Non è l’immagine da cartolina, ma sono i dettagli che restano impressi nella memoria. E Volastra, piccolissimo borgo delle Cinque Terre a picco sul mare, resterà legato ai profumi, alle macchie di colore, a quella sensazione di sereno distacco prossima alla felicità: ricordi sensoriali che ogni tanto torneranno a galla per riportarmi lì, a vivere quei momenti d’incanto.
Come tutte le cose belle, Volastra va conquistata con un’oretta buona di salita, lasciandosi alle spalle Manarola per arrampicarsi lungo il sentiero n. 586, che alterna tratti in piano a erti gradoni in pietra.
Il giallo dei ciuffi di ginestra abbaglia e il profumo è inebriante.
Manarola
Intorno il paesaggio inconfondibile delle Cinque Terre, non a caso riconosciuto dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità per l’armonioso legame che si è instaurato tra la natura e l’attività dell’uomo. Accanto a distese di erica che provano a invadere spazi abbandonati, si coglie l’opera dell’uomo che a poco riconquista il terreno, ripristinando gli antichi terrazzamenti e ricostruendo i tradizionali muretti a secco.
Non si sente la fatica della salita, ogni scorcio è un piccolo quadro: le macchie scure degli olivi prossimi alla fioritura che contrastano con il rosso vivace di tremuli papaveri, il blu del mare che si confonde con il cielo, i muri colorati delle case che fiancheggiano i caruggi del paese.
Ecco Volastra finalmente, che già nell’origine del nome, vicus oleaster, racconta il rapporto storico del villaggio con gli olivi.
Ma qui oggi sono soprattutto i vigneti a essere protagonisti indiscussi del paesaggio. Coltivazioni eroiche su terreni impervi, che nel tempo si sono evolute e in parte meccanizzate grazie anche all’uso delle monorotaie a cremagliera, senza perdere però quel legame inscindibile con le radici storiche.
Mi accompagna in questo affascinante viaggio tra le fasce, i cian come le chiamano qui, Luciano Capellini, con sette generazioni di viticoltori alle spalle e una cantina nel cuore di Volastra, da cui ogni anno escono oltre 10.000 bottiglie: Cinqueterre, Schiacchetrà e non solo. Il racconto di 2000 anni di storia del borgo, legata all’addomesticamento della vite e alla produzione di vini straordinari si snoda nel MUVI, il museo all’aperto dedicato al vino che Luciano ha realizzato poco fuori da Volastra, lungo il sentiero che porta a Corniglia.
Qui è rappresentata l’evoluzione della coltivazione della vite, prima pergola bassissima (autedo) sostenuta da canne, poi innalzata con un reticolo di fili zincati, fino ad arrivare ai filari odierni, che sviluppandosi in altezza riscoprono alla vista la bellezza dei muretti a secco. E qui è ancora conservato un cimelio storico, un motocarro che faceva funzionare una sorta di teleferica per trasportare le ceste d’uva vendemmiata.
Le principali varietà coltivate sono Bosco, autoctona ligure di buccia spessa, perfetta per l’appassimento in Sciacchetrà, Albarola e Vermentino.
Oggi sui tralci già compaiono piccoli grappoli, che a fine estate avranno acini gonfi e maturi pronti per la vendemmia, partendo dalle uve destinate allo Sciacchetrà, che saranno messe a passire sui graticci prima di essere morbidamente pressate e iniziare il lungo viaggio di macerazione e affinamento secondo tradizione.
E poi la vendemmia della Cantina Capellini proseguirà con il Cinqueterre, straordinario bianco che racchiude i profumi di questa terra aspra e della brezza marina che l’accarezza, il Vin de Gussa, il “vino di buccia” ottenuto dagli acini ancora impregnati del mosto dello Sciacchetrà uniti alle ultime torchiature di Cinqueterre, e il Menestrun d’ua, unico da bacca rossa di varietà diverse, un “minestrone d’uva” appunto, raccolte e lavorate a fine vendemmia.
Accanto al MUVI, si trova l’Agrivino, un angolo degustazione straordinario, dove si possono assaggiare i vini della Cantina Capellini seduti sotto freschi pergolati o tra i filari, con un calice in mano e lo sguardo che si perde nel mare.
Chissà che spettacolo deve essere un tramonto da qui, dimenticandosi del resto del mondo!
A malincuore mi preparo ad affrontare la discesa verso Corniglia, lungo sentieri stretti e ripidi, ma meno frequentati di quelli della parte bassa del Parco delle Cinque Terre. Immancabile però l’incontro con la turista straniera in ciabattine rosa, che farebbe sorridere se non fosse per il rischio a cui leggerezze di questo tipo espongono lei e gli eventuali soccorritori.
Il rientro a Corniglia segna il passaggio un po’ brusco dalla dimensione rurale e tranquilla, che non pensavo di trovare qui, a quella del turismo caotico e affollato caratteristico delle mete più note. Ma anche a Corniglia la bellezza non manca, con il mare che lambisce lo sperone di roccia su cui è arroccato il borgo e Manarola là sullo sfondo.
Qualche consiglio per vivere al meglio la giornata:
- arrivate a Manarola in treno. Il turismo sostenibile è tale non solo per l’ambiente ma anche per noi: scegliere il treno evita lo stress da ricerca del parcheggio e code in autostrada e lascia una maggiore libertà al cammino. E arrivati a Corniglia potrete decidere di riprendere il treno del ritorno o proseguire fino a Vernazza.
- visitate l’info point del Parco Nazionale delle Cinque Terre alla stazione di Manarola: dove chiedere eventuali indicazioni sui sentieri (per l’itinerario descritto non serve acquistare la card del Parco).
- indispensabile indossare scarponcini da trekking e affrontare l’escursione di buon mattino, perché verso mezzogiorno il sole è a picco. E proteggete le ginocchia, un paio di bastoncini da trekking fa miracoli!