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Centrare la vera questione dietro le semplificazioni : dire di no alla “spontaneità istituzionale”

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Mentre monta la polemica che tiene banco ingiustificatamente da ore circa le esternazioni del Papa e della Presidente del Consiglio, non possiamo  “lasciarci fuorviare” da quelli che sono effettivamente “i nodi della questione” : non è l’utilizzo di un linguaggio inappropriato da parte di una Alta Carica Istituzionale o di un Alto Prelato a doverci scandalizzare, ma lo sdoganamento di una “spontaneità istituzionale” di cui non sentivamo davvero il bisogno.

In merito alla parola “ frociaggine”, riferita e attribuita in queste ore  a Sua Santità, c’è da dire che è estranea al vocabolario Treccani, che annovera solo il termine “ frocio” , derivato probabilmente a sua volta dalla parola “froscè”, storpiatura  di provenienza dalla parlata romanesca ed utilizzata inizialmente come dispregiativo verso i soldati francesi, senza riferimenti al loro orientamento sessuale, e che solo successivamente ha poi assunto una “trasformazione semantica”, indicando specificatamente persone di orientamento omosessuale e di genere maschile e che il suffisso “ aggine” conferisce al termine la valenza di concetto. Ed è quello il punto: ammesso che la parola sia volata, ciò che è mancata non è solo l’aderenza o la coerenza o il riguardo per le persone di orientamento omosessuale, ma la forma, il rispetto, la compostezza necessaria per poter poi pronunciare “qualsiasi opinione, anche la più aberrante” .

Non è mai una buona idea proferire “la prima cosa”che ci viene in mente e questo in generale, soprattutto se le parole sono il termometro del clima sociale, sono per così dire performative, creano realtà e situazioni e vanno ad incidere pesantemente sul nostro quotidiano e su diritti e risultati acquisiti, bisogna sceglierle bene, ma più ancora ed è “questo” il tema,  bisogna utilizzare  il “contegno istituzionale”. Di recente, sempre a tema,  la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, non ad una cena tra amici, ma in visita istituzionale ed a microfoni aperti, sente il bisogno di “prendersi una rivincita” sull’ avversario politico De Luca, che l’aveva definita “ Stronza” precedentemente. Il problema non è soltanto il linguaggio, è il ruolo, è il contesto: se in privato la Presidente Meloni lo avesse apostrofato allo stesso modo, sarebbe stata una scelta personale, più o meno opinabile, più o meno elegante, ora invece riguarda tutti noi.

Manca quella regolamentazione necessaria che esisteva tra “foro interno ed esterno”, contegno ed eleganza, vendetta personale e ruolo pubblico. E’ lecito che una alta carica dello Stato si sveli dicendo “la prima cosa” che le passa per la testa? C’è nostalgia finanche di quei politici e di quei prelati talvolta, che passavano il tempo a cercare di dire almeno “ la seconda cosa”, quella pensata meglio, quella vaga, allusiva, velatamente tagliente, non figlia della “genuinità” certamente oggi  sopravvalutata,  ma della “opportunità istituzionale e politica”, la parola accorta,  quella diplomatica, che non offende nessuna minoranza e non attacca diritti acquisiti e non scalda un clima sociale già teso su certi temi e che soprattutto definisce, senza svilire, i passi fatti nella direzione della civiltà, che non tengono conto delle “ questioni personali” nell’esercizio di un alto compito, come quello di rappresentare lo Stato in un territorio come quello di Caivano, che necessita di riqualificazione e coraggiose scelte politiche. E’ senz’ altro una provocazione questa, ma davvero non si sentiva il bisogno di sdoganare la spontaneità in alte sfere.

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