Ogni mattina, da quasi due anni a questa parte, gli italiani si svegliano con due certezze: di dover lottare con una pandemia globale e fare i conti con una crisi economica senza precedenti.
Crisi che ha pesato soprattutto sulle spalle di piccoli esercenti, imprenditori e liberi professionisti, costretti ad un certo punto a prendere decisioni difficili. Tante, troppe, saracinesce sono state abbassate, infatti, per l’ultima volta.
Molti, invece, hanno provato a resistere, a tenere duro. Investendo anche i propri risparmi. Tutto in nome del proprio lavoro, delle proprie seconde “case”, dei propri collaboratori – che in molti casi sono seconde famiglie – e dei propri clienti.
Quei cari clienti che, tra mesi di lockdown e riaperture un po’ alla spicciolata, si è visto molto di rado.
Se a gennaio 2020 ci avessero detto che nel giro di un paio di mesi saremmo stati tutti (Italia e Mondo) messi in ginocchio da un virus venuto dalla Cina non ci avrei creduto. Probabilmente, mi ci sarei anche fatta una risata sopra.
Io che – come molti – avevo come unica “preoccupazione” seguire gli sviluppi giornalieri dell’accesa discussione tra Bugo e Morgan scoppiata in prima serata sul palco di Sanremo (e dire che a me neanche piace il “gossip”).
Eppure eccoci qui, un anno e mezzo dopo, a “festeggiare” un 1° Maggio che di Festa del Lavoro e dei lavoratori ha molto poco.
Se per alcuni, infatti, la vita quotidiana lavorativa non è poi cambiata granché – avendo al massimo subito qualche cambiamento nella modalità che prima si svolgeva in ufficio mentre ora avviene dal divano di casa – per altri, invece, è stata completamente stravolta.
E le “soluzioni” non sono state certo meglio del Male. Specialmente per certe categorie lavorative (quali baristi, ristoratori, palestre, addetti all’organizzazione di cerimonie ed eventi,, atleti, artisti, trasfertisti, etc…) le cosiddette “soluzioni” forse sono state anche peggiori.
“Stop and go”. Oggi si riapre domani no. Aspetta però, oggi è venerdì, scatta il nuovo colore. Giallo? Arancione? Rosso? Bho…e il birulò? Mah, chi ci capisce è bravo.
Provi ad adeguarti alle norme – tante e spesso confusionali – che ti vengono imposte. Ma poi, non ti mettono comunque nelle condizioni di poter lavorare. Con i bollettini che, per l’indomani, ti impongono una chiusura forzata dopo che ti sei organizzato con fornitori, cuochi e camerieri e hai già preparato la sala o il bar per accogliere i clienti. Ricordate il caso di San Valentino?
Poi però il problema è stato risolto. Quello delle comunicazioni. Non del Covid.
Al venerdì si sapeva se dalla settimana successiva si sarebbe potuto lavorare o no. Così da poter un minimo programmare l’attività.
E intanto i mesi così passavano. Tra uno “stop and go” e l’altro. Tra una frustrazione collettiva e l’altra. Tra una protesta e l’altra.
“L’Italia – si legge all’articolo 1 della Costituzione – è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Dunque non sorprende la rabbia dei lavoratori.
Ma siamo sicuri che la colpa di tutta questa situazione sia solo del Covid-19, venuto a romperci le scatole dalla Cina?
Siamo sicuri che la colpa sia solo delle Istituzioni che non hanno saputo gestire come si deve quest’emergenza senza precedenti?
Lungi da me, la presunzione di avere tutte le risposte. Ma dall’alto della mia “ignoranza”, come tutti, mi pongo delle domande e provo a darmi qualche risposta.
E’ vero, il Covid avrebbe potuto benissimo restarsene dov’era. E’ vero sono stati fatti degli errori sia al livello di amministrazione centrale che locale.
Ma forse un po’ di responsabilità ce l’abbiamo anche noi? No?
Noi cittadini, noi persone comuni. Tutti noi – singoli individui – che nel nostro quotidiano non abbiamo saputo resistere alla tentazione di un aperitivo al bar con il gruppo di amici che manco dopo una partita del derby Genoa-Samp.
O ad pranzo in famiglia, rigorosamente in casa s’intende, ma con anche zii, prozii, nonni, bisnonni, cugini e nipoti di 4° grado. Tanto che ci mancavano magari giusto un paio di persone per completare l’intero albero genealogico.
Noi che “per carità il compleanno è sacro. Vuoi non far festeggiare il 18esimo a mia figlia? Eh no, non esiste!” Noi che non diciamo di no al viaggio all’estero perché “altrimenti non è vita”. Noi che ad una chiacchierata tra compagni di scuola, tutti attaccati l’uno all’altro in piazza rigorosamente con mascherine abbassate e sigarette in mano, non abbiamo mai rinunciato.
E chissenefrega se dall’altra parte della barricata c’è qualcuno che deve restare attaccato a dei respiratori polmonari in un reparto di terapia intensiva per 3 mesi di seguito per restare vivo.
Poco importa se poi medici, infermieri, tecnici ospedalieri e personale sanitario devo quadruplicare i propri turni di lavoro, massacranti, fino all’esaurimento delle proprie forze.
Chissenefrega se, per dei futili capricci momentanei, poi delle persone – onesti lavoratori – saranno costretti a tenere chiuse le proprie attività per dei mesi, dovendo ricorrere alle associazioni benefiche per poter sfamare la famiglia.
…Ma del resto, il “buon senso” è una questione soggettiva…
Io, pur non avendo tutte le risposte, come tutti, mi pongo delle domande. E credo che una “mea culpa” generale un po’ sia d’obbligo.
Questo 1° Maggio, comunque, doveva essere all’insegna della ripartenza. Del lavoro e del Paese. Staremo a vedere…
Intanto ci si mette di mezzo anche il clima…
Chiara Biffoni
Direttore Responsabile di Liguria.Today