Un grande storico dell’arte paleocristiana definiva “disabitato” il paesaggio della Roma del Medioevo. E così era al Laterano, con un apparente paradosso visto che vi sorgeva la cattedrale, sede del vescovo di Roma, cioè del Papa.
San Giovanni in Laterano sorge infatti quasi timidamente a ridosso delle mura. Come le tante basiliche costantiniane che vennero costruite decentrate per una sorta di understatement del nuovo potere imperiale che aveva decretato, con Costantino, il Cristianesimo religione “lecita” (non era ancora ufficiale). Ben sapendo che tanti autorevoli senatori che sedevano nella Curia erano pagani.
Periodo bellissimo e complesso, quello del passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana, che non durò un giorno ma almeno un secolo.
Ebbene, quel disabitato che era il Laterano si mantenne pressoché tale attraverso i secoli e, nonostante le sistemazioni di fine ‘500 e dei primi decenni del ‘700, ancora oggi non si può certo definire “centrale” la cattedrale di Roma.
La zona è stata una di quelle più investite dagli interventi umbertini, quando Roma, a partire dal 1871, diventa capitale. Si acquista in viabilità e in pulizia: le strade ortogonali sono più ordinate e le facciate dei palazzoni, tutti rigorosamente in stile neo-rinascimentale, anelano a una dignitosa – e monotona – uniformità.
Ma ecco che, proprio in una strada vicino alla piazza di S. Giovanni in Laterano, troviamo un relitto.
Uno di quegli edifici che si sono salvati da quell’operazione di maquillage urbanistico che, fuori da ogni ironia, ha distrutto per sempre la fisionomia di una città fatta di ville e giardini, di piccoli e grandi edifici diversissimi tra loro per epoca e stile.

La strada è via Boiardo e l’edificio che appare ai nostri occhi così incongruente con i suoi vicini è il Casino Giustiniani-Massimo-Lancellotti.
Molti sono i punti in comune con i casini come quello Borghese o il Medici: stesse facciate “all’antica” con riquadri, tondi, ghirlande a stucco o in marmo che richiamano rilievi classici, e giardini.
Ecco, il giardino dalla strada non si vede, occorre entrare dal cancello di ferro che dà accesso a una piccola corte con portineria. Da qui si entra in quel che appare come un frammento risparmiato dalla lottizzazione di questa zona dell’Esquilino.
Il Casino e il suo piccolo giardino sono infatti quel che resta della sfarzosa Villa del marchese Vincenzo Giustiniani che si estendeva fin sulla piazza del Laterano.
Passò poi ai Massimo all’inizio dell’800 e ai Lancellotti a metà ‘800. Questi ultimi, nel fatale 1871, vendettero il vasto parco come area edificabile. Il giardino attuale ne è un lacerto.
Infine, nel 1885, anche il monumentale portale del muro di cinta della villa venne ceduto allo Stato e venne risistemato nel 1931 come ingresso alla villa Celimontana al Celio, dove lo vediamo ancora oggi.

Tornando a Carlo Massimo, fu lui, dopo aver apportato diverse modifiche alla Villa, a chiamare per le decorazioni interne un gruppo di artisti molto originali, per i quali è stato coniato l’appellativo di Nazareni.
Erano religiosissimi, vivevano insieme, portavano capelli lunghissimi, alla nazarena, appunto. Si rifacevano puristicamente alla pittura italiana del periodo aureo, a Raffaello e Michelangelo in primo luogo, ma anche a Perugino e alla pittura quattrocentesca dell’Italia centrale. Originali ma pienamente all’interno del movimento romantico di rivalutazione dei poemi cavallereschi e del Medioevo in generale.
Una sala è dedicata alla Divina Commedia di Dante. Una all’Orlando Furioso di Ariosto e l’ultima alla Gerusalemme Liberata di Tasso.
In quella dedicata alla Divina Commedia lavorano Philip Viet e Joseph Anton Koch, che era un autentico “fan” di Dante Alighieri e sapeva a memoria interi canti.

La seconda sala dedicata all’Ariosto è dipinta dal solo Julius Schnorr von Carolsfeld e in essa le citazioni da Raffaello sono quasi letterali.

Attraversando le pareti con la pazzia di Orlando e la Battaglia tra i Cristiani e i Saraceni, momenti topici del poema ariostesco, arriviamo alla sala con la Gerusalemme Liberata di Tasso, dipinta da Friederick Overbeck, protestante convertitosi al cattolicesimo. Fu lui il primo a portare i capelli lunghi e a favorire il nomignolo dato al gruppo di pittori.
Sullo sfondo delle vicende d’amore tra Tancredi e Clorinda e Rinaldo e Armida, quel che interessa Overbeck è proprio il contenuto religioso del poema.
Lo esprime molto bene sul soffitto in cui campeggia in trono la Gerusalemme Liberata in persona, allegoria che sembra una via di mezzo tra una sibilla di Raffaello e una Virtù quattrocentesca.

Ora al Casino si accede con il permesso dei Francescani della Delegazione di Terrasanta che vi risiedono dal 1947.
Durante la guerra, nel biennio 1943-44, esso fu abitato dagli ufficiali tedeschi occupati nell’infame compito di gestire il famigerato carcere di via Tasso, ora Museo storico della Liberazione.
È proprio qui dietro, in un palazzo anonimo, che sembra la versione architettonica della banalità del male, lontano anni luce da quegli splendori che Roma, ancora nell’800, sapeva ispirare.
Si visita il Martedì e Giovedì ore 9.00-12.00/16.00-18.00 e Domenica ore 10.00-12.00
Il telefono è: 06 7049 5651