Il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane
I dati sono chiari e fanno rabbrividire. Sessantaquattro morti (tra suicidi ed altre cause da accertare) solo dall’inizio dell’anno. I numeri sono preoccupanti, non erano mai stati così tanti in passato e questa involuzione ha fatto insorgere anche gli avvocati penalisti italiani che lo scorso 20 marzo si sono dati appuntamento a Roma con una grande manifestazione pubblica per denunciare questa situazione emergenziale ed indurre lo Stato ad intervenire legiferando.
Ciò che più si evidenzia è la carenza di organico: agenti penitenziari, medici, psichiatri ed operatori sociali
Molte volte accade che sia proprio la polizia penitenziaria a supplire l’assenza di psicologi ed assistenti sociali, il cui ruolo è essenziale affinché la pena sia ritenuta “umana”, con la conseguenza che anche per chi deve mantenere “ordine e disciplina” diventa difficile conciliare il senso del dovere con il senso di umanità: si ricorda infatti che dall’inizio dell’anno ben sedici appartenenti alle forze dell’ordine di cui tre della polizia penitenziaria si sono tolti la vita.
Questa situazione al limite deve far riflettere non solo lo Stato, ma anche noi singoli cittadini e deve farci capire che sì, chi ha sbagliato deve pagare, ma anche che quella persona che sta pagando per il reato commesso un giorno uscirà, sarà tra di noi in società da uomo libero… e pertanto conviene rieducarlo rispettando i diritti che ogni uomo porta con sé.
Quello che invece nella prassi succede è che le persone escono dal carcere incattivite e con il desiderio di vendetta verso uno Stato assente che non si è preoccupato di loro bensì le ha escluse e messe ai margini della società. Ricordiamoci che molte volte finiscono dietro le sbarre in celle anguste persone innocenti, la cui innocenza viene loro riconosciuta magari anche dopo vent’anni di agonia.
Chi ha la forza di lottare per vent’anni sapendo di non aver commesso alcun reato?
Sicuramente una piccola percentuale rispetto alla maggioranza che arriva al punto di abbandonare le pene emotive e psicologiche decidendo di porre fine alla propria esistenza.
Io credo che uno Stato di diritto debba dare l’esempio e non possa ignorare il rumore che ultimamente si sente riguardo all’argomento. Uno stato che tollera tutto ciò e non interviene è uno stato criminale, forte del fatto che a differenza dei criminali non può essere punito.