Fin dalla nascita della società, il ruolo della donna nel lavoro è stato molto marginale, se non nullo. A loro era affidato principalmente il lavoro nei campi e quello domestico. La donna era, infatti, considerata inferiore all’uomo a causa delle differenze fisiche che la rendevano meno adatta a compiti più impegnativi quali, ad esempio, la caccia.
Donne e lavoro: un piccolo excursus storico
Per tutto il Medioevo, e poi ancora nei secoli successivi, il lavoro femminile si è limitato a compiti umili che ruotavano per lo più attorno al focolare domestico.
Fu solo all’inizio dell’Ottocento, che la donna iniziò a trovare una collocazione lavorativa vera e propria. Grazie all’avvento delle fabbriche, del processo di industrializzazione e del massiccio programma di urbanizzazione che ne conseguì.
La società stava cambiando e il suo sviluppo portò un profondo mutamento nel modus vivendi comune. Si iniziò, infatti, a parlare di autonomia femminile. L’accesso delle donne ad un livello di istruzione superiore permise ad alcune di loro di poter diventare insegnanti, segretarie, infermiere, commesse o operaie.
Nonostante il ruolo femminile all’interno della società avesse cominciato a evolvere, però, la retribuzione loro destinata era comunque inferiore rispetto a quella dei colleghi maschi. E ancora si subivano discriminazioni di genere da parte di quella mentalità maschilista che voleva la donna limitata nel ruolo di casalinga, moglie e madre.
Finalmente, sul finire del XIX Secolo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, iniziarono a nascere le prime associazioni femminili con l’obiettivo della conquista del diritto di voto e di partecipazione all’attività politica.
Agli inizi del ‘900, proprio in Gran Bretagna, il movimento delle “suffragette” si fece notare in tutto il mondo – finendo agli albori della cronaca britannica, europea e internazionale – attraverso una serie di scioperi della fame, della sete e – soprattutto – una lunga serie atti vandalici spesso molto violenti.
Nel 1914 scoppiò, però, la Prima Guerra Mondiale. E quei piccoli successi che i movimenti femministi erano riusciti a conseguire dopo lunghe ed estenuanti battaglie vennero accantonati. Vanificati. Con il conflitto, uomini e donne tornarono a ricoprire i ruoli originari.
Ma nel corso della guerra, avvenne qualcosa di impensabile fino a quel momento.
Le donne dovettero sostituire gli uomini partiti per il fronte in tutti i mestieri. Anche quelli più faticosi – fino ad allora esclusiva dell’universo maschile – quale il conduttore di tram o il tecnico d’impresa.
Dopo la Grande Guerra venne quindi concesso loro il diritto di voto in ventuno paesi. Ma la parità di genere restava ancora un’utopia.
Il successivo Secondo Conflitto Mondiale non migliorò la situazione. Anzi, contribuì ad un notevole passo indietro. In Italia il fascismo, basato su una cultura maschilista e patriarcale, ri-pose le basi di uno stereotipo di donna “angelo del focolare”, dedita non solo alla cura della casa, ma anche madre prolifica e moglie ubbidiente.
Fu solo negli anni che seguirono la fine della Guerra che la donna tornò a ricoprire un ruolo attivo nella società.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le donne che aspiravano a conquistare un’indipendenza economica erano sempre di più.
Il periodo del cosiddetto “boom economico”, infatti, portò un cambiamento epocale nella società e nel costume.
A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ad esempio, aumentarono considerevolmente le studentesse iscritte alle Università. E – di conseguenza – le donne iniziarono a ricoprire incarichi mai svolti prima di allora. Negli anni ’80 e ’90, poi, era diventato comune vedere molte posizioni tipicamente maschili, quali quella del magistrato, del poliziotto e del dirigente, ricoperte da donne.
Donne e lavoro: ritorno al presente
Oggi però, nonostante gli importanti passi avanti compiuti dalle donne all’interno del mondo del lavoro resta ancora molta la strada da percorrere per raggiungere quella completa parità tra maschi e femmine da sempre auspicata.
L’Italia è, infatti, il paese europeo dove la presenza femminile nei ruoli aziendali con responsabilità dirigenziali è la più bassa in assoluto: il 18% contro una media europea che sfiora il 30%.
Basti pensare come gran parte della società commenti con stupore la notizia della presenza di una donna ai vertici di un’azienda. Inoltre, le donne continuano a ricevere salari inferiori a quelli dei colleghi maschi anche a parità di ruolo e prestazioni.
La spiegazione a tutto ciò è da ricercare nel modello culturale “maschilista” che, nonostante le tante lotte e le numerose vittorie ottenute con sangue e sudore, ha continuato ad essere tramandato.
La donna, sul luogo di lavoro, è spesso vista più come un (potenziale) problema che come una risorsa. Questo perché a differenza del dipendente uomo, può decidere – ad un certo punto della propria vita – di diventare madre e di assentarsi dal lavoro per un periodo di maternità (previsto per legge fin dal 1902 e poi ampliato nel 1956) per dedicarsi alla prole nei suoi primi anni di vita. (Questo anche a causa – spesso – dell’elevato costo di asili nido e baby-sitter.)
Un esempio recente è avvenuto lo scorso marzo. La donna in questione è Lara Lugli, giocatrice di pallavolo. Il caso di Lara è noto: l’atleta nel 2018 ha firmato un contratto con la squadra del Pordenone, poi – tre anni dopo – è rimasta incinta. La società non solo l’ha allontanata bloccandole lo stipendio. Ma le ha chiesto pure un risarcimento per i danni subiti. Lara non c’è stata a subire in silenzio quest’ingiustizia. E in occasione dell’8 Marzo, Festa della Donna, ha pubblicato la vicenda sui suoi profili social, scatenando un forte sdegno pubblico.
Insomma, anche nel 2021, le barriere e le discriminazioni imposte alle donne nel mondo del lavoro restano molte (checché se ne dica).
Oggi, essere una donna lavoratrice non è certo più facile di quanto lo fosse due secoli fa. Mobbing, molestie sessuali, prevaricazioni di genere, trattamento salariale differente… I problemi con cui può doversi confrontare una lavoratrice moderna non sono certo pochi…
Per fortuna, però, c’è anche chi ce la fa e quella maledetta piramide gerarchica riesce a scalarla. Con tanto impegno, costanza, e sacrifici.
Si pensi – tanto per fare qualche nome – ad Alessandra Galloni, 47 anni, di Roma, che il 13 aprile scorso è diventata la prima donna in 170 anni di storia a capo della storica agenzia di stampa britannica “Reuters”. O a Maria Chiara Carrozza, pisana, classe ’65, che neanche un mesa fa ha assunto la guida del nostro Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). E ancora, a Samantha Cristoforetti “AstroSamantha”, la prima astronauta donna italiana ad essere andata nello Spazio. Era il 2014. Oggi, Samantha è stata scelta per una nuova avventura a bordo della Stazione Spaziale Internazionale che si terrà nella primavera 2022.
Che dire…Che la strada per le donne nel mondo del lavoro sia ancora lunga è palese. Sfido chiunque a dire il contrario. Ma la tenacia delle donne, si sa, non è cosa di poco conto!