Quando ero ragazza il pensiero delle donne rappresentava un contributo importante alla causa di una società migliore, perché più libera e più giusta, ed era moneta corrente nel dibattito pubblico il tema della “femminilizzazione della società”.
Ossia il rifiuto dell’aggressività insita nel darwinismo sociale, che pretendeva di dare dignità culturale al diffuso luogo comune machista, per un’idea di convivenza più amichevole e rispettosa dell’altrui soggettività.
Si parlava di sorellanza come di una cultura. Una dolcezza di fondo che non significava arrendevolezza, mancanza di fermezza. Un modo di essere meno subalterno e più dignitoso che ritrovavamo anche negli esempi di donne impegnate in politica. Penso a Tina Anselmi, penso a Nilde Jotti.
Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti e le stagioni della vita si sono mosse in tutt’altro senso.
E il clima mentale è venuto raffreddandosi sempre di più, diventando il nuovo spirito del tempo.
Un tempo in cui la quint’essenza del machismo volgare poteva deridere senza suscitare sdegno (anzi, strappando compiaciuti sorrisi ironici) una parlamentare assolutamente rispettabile come Rosy Bindi; definita da Berlusconi “più bella che intelligente”. E da che pulpito…
Tutto questo perché era avvenuto qualcosa di terribile, come segnalava Maria Grazia Turri nel suo “Manifesto per un nuovo femminismo” (Mimesis, 2013): il ritorno in campo di un pensiero reazionario intenzionato a ripristinare antichi rapporti di forza tra i generi, alla base del paradigma gerarchico patriarcale.
«Dopo più di trent’anni di una cultura che esalta con tutti i mezzi l’individualismo non possiamo non pensare che i nostri comportamenti, le nostre esperienze e le nostre riflessioni ne siano rimasti immuni, così il femminismo non ne è stato esentato e ha alimentato il suo risvolto psicanalitico, il narcisismo» (pag.31).
Per cui oggi i modelli del protagonismo al femminile sono diventati “la donna in carriera”, più maschio del maschio, e “la donna oggetto”, predatrice attraverso il richiamo sessuale.
Sempre meno donne, sempre più uome.
Appiattite su un immaginario maschile che le condanna alla subalternità.
Spettacolo deludente riproposto in Liguria dallo scenario locale delle nostre “quote rosa”: la Paita, soprannominata “Lella te spiezzo in due”, la Roberta Pinotti, che quando era deputata sgomitava per sostituire il maschietto Forcieri come referente della lobby delle armi, l’Ilaria Cavo, guardiana in regione dell’estetica Mediaset, in nome della quale ha spianato un’istituzione meritevole come la Fondazione Palazzo Ducale per renderla “più glamour”.
Personaggette indifferenti alle parità di genere e concentrate solo sulla carriera.
Maura Galli