Il Festival della Canzone Italiana viene comunemente indicato col solo nome della città che lo ospita: dire “Sanremo” e intendere “Festival di Sanremo”.
Buffo è che gli stessi sanremesi usano questa terminologia; l’anno scorso mi sono sentito chiedere da un amico sanremese al 100% (quindi assai più di me che ci vivo part-time) “Gianni, tu sai quando inizia Sanremo?” A prescindere dall’uso scorretto ma sempre più diffuso di usare il tempo presente del verbo invece del futuro (“tu sai quando inizierà…) avevo capito benissimo il significato della domanda ma mi sono divertito a rispondere “a levante inizia a Bussana, a ponente inizia (o termina) a Capo Nero e noi ci siamo dentro” intendendo i confini comunali della città.
Sanremo è il Festival, il Festival è Sanremo.
Lo è anche al di fuori dell’Italia: una decina di anni fa andai con mia moglie in vacanza in Slovenia e pernottammo alcune notti in un b&b sprofondato nei boschi della regione di Lubiana; era una fattoria, un marito contadino, una moglie che si occupava dell’accoglienza e della cucina, poi cani, gatti, animali di bassa corte e un po’ di mucche. Nelle chiacchiere di benvenuto il marito, seduto sul suo trattore carico di fieno, ci chiese di quale parte d’Italia fossimo e alla nostra risposta “veniamo da Sanremo” si aprì in un sorriso e rispose “Sanremo festival!”.
Perché Sanremo è Sanremo…
Sanremo: basta la parola. Come un celebre confetto lassativo dei caroselli di quando ero bambino (absit iniuria verbis, naturalmente).
Da tempo, ma soprattutto da quando, nel 2020, il divo Amadeus lo ha preso in carico, (il Festival di) Sanremo è diventato un evento epocale, di massa ma di così tanta massa che neanche la materia oscura dell’universo riesce a essere così tanta; è diventato un fenomeno musicale di un certo interesse anche per i giovani, strappandosi finalmente di dosso la nomea di gerontomusicomio – pur senza espellere tutti i Grandi Vecchi della canzone italiana – ma soprattutto mi pare sia diventato un colossale fenomeno sociale e di costume, più di quello che già un po’ era.
Un fenomeno che assorbe, conquista, fagocita, avviluppa, stravolge la città di Sanremo per quasi due mesi, dapprima in sordina, con l’arrivo quasi invisibile degli organizzatori e dei primi tecnici subito dopo l’Epifania (forse anche prima);

poi di settimana in settimana è un crescendo, un’invasione di enormi camion bianchi della Rai che occupano le strade e i loro parcheggi; camion da cui escono frotte di tecnici di blu e di nero vestiti, che parlano quasi tutti con evidente accento romanesco e che giorno dopo giorno, indefessi come formiche, montano, erigono, costruiscono, innalzano i temporanei edifizi che per quella folle settimana di inizio febbraio ospiteranno gli artisti, i giornalisti, i commentatori, gli intrattenitori (Fiorello in primis) e intorno a cui fremeranno le migliaia di entusiasti fan aficionados che piombano in Riviera da ogni parte d’Italia per selfeggiarsi coi cantanti ma soprattutto “per esserci”:
Il fascino di Sanremo
Il Festival di Sanremo così come lo hanno fatto diventare Amadeus e i suoi collaboratori è che si, le canzoni ok, sono importanti ma il fascino di tutta la faccenda sta soprattutto nella vita e nelle folle che alle canzoni ruotano intorno; non dentro il teatro Ariston che rimane un privilegio per pochissimi, ma fuori, nelle strade, in via Matteotti intorno al “green carpet”, sotto le finestre degli alberghi, in via Roma davanti all’ingresso di servizio dell’Ariston, davanti ai ristoranti di piazza Bresca, sotto al megapalco di piazza Colombo, che sta venendo su ancor più mega del solito.


Sanremo (il Festival) è un affascinante evento antropologico.

Interessante da osservare – di tanto in tanto, senza esagerare – con divertito distacco, come cerco di fare io che ho la fortuna di abitare a solo dodici minuti di distanza a piedi dall’Ariston ma sto in una zona tranquillissima, verde, silenziosa, senza traffico. Quando voglio immergermi nel bailamme posso farlo in un battibaleno ma non sono costretto a subirmelo, il bailamme, tutto il giorno, tutte le settimane.
Perché il Festival incasina la città, già adesso limita i movimenti delle auto ma anche dei pedoni nel centro ma più ci si avvicina alla settimana mitica più aumenterà la sequela di barriere e posti di blocco degni di un G7, rendendo complicato per i comuni cittadini sanremesi muoversi per le necessità quotidiane; e infatti sono tanti i sanremesi irritati da questo “flagello biblico” che piomba ogni anno sulla loro città; albergatori e ristoratori e commercianti ci sguazzano in questo casino, giustamente, ma tante altre categorie sociali e professionali festeggeranno quando tutto sarà finito e la città tornerà al suo normale tran tran.

Che poi tanto normale non è mai, perché – a parte i francesi che accorrono ogni sette giorni per il mercato del sabato – a marzo arriveranno i ciclisti della Milano-Sanremo e poi il corteo dei Carri Fioriti, e insomma c’è sempre un motivo per venire a Sanremo…
A risentirci fra qualche giorno per qualche aggiornamento…