Vivere la propria identità è un’arte matura. Conduciamo un quotidiano equilibrio tra le esagerazioni della nostra persona, sottoposta ai condizionamenti della vita di tutti i giorni.
Nelle ultime settimane, abbiamo assistito al manifestarsi di molteplici articoli di approfondimento sui comuni casi di identificazione sociale, per il tramite delle reti sociali di internet.
Ciò che ci interessa da vicino riguarda anche gli effetti che hanno su di noi gli influenzatori carismatici, i personaggi di interesse della pubblica piazza informatica e dell’informazione in generale. I personaggi pubblici sono tali, dal momento che si sono trovati a compiere atti che sono stati percepiti e caricati di valori da un certo pubblico: per questa modalità di azione, hanno poi avuto modo di mantenere il proprio pubblico, verso cui svolgono esibizioni periodiche, da fare ricordare ai propri seguaci e sostenitori lo stesso potere di spettacolo ottenuto agli albori della loro popolarità. E in questo non c’è nulla di soprannaturale, ma solo la fortuna di alcuni che si sono trovati nel posto giusto al momento giusto, per il proprio bisogno di successo.
Quando un nostro problema riguarda l’identità personale, tendiamo non solo a seguire altre persone, ma anche a emularle, a desiderare di assomigliare a loro e abbiamo bisogno di creare la nostra identità da un’altra parte, perché non amiamo abbastanza la persona del nostro corpo.
Uno studio di alcuni anni fa, prendendo spunto da alcuni casi di comportamenti maniacali giovanili, come il bisogno persistente dell’assomigliare a personaggi di fantasia, finzione o storia, elabora delle conclusioni forti sui disagi sociali degli adolescenti:
«Il ricorso al travestimento e all’imitazione con il personaggio, ricercata e agita con una cura maniacale e sostenuta dalle spinte narcisistiche, sembrerebbe un tentativo di compensare difficoltà nella sfera identitaria e sociale»[1].
Tra questo tipo di disagio e le degenerazioni cliniche ci sono molte differenze; basterebbe citare un importante contributo della rivista statunitense: Scientific American, pubblicato in italiano su: Le Scienze, dove, tramite elettroencefalogramma, si esamina il caso di una donna che afferma di sentirsi essere più persone contemporaneamente:
«Il disturbo dissociativo dell’identità, in cui un soggetto afferma di avere diverse personalità dissociate, ha un preciso riscontro nel funzionamento del cervello. Tre scienziati e filosofi suggeriscono che queste personalità potrebbero essere la manifestazione di una coscienza universale che darebbe origine a più centri di cognizione, ciascuno con una personalità e un senso di identità distinti»[2].
Rimane comunque la relazione sottile tra un male “minore”, come il disagio sociale e un male “maggiore”, come il disturbo dissociativo clinico dell’identità e questa ci riporta al bisogno di essere valorizzati. Dal momento che si fatica a riconoscere dei valori per sé stessi, si rischia di vedere negli altri quello che si vorrebbe per sé.
Trascorse le epopee, trascorsi i miti, le epiche, le leggende e le saghe, in questo tempo, dove la mitomania sembrerebbe trovare il suo nuovo posto, abbiamo bisogno di parlare: abbiamo un curativo bisogno di parlare dei nostri mali, perché le parole sono la magia più potente contro il potere contrario, che per bisogno di affetto, diamo agli altri. Parlare aiuta sempre e ci dona la sicurezza di riconquistare, ogni giorno, la nostra amata identità.
[1] CANTONE, Daniela, et al. PRATICA COSPLAY E DIMENSIONI DI PERSONALITÀ: UNO STUDIO PILOTA, Psichiatria e Psicoterapia, 32.1, Roma, Fioriti, 2013
[2] https://www.lescienze.it/news/2018/06/26/news/vita_universo_tutto-4025094/