Dall’oblò dell’aereo tutto comincia a muoversi veloce; sempre più veloce.
Gli alberi radi sullo sfondo, le righe di casupole anche più in là, e più in qua la strada con le auto che rimangono indietro, come la rete di recinzione della pista, come l’asfalto, come la pista, come il suolo, la terra…
Rodrigo rimane improvvisamente incollato allo schienale non appena l’aereo accelera per prendere velocità, potenza, spinta, per lasciare questo luogo con un distacco che è al tempo stesso fisico, si stacca dalla pista, affettivo, non si vede più il terminal con tutti i parenti allineati a salutare chi non può nemmeno più vederli, nazionale, diretto com’è ai cieli fuori dai confini, culturale, attraverso il film della Hollywood di turno trasmesso dal monitor cinquanta centimetri sopra lo schienale della fila di sedili davanti.
Sente che qualcosa gli sta sfuggendo da in mezzo ai piedi. Cerca di guardare, per quanto gli consente la cintura stretta che allacciate le cinture stiamo partendo, ma non riesce a vedere nulla. Solamente immaginare una sfera di cuoio, filo ed aria, a scacchi, che sfreccia all’indietro, a cercare l’erba su cui ha consumato i suoi primi millimetri, e si stacca definitivamente da chi l’ha calciata tanto bene, ma così bene, da essere considerato degno, no, meritevole, di calciare ben altro, in ben altro dove. Adios.
Insieme al pallone, vecchio, ricucito più volte, si sfilano dal retro della scatola cranica di Rodrigo, cioè dal punto da cui si immagina devano uscire ricordi nel momento in cui si lasciano indietro per andare avanti, le istantanee ed i filmini tipo Super 8, del suo passato.
La piazza del paese, terra polverosa ma sempre meno sassosa dei campi, con la porta del municipio difesa da un ragazzino alto appena quanto la maniglia, a difendere la casa del sindaco dalle pallonate di questi piccoli peones affamati di goal. E sfido chiunque a dimostrare che Rodrigo ne ha segnati anche uno solo di meno di cinquemila.
Qui li abbiamo contati uno per uno, perché Rodrigo, e lo sapevamo da sempre, è un predestinato. Quell’uno su dieci milioni. Puoi usare tutte le palle che vuoi, su qualunque tipo di terreno, in qualunque tipo di paese ed in qualunque tipo di campionato. Rodrigo arriverà da te, nel tuo terreno di gioco, nel tuo paese, nel tuo campionato, a dimostrarti che la tua fatica è sprecata.
Arrivato lui, puoi anche andartene, non salutato ospite. Questo è quanto ha detto il Talent scout proveniente dal vecchio continente, nel momento in cui ha messo un assegno da seicento dollari nelle mani dei genitori di Rodrigo.
E loro lo hanno preso colmi di speranza, intanto perché così il loro figliolo si levava da quell’ammasso di polvere e fame, e poi perché il Talent scout (ma come diavolo si chiamava davvero?) ha assicurato che il pargolo si sarebbe fatto strada nei campionati blasonati del vecchio continente e nel giro di pochi anni,… ma che,…. di pochi mesi, sarebbe stato in grado di far venire nel suo mondo ricco tutta la famiglia di genitori, fratelli e sorelle, zii, cugini, e chissà quanti altri.
Ciao Rodrigo, a presto, e non dimenticarti dei tre cani, il gallo e le due pecore!!
Mentre aspettavano di veder sparire in cielo quella specie di siluro metallico che si stava portando via Rodrigo, senza farci troppo caso sentivano una strana radio, che qualcuno dell’aeroporto aveva voluto sintonizzare su frequenze europee, o giù di lì, che parlavano, e parlavano, e fra tutte le ciance dicevano che in Ukraina c’era la guerra, e se non era guerra poco ci mancava, perché con la crisi, dalla guerra non si scappa, ma il nostro governo ha pronte delle misure per risolvere tutto e scongiurare la guerra.
“Ma Rodrigo, dov’è che è andato?”
“In Europa”
“Sì, ma in Europa dove?”
“In Europa, dove c’è il Papa,… Europa, no?”
“E va bé’, ho capito, ma mica che il Papa sta in tutta Europa, quello sta a Roma”.
“Ecco, Rodrigo è andato a Roma”
“Ma siete sicuri? Guardate che solo a Roma ci sono due squadre importanti, mica una”
“Ma cosa stai dicendo, a Roma di squadra ce n’è solo una, importante o no”
“Boh, Quindi Rodrigo è lì che va a giocare?”
“E certo, ma che ti credi, che sarebbe partito per andarsi a infilare in una qualunque delle mezze squadre che ci stanno in Europa?”
“Ma no, ma no… era solo per saperlo…”
“E ad ogni modo, non c’è la guerra lì, vero?”
“Donna, ma tu stai a sentire tutte le stupidaggini che ti rifila la radio? Ma secondo te, in Europa, come negli Estados Unidos, dove hanno tutto, e tutti i campionati che si possono permettere, c’è la guerra? Ma dove ti credi di vivere? E non tu, ma loro, e ora Rodrigo?”
“Ma no, ma no, era solo per sapere,… tutte queste voci… e notizie…”
I parenti allineati lungo la ringhiera del piccolo terminal avevano fatto spallucce, ed erano tornati a cercare nel cielo qualche traccia dell’aereo che si era portato via il loro campione.
Anni a sperare che diventasse l’idolo locale. Dopotutto la squadra dei Chivas, il suo Palmares lo aveva, e poteva raccontare di aver avuto nei suoi ranghi in veste di allenatore, un grande campione olandese. E Rodrigo si sarebbe fatto strada, e avrebbe riportato in alto il club della sua città.
Solo che era arrivato quel gringo. Aveva visto Rodrigo giocare, ma a ben vedere non ne aveva bisogno. Si trattava solo di cercare conferme a quanto gli avevano già raccontato. Mezza giornata appena, e senza nemmeno passare dal piccolo ufficio del presidente del Chivas, si era diretto senza tappa intermedia a casa della famiglia di Rodrigo, spiegando che questa era un’occasione unica, e che non si sarebbe ripetuta, e che loro avevano il dovere di garantire il futuro al loro figliolo, che d’altra parte, il destino lo aveva già scelto, donandogli quella grande dote, e che tutti si sarebbero potuti tirar fuori da quella topaia in cui vivevano… e certo questo era quanto sognava Rodrigo, sia mentre stava di nascosto ad ascoltare il gringo che parlava ai suoi, sia mentre nonno e padre, con alle spalle mamma, fratelli e sorelle, gli comunicavano la grande decisione presa dalla famiglia, sia mentre passava all’aeroporto in mezzo ad una schiera di guardie che in parte avrebbero voluto poter fare a pezzi a colpi di manganello quello spudorato figlio di campesinos che si azzardava a salire su un aereo, cosa che loro, dopo anni al servizio dell’aeroporto, ancora non si potevano permettere, in parte non lo toccavano perché magari quel moccioso, un giorno, grazie a questo viaggio, all’esperienza ed alla ricchezza ottenute grazie a esso, avrebbe fatto grande la loro nazionale di calcio, per cui, lascialo passare, ma se non vinci e ci fai vincere, prima o poi di qui ripassi, e allora sono cavoli tuoi.
La voce metallica che proviene da dietro il terminal annuncia che l’aereo per Roma partirà con due ore di ritardo a causa di complicazioni non meglio precisate nell’aeroporto di destinazione. I signori passeggeri sono pregati di non preoccuparsi. Ma va detto che anche senza bisogno di quest’invito, i parenti ed amici di Rodrigo sono ben lontani dal preoccuparsi di qualcosa che nemmeno stanno a sentire.
Intanto Ignacio, padre di Rodrigo, sta ripassando mentalmente le raccomandazioni che gli ha fatto, cercando di ricordare se per disgrazia si sia dimenticato qualcosa. E infatti, alla fine del pensiero qualcosa arriva.
“Mi raccomando, ricordati che il calcio si gioca 4-3-2-1, questo è lo schema universale, e non cercare di andare dove non ti dicono di andare. Io per tutta la vita sono stato nei 4, un umile ma onesto difensore, e la mia bella figura l’ho sempre fatta, e nessuno mi ha mai chiesto dove stavi pelandrone. Il nonno invece, era di ben altro spessore. Lui se ne stava bello comodo nei 3, centrocampo e guai a chi si muove di lì. Ma si parlava di lui, oh se si parlava. Mica come quel tuo cugino, bello esaltato, che si era messo in testa di poter stare nei 2, con quei piedi storti che aveva e la corsa di un somaro. È durato meno di una stagione. Così impara. Ma tu, tu figlio mio, ricordati di partire basso, dovunque ti mettano. Anche in porta, tanto io lo so,… tu sei un predestinato, e prima o poi qualcuno si accorgerà che tu devi stare nell’1, lì, davanti a tutti, dove il gioco del calcio trova il suo miracolo del goal!”
Con un poco di malinconia Rodrigo ricorda l’espressione scocciata e insofferente che aveva tenuto durante tutto quel sermone, prima di uscirsene con un saputello
“Ma papà, laggiù ormai sono arrivati al 4-3-3, hanno la democrazia, non come da noi..”
E intanto, nel terminal da cui stavano sciamando i parenti, qualcuno si interrogava.
“Contrattempo, ma che contrattempo ci potrà mai essere a Roma?”
“Ma che ne sai, e poi non ti preoccupare, magari il Papa ha deciso di partire proprio oggi, e figurati se non fermano tutto l’aeroporto per far partire il Papa. Ci mancherebbe…”
“Ma il Papa, … non è uno dei nostri?”
“Non bestemmiare! Che vuoi dire con uno dei nostri?”
“Ma no, capitemi, voglio dire che anche lui è di qui, latino, … o sbaglio?”
“Ma certo che è latino, ed era l’ora che ce ne fosse uno! Forse che non abbiamo meritato quanto a penitenze e sofferenze di avere un Papa?”
“Parole giuste, certo! E ora l’abbiamo, e sta a Roma… figuratevi se non si prenderà cura di Rodriguito…”
E tutti se ne escono rassicurati e cercando di immaginare il momento in cui Rodriguito tornerà a casa per riscattare tutti loro da quella vita miserabile.
Anche lui, appiccicato all’oblò di fianco al suo posto a sedere, sta fantasticando, e quasi non riesce a notare le meraviglie che accadono lì fuori. Come quella specie di fuoco artificiale, una scia luminosa che parte dalla penisola degli Estados Unidos protesa sul Caribe, che va a terminare la sua parabola nel vertice alto di un’isola, forse la più grande, provocando uno strano e forte bagliore. L’aereo stesso sembra esserne scosso per qualche momento.
Rodrigo si guarda intorno, per capire se lo spavento sia solo il suo, tipico del peon che non ha mai visto da vicino un aereo e ora se la fa sotto per qualsiasi stupidaggine di routine, o se anche gli altri abbiano rilevato qualcosa di strano.
Solo allora si rende conto del fatto che, oltre all’equipaggio composto da pilota, co-pilota e tre hostess, a bordo ci stanno solo lui ed un altro passeggero, sui sessanta, verso il fondo, che non ha mai smesso un attimo di leggere, con un sorriso spensierato all’angolo della bocca.
Il passeggero si accorge del ragazzino che lo sta osservando con aria mezzo impaurita e mezzo curiosa. Gli rivolge una strizzata d’occhio, come a rassicurarlo, e torna ad immergersi nella lettura. Rodrigo si tranquillizza, ma decide di dedicare la sua attenzione al film sul monitor piuttosto che a quanto accade nella portata di vista dell’oblò.
È per questo che non vedrà due caccia abbattere un velivolo passeggeri non molto grande con due missili intelligenti. Va detto a sua discolpa che il rumore delle esplosioni si è sovrapposto a quello degli effetti speciali del film che gli stavano facendo vedere.
Nella sua città natale, suo fratello, appassionato d’informatica, ma drammaticamente a corto di mezzi tecnici ed economici, sta ascoltando con l’ausilio di un vecchio computer una radio che trasmette, miracolo dell’informatica, da oltre oceano, e parla di crolli in borsa, chiusura di industrie e aziende a catena, di speranze di ripresa, e altre chiacchiere di carattere tecnico.
“A donde te vas, hermano… a donde te vas…” fra le lacrime.
fine prima parte…