amara scienza, / si ricava dal viaggio! Il mondo, piccolo, / monotono, oggi come ieri e come / domani e sempre, ci mostra l’immagine / nostra: un’oasi d’orrore posta in mezzo / a un deserto di tedio!” (Charles Baudelaire, Les fleurs du mal, traduzione italiana di Luigi De Nardis, Milano, Feltrinelli, 1964)

È positiva però, secondo me, la continua presenza del tema del viaggio in Caproni perché ciò significa costante desiderio profondo di cambiamento interiore. E il desiderio è tensione, è libido: ovvero energia psichica che secondo Jung sta a testimoniare un’intima insoddisfazione che spinge, perciò, alla ricerca e alla scoperta di orizzonti nuovi.

Il viaggio è naturalmente immaginario, pur essendoci treni, stazioni, viaggiatori e percorsi. I luoghi sono, però, quelli interiori, ci si orienta seguendo una “geografia dell’anima” e ci si addentra nei meandri oscuri del proprio Io. In un buio assoluto e in una condizione di totale solitudine, come si legge nelle altre due quartine (intervallate alle prosopopee) della raccolta:

 

   Non porterà nemmeno

la lanterna. Là

il buio è così buio

che non c’è oscurità.

             (La lanterna)

 

   … l’uomo che nel buio è solo

a bere: che non ha

nessuno, nell’oscurità,

cui accostare il bicchiere…

                     (Il bicchiere)

 

Caproni congedo del viaggiatore
Foto di Patrizia Traverso

 

Caproni – L’uomo sa bene che ad un certo punto è necessario allontanarsi dal caos e dal tumulto del mondo esterno perché occorre essere soli per entrare dentro di sé. Egli non accetta passivamente quanto lo circonda, ma deve prima  indagarlo per poi comprenderlo.

Certo, all’inizio del Congedo siamo dinanzi ad un cancello, poi si arriverà addirittura ad un muro, ma è naturale poiché ogni cammino di conoscenza è doloroso, ancor più se si va nel “gelido dicembre” della solitudine, nell’inverno che sembra significare solo morte e grigiore.

E la solitudine è una scelta, ma anche una condizione nella quale ci si trova inevitabilmente poiché uscire dai percorsi stabiliti per intraprendere nuove vie crea un automatico distacco ed allontanamento affettivo da chi ci ha seguito fino ad un certo punto.

Non c’è più comunione di idee e progetti: non si può più bere insieme, le strade si separano, l’uomo è solo nel buio, “[…] non ha / nessuno, nell’oscurità, / cui accostare il bicchiere…” (Il bicchiere). È un momento – passaggio assolutamente necessario: non c’è presa di coscienza senza dolore, non c’è evoluzione che non implichi rinuncia, passaggio da un “di là” a un “di qua”. 

Nel Congedo” – scrive Antonio Barbutola metafora del ‘passaggio’ s’infrange nell’impatto colla realtà che non consente situazionismi e vanifica ferocemente qualsiasi progetto utopico: il passaggio diventa viaggio all’interno della dissoluzione delle cose, percorso ad inferos. […]

C’è, in ultima analisi, la dichiarazione dell’impossibilità accertata d’una fede, la disperata eppure rigorosa e stoica affermazione di solitudine, nella estrema illusione di dare dignità alla propria, ma chiaramente non solo alla propria, fine.(A.Barbuto, Giorgio Caproni, Il destino di Enea, cit. p.40)

Con il Congedo del viaggiatore cerimonioso si apre la galleria delle prosopopee, di personaggi in ambiguo rapporto di identificazione e di estraneità. Come se l’io vedesse muovere varie proiezioni, solo in parte coincidenti con sé.

”L’espediente dei plurimi sdoppiamenti, dei ‘finti dialoghi’, sembra tendere ad esorcizzare il vuoto assoluto, supponendo un’illusione comunicativa, postulando la presenza di altre comparse silenziose, di una compagnia, sia pur futile e temporanea. I

l protagonista che si prepara a scendere dal fatidico treno si dilunga in un saluto pacato e conversevole, particolareggiato e concreto, che copre con i complimenti rituali una sottesa, stoica fermezza, la coscienza dell’inevitabile.” (A.Dei, Giorgio Caproni, cit., p.128)

E ancora osserva Barbuto: “Lo schema prescelto di prestare ad altri i propri sentimenti e quindi di riconoscersi nelle prosopopee – lamenti borie – degli altri mèzigue traduce il tentativo ultimo di Caproni di sdipanare il filo della propria solitudine attraverso questa sorta di voci di dentro che nel momento in cui tendono a diventare dimostrazione di dialogo finiscono per confermare che l’unica soluzione possibile è il monologo e dunque riaffermano ulteriormente la coscienza della crisi comunicativa. In questo senso le invenzioni caproniane acquistano il significato di finzione eretta a difesa dall’assedio del deserto e del nulla.(A.Barbuto, Giorgio Caproni, Il destino di Enea, cit. p.40)

 

Le prosopopee del ‘Congedo’.

 

Caproni

 

Nella prima prosopopea (Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee) si assiste dunque al distacco del viaggiatore, (ritorna la metafora viaggio/vita) che è il primo degli alter ego del poeta utilizzati nella raccolta, dai suoi compagni di viaggio: “Amici, credo che sia / meglio per me cominciare / a tirar giù la valigia. […]”, […] Ancora vorrei conversare / a lungo con voi. […]”).

La necessità soggettiva ed ineliminabile di un avanzamento interiore permette di superare la paura dell’ignoto e si “parte” senza infatti sapere nulla, o quasi: “[…] Anche se non so bene l’ora / d’arrivo, e neppure / conosca quali stazioni / precedano la mia, / sicuri segni mi dicono, / da quanto m’è giunto all’orecchio / di questi luoghi, ch’io / vi dovrò presto lasciare. […]”, “[…] Il luogo del trasferimento / lo ignoro. […]”.

I versi successivi presentano la prima immagine di nebbia, simbolo dell’indeterminato che tutto nasconde e confonde. Immergersi nella nebbia non è cosa facile, specie durante un viaggio supportato da così poche certezze, se non quella di essere giunti vicino alla destinazione finale:

“[…] mentre il mio occhio già vede / dal finestrino, oltre il fumo / umido del nebbione / che ci avvolge, rosso / il disco della mia stazione. […]”.

Bisogna lasciare i compagni, interrompere il lieto conversare.

“Una qualità particolare del commiato caproniano è senza dubbio l’affabilità dei modi che il viaggiatore adopera coi compagni di viaggio e che traduce coerentemente il “cerimonioso” del titolo, e nella sua assunzione retorica esprime nei modi più consueti e consunti della conversazione borghese la prosopopea o il lamento dell’uomo condannato alla umiliazione della solitudine.”

È dunque tempo di scendere, per di più con appresso una valigia pesante e di dubbia utilità:

 

Chiedo congedo a voi

senza potervi nascondere,

lieve, una costernazione.

Era così bello parlare

insieme, seduti di fronte:

così bello confondere

i volti (fumare,

scambiandoci le sigarette),

e tutto quel raccontare

di noi (quell’inventare

facile, nel dire agli altri),

fino a poter confessare

quanto, anche messi alle strette,

mai avremmo osato un istante

(per sbaglio) confidare.

 

(Scusate. È una valigia pesante

anche se non contiene gran che:

tanto ch’io mi domando perché

l’ho recata, e quale

aiuto mi potrà dare

poi, quando l’avrò con me.

Ma pur la debbo portare,

non fosse che per seguire l’uso.

Lasciatemi, vi prego, passare.

Ecco. Ora ch’essa è

nel corridoio, mi sento

più sciolto. Vogliate scusare).

 

Circa la natura del Congedo Caproni puntualizza :

Intanto, non voglio che venga considerata una “poesia”. Vuol essere soltanto un preludio “recitato” (da un bravo attore, e con una certa lenta enfasi) di un poemetto dove mi piacerebbe descrivere una mia calata nel limbo e un mio incontro con i morti, divenuto loro concittadino e fratello.

La valigia dovrebbe avere una certa importanza in questo tentativo, per quel poco che contiene e che la dogana lascerà passare. 

Fine Prima Parte

 

Uno speciale grazie alla fotonarratrice Patrizia Traverso per le foto tratte dal libro Genova ch’è tutto dire – Immagini per Litania di Giorgio Caproni – di Patrizia Traverso e Luigi Surdich, il Canneto Editore, 2011

 

Riproduzione Vietata

 

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Info Rosella Schiesaro

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Nata a Savona, di origini toscane, Rosella Schiesaro ha svolto per più di vent'anni attività di ufficio stampa e relazioni esterne per televisioni, aziende e privati. Cura per LiguriaDay la rubrica Il diario di Tourette dove affronta argomenti di attualità e realizza interviste sotto un personalissimo punto di vista e con uno stile molto diretto e libero. Da sempre appassionata studiosa di Giorgio Caproni, si è laureata con il massimo dei voti con la tesi “Giorgio Caproni: dalla percezione sensoriale del mondo all’estrema solitudine interiore”. In occasione dei centodieci anni dalla nascita del poeta, ci accompagna In viaggio con Giorgio Caproni alla scoperta delle sue poesie più significative attraverso un percorso di lettura assolutamente inedito e coinvolgente.

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