Tra i tanti oggetti d’arredo sparsi negligentemente per Roma c’è un piedone di marmo calzato con quelli che sembrano essere “crepida”, sandali di origine greca con la suola che sale lievemente lungo i bordi.
Dei piccoli buchi permettevano l’inserzione di stringhe per fissare la calzatura.
Cosa ci fa all’angolo di una stradina che prende il nome da una piccola chiesa, Santo Stefano del Cacco, in una posizione poco visibile e tuttavia protetto da un recinto di ferro che ne evidenzia il pregio?
La verità è che questo piede non ha fatto molta strada. I suoi passi non si sono allontanati troppo da casa, il grande Tempio di Iside che occupava una parte considerevole del Campo Marzio, l’Iseo Campense, complesso religioso che misurava circa 14.000 mq nella sua massima estensione.
Il tempio si ergeva in fondo ad un magnifico e grande portico, ornato di piante, archi ed obelischi, e questo piedone è forse un piede della statua di culto, della stessa Iside, insomma. Tra l’altro, i sandali, le persone di riguardo li portavano in privato, quando era concesso togliersi i “calcei”, scarpe in parte chiuse, che i cittadini romani di entrambi i sessi dovevano portavano in pubblico. Così la dea, in casa (cioè nel Tempio), si mette comoda anche lei…
Ripercorrere le fortune della figura mitica e religiosa di questa dea egizia è arduo, quasi un esercizio da “brevi cenni sull’universo”.
Ma quello di cui il piedone è indizio è l’importanza che ebbe la cultura egizia per il mondo romano, soprattutto dopo la vittoria di Ottaviano Augusto su Marcantonio e Cleopatra, nel 31 a.C.
Vittoria che permise alle classi elevate di andare e venire per diporto nella ricca e colta provincia dell’Impero e sviluppare una vera e propria mania per il grande e magnifico paese del Nilo.
Prova lampante: la tomba a forma di Piramide che Gaio Cestio Epulone si fece costruire senza badare a spese tra il 18 e il 12 a.C.
Torniamo a Iside, dunque: la dea, insieme al fratello-sposo Osiride e al figlio Horus, era già venerata in tutto il bacino del Mediterraneo quando il culto giunse a Roma.
Il suo passato tuttavia si perde nella notte dei tempi. Si può affermare infatti che Iside non è che una delle forme assunte dalla Grande Madre, divinità primordiale conosciuta con diversi nomi nelle diverse culture (una delle sue facce è Demetra/Cerere).
Nel suo culto erano inseriti complessi rituali iniziatici e perciò nei suoi santuari era richiesto un numero elevatissimo di inservienti, sacerdoti e sacerdotesse.
Una di queste sacerdotesse si cela forse sotto le spoglie della cosiddetta “Madama Lucrezia”, altro oggetto d’arredo che si vede con la coda dell’occhio in Piazza San Marco.
Anch’essa nei pressi di quel grande quadrante che era occupato dall’enorme Iseo e dunque ad esso pertinente. “Lucrezia” è un’altra delle statue parlanti di Roma, parte del “consesso degli arguti” che abbiamo incontrato nel precedente post sull’Abate Luigi.
Naturalmente non potevano mancare gli obelischi.
Dall’Iseo del Campo Marzio provengono almeno quattro obelischi che si trovano in giro per Roma.
Il più famoso è quello che orna la fontana berniniana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona, ma quello che si è spostato di meno è quello piazzato sulla groppa dell’Elefantino – sempre di Bernini – in Piazza della Minerva, praticamente a cento metri dal piedone.
C’è poi un’altra categoria di “oggetti” legati alla cultura egizia e davvero inconsueti a Roma: gli animali.
Come si sa, le divinità egizie, a differenza di quelle greco-romane, sono spesso rappresentate o da un intero animale o dalla sua testa: il bue Apis, la vacca di Hathor, il falco di Horus, il cinocefalo di Toth…
Moltissime sculture di animali, complete o in pezzi più o meno grandi, sono state ritrovate nell’area dell’Iseo, tra le altre i due bellissimi leoni di basalto ai lati della Pigna di bronzo che dà il nome all’omonimo cortile in Vaticano (anche la pigna, ça va sans dire, apparteneva all’Iseo Campense).
E con un animale torniamo ora all’inizio del nostro percorso, in quella via Santo Stefano del Cacco per spiegarne lo strano nome.
Il “Cacco” non è altro che un “macaco” che nella storpiatura del romanesco diventa macacco e poi – semplicemente – cacco.
Ebbene è proprio nei pressi di questa piccola chiesa dell’area del’Iseo che è stato trovato il cinocefalo di Thot, scultura mutila in granito grigio, ora ai Musei Vaticani.
I romani hanno scambiato un cane per una… scimmia e con il conseguente nomignolo hanno, secondo tradizione inveterata, ironizzato sulle cose sacre.
Non è la prima e non sarà l’ultima volta.