Negli articoli precedenti abbiamo parlato di alcune famose zone commerciali dell’antica Roma, i mercati all’aperto del Foro Boario, del Foro Olitorio e del Foro Piscario. Se questi luoghi derivano concettualmente dall’antica agorà greca, il mercato coperto per la vendita di prodotti di ogni genere è un unicum del mondo romano, che si diffonderà in tutte le province.
Il Macellum
In età imperiale nasce infatti il Macellum, dal cui nome derivano oggi “macello” e “macellaio”, ma che per i romani indicava un mercato dove si vendeva di tutto, inclusa la carne. Una specie di supermarket o di centro commerciale dei giorni nostri. Si trattava di un edificio di grandi dimensioni, in genere di forma circolare o quadrangolare con una corte interna scoperta e circondata da porticati che ospitavano le tabernae.
Un’altra ipotesi sull’origine del nome è sostenuta da Festo, il quale narra di un tale Macello che, macchiatosi di crimini e furti, venne punito dai censori romani nel 573 a.C. con la confisca della sua casa, successivamente adibita alla vendita di vivande.
Roma ebbe il suo primo Macellum nel III secolo a.C., ma quello su cui sono giunte più notizie certe è il secondo Macellum, edificato nel 179 a.C. da Marco Fulvio Nobiliore in una zona a nord del Foro Romano, nell’antica Suburra. Nei secoli successivi a questo si aggiunsero il Macellum Liviae e il Macellum Magnum.
Il primo fu edificato nel 7 a.C. sull’Esquilino da Augusto e dedicato a sua moglie Livia; sono stati rinvenuti i resti di un porticato di 80×25 metri, che dovrebbe aver ospitato il mercato fino al III secolo d.C., quando fu incorporato in residenze private. Il Macellum Magnum, invece, risale al 59 d.C. e fu costruito sul Celio dall’imperatore Nerone. Si ergeva sul sito dell’attuale chiesa di Santo Stefano Rotondo ed era rappresentato sulle monete coniate in quel periodo.
Era un edificio circolare, a due piani, sormontato da cupola e circondato da un portico esterno. Anche in questo caso, si conservano le fondazioni e parte del colonnato. La chiesa del V secolo, voluta da Papa Simplicio, ne riprese interamente la struttura circolare per essere poi rimaneggiata nei secoli successivi.
Agli inizi del II secolo d.C. risalgono invece i più famosi Mercati di Traiano, voluti dall’imperatore e forse attribuibili all’architetto Apollodoro di Damasco. Si trovano alle pendici del colle Quirinale, confinanti con il Foro di Traiano e, per sfruttare il poco spazio scosceso disponibile, prendono la tipica forma di esedra semicircolare e si articolano su sei piani. La via Biberatica, ben conservata in basolato, li attraversa costeggiandone gli edifici. In realtà doveva trattarsi di un sito polifunzionale e contenere uffici forensi e archivi, oltre alle tante attività commerciali e alle tabernae. Queste erano stanze con struttura modulare e volta a botte, con un’ampia porta sormontata da una finestra che spesso illuminava un soppalco o mezzanino.
Solitamente le tabernae si trovavano anche nel piano terra delle insulae (le abbiamo descritte, ad esempio, anche parlando delle case ipogee al Celio, presso il Clivo di Scauro). Ma è dagli scavi di Pompei e di Ostia antica che, sicuramente, sono giunte a noi le maggiori informazioni su questi locali. Il nome deriva da tabula (tavolo), cioè il banco di vendita prospicente la via, che poteva essere in legno o in muratura. L’ingresso era spesso ornato con pitture o rilievi che richiamavano le merci trattate, le cosiddette “insigna”. I banchi delle osterie e dei thermopolii, gli odierni bar, disponevano di fornelli e di diversi contenitori in terracotta. All’interno si trovavano mensole e armadi e spesso, sul retro, un’ulteriore stanza aveva la funzione di magazzino per la raccolta delle merci.