Si è tenuta ieri pomeriggio presso la Chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Di Negro la S. Messa di Natale del CEIS (Centro di Solidarietà di Genova), celebrata dal Vescovo di Genova Marco Tasca; su questa lieta occasione grava la decisione del governo di tagliare le risorse per i minori migranti non accompagnati di sedici anni o più e delle conseguenze sulle attività di integrazione portate avanti da questa realtà e da molte altre su tutto il territorio nazionale.
Il CEIS, che compierà cinquant’anni a maggio, è una delle principali associazioni di volontariato sul territorio genovese. Fondata nel 1974 da Bianca Costa Bozzo per dare una risposta umanitaria e umanitaria al problema crescente della tossicodipendenza di quel periodo (in un’epoca dove le alternative per chi ne soffriva erano il carcere o un reparto di psichiatria), il CEIS oggi risponde a diverse problematiche sociali che affliggono la città. L’associazione infatti si propone come scopo di dedicarsi alle persone più fragili della società, vittime di dipendenze, prive di casa o lavoro, in fuga dal proprio paese. Tra le realtà di cui si occupa, i migranti minori non accompagnati, un tema che in città ricorre spesso in termini di allarme o problema sociale e che rischia di sfuggire di mano.
L’annuncio del governo ha lasciato perplessi tutti gli operatori che hanno a che fare con questi ragazzi
Non è così banale dare un’età precisa ai giovani che arrivano nel nostro Paese: molti non hanno i documenti con sé e gli esami, anche invasivi, non sempre danno esiti certi. I migranti tra i 16 e i 18 anni sono la maggioranza dei minori non accompagnati che arrivano ogni anno in Italia e la decisione sembra presa per motivi meramente economici ma senza uno sguardo d’insieme sulle ricadute sociali.
Le leggi varate dai governi precedenti – come la legge 47 del 2017 – prevedono maggiori tutele per i ragazzi, come l’accoglienza in strutture separate, l’accesso ai servizi scolastici e altri servizi. Ciò si traduce in un costo dai 70 ai 100 euro giornalieri per ragazzo a fronte dei 30 euro al giorno per un adulto. Motivo per cui, secondo il governo Meloni, molti migranti maggiorenni mentirebbero sull’età oltre che per evitare il rischio di essere espulsi dal Paese. Una realtà che tuttavia non trova riscontro nelle strutture e nelle associazioni che si occupano di minori migranti, come il CEIS, come testimoniato anche da Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà di Trieste, sulle pagine del Fatto Quotidiano a settembre. La maggior parte piuttosto mente per sembrare più grande e uscire prima dalle maglie dell’accoglienza allo scopo di cercare lavoro.
Con questo emendamento alla legge di bilancio, tuttavia, ai giovani migranti sarebbe garantito un letto e il cibo, ma nulla di più. Una scelta che preoccupa, non solo perché le strutture per adulti sono spesso già piene e sarebbe difficile garantire uno spazio dedicato per i giovani, ma anche perché la prospettiva che si configura così è lasciare dei minorenni al totale sbando, in cerca di lavoretti senza un titolo di studio o prospettive per il proprio futuro.
Aumentare di 60 giorni il periodo di accoglienza dei ragazzi trattati come adulti non è una misura sufficiente
I giovani dai 16 ai 18 anni potranno rimanere nei centri di accoglienza fino a un massimo di 150 giorni, rispetto ai 90 previsti per gli adulti. Non è chiaro tuttavia cosa sarà di loro passato questo periodo, soprattutto visto che non avranno più accesso a servizi garantiti come corsi di lingua italiana d’assistenza per ottenere almeno il diploma di terza media.
Si profila quindi un aumento di ragazzi sulle strade senza competenze linguistiche né titoli minimi di studio, che faranno ancora più fatica a integrarsi nella società italiana. Il rischio maggiore è che, per sopravvivere e mettere insieme dei soldi da mandare alla famiglia nel paese di origine, questi ragazzi siano più esposti alla criminalità organizzata.
Viene dunque da chiedersi quanto costerebbe al giorno per la collettività ognuno di questi ragazzi se dovesse finire in carcere per reati minori. Secondo l’associazione Luca Coscioni, nel 2022 il 30% della popolazione carceraria in Italia stava scontando una pena per reati di piccolo spaccio. Considerando lo stato delle carceri liguri e italiane – tutte sostanzialmente in sovraffollamento, con un aumento significativo dei reati violenti e dei suicidi – è una scelta lungimirante tagliare le risorse per circa 20.000 ragazzi con il rischio di doversene poi prendere cura come detenuti, anziché dar loro gli strumenti per crearsi un futuro alla luce del sole?
Minori che scompaiono: in Italia ogni giorno si perdono le tracce di 53 minori
Oltre al tema della piccola criminalità, dovrebbe preoccupare l’aumento dei minori non accompagnati che scompaiono ogni giorno sulle strade delle nostre città. L’Osservatorio dei Diritti quantifica 53 sparizioni di minori ogni giorno, di cui il 77,94% sono stranieri (7.503 ragazzi e bambini solo nella prima metà del 2023). Minori che spesso non sono cercati da nessuno – se non i volontari delle associazioni di accoglienza con cui hanno a che fare – e per i quali non si accendono i riflettori dei media. Meno di un minore straniero scomparso su tre viene rintracciato, a oggi in Italia. Che fine fanno questi giovani?
Il primo mercato in cui finiscono è il traffico degli organi, un giro che per la criminalità organizzata sta diventando redditizio quanto la droga. Secondo Global Financial Integrity, si parla di almeno 12.000 trapianti illegali l’anno, per un business che potrebbe valere fino a 1,7 miliardi di dollari. I minori non accompagnati sono un terreno di caccia eccezionale in questo senso, ragazzi giovani e in salute che nessuno reclamerà. Poi c’è lo spaccio, appunto, e lo sfruttamento lavorativo o sessuale.
Uno scenario a tinte fosche che richiederebbe forse di aumentare le risorse per tenere al sicuro questi giovani dalla criminalità, mettendo sulla bilancia il costo sociale che questo risparmio avrà sul medio e lungo termine per tutta la collettività.
Il vescovo di Genova e il presidente del CEIS ai nostri microfoni hanno ribadito l’importanza di occuparsi dei minori migranti
«La legge sembra che voglia togliere delle risorse e soprattutto fa pensare che questi ragazzi abbiano bisogno solamente di un letto e di un pasto e non è così», ha dichiarato Enrico Costa, presidente del CEIS. «Questi ragazzi devono essere accompagnati a inserimento nella vita, quindi vuol dire tanta istruzione, tanta educazione, formare da questi ragazzi degli uomini che poi possono stare da noi, tornare al Paese, andare in Francia, dove vogliono… però noi abbiamo la responsabilità e siccome abbiamo la capacità di farlo, abbiamo un dovere morale di assistere».
La perplessità, continua Costa, è data da questi tagli: «Come enti, non siamo altro che un braccio operativo delle istituzioni, quindi che senso ha mortificare noi che ci prodighiamo al posto delle istituzioni? Qual è il motivo? Dovrebbe essere il contrario, dovrebbero incentivarci, no?».
Il CEIS in questo momento si sta occupando di circa 120 minori migranti provenienti dall’Africa, dal Medio Oriente, dal Nord Africa e dall’est Europa. «A parte alcuni casi di persone un po’ turbolente, direi che sono ragazzi veramente carichi di entusiasmo e voglia di lavorare. Alcuni partono un po’ svantaggiati perché non sanno neanche una lingua compatibile con noi, parlano dei dialetti arabi o dell’interno dell’Africa e qui bisogna accompagnarli proprio a partire dall’alfabeto. C’è un lavoro grosso da fare con loro, è per quello che pensare che vadano in una comunità per adulti dove la logica è solamente domiciliare è una cattiveria nel loro confronti».
L’integrazione, conclude Costa, fa parte della storia della nostra città
«Genova ha sempre accolto le persone anche d’altri territori: i Fenici anticamente, gli Etruschi prima, i Longobardi, i barbari, i Francesi, gli Spagnoli… sono arrivati tutti da noi e noi siamo un popolo che siamo un po’ figli di tutto questo cocktail di gente, quindi non dobbiamo spaventarci se questi ragazzi sono arrivati con una barca piuttosto che in un modo improvvisato», spiega il presidente del CEIS. «I barbari quando sono arrivati hanno ripopolato Genova, che nel Medioevo aveva 30.000 abitanti e proprio in virtù delle forze nuove che sono arrivati la città è ripartita. Durazzo (uno dei cognomi nobili di Genova, NdR) veniva dalla Albania! Quindi non c’è bisogno di aver paura della gente nuova».
Monsignor Tasca: «Essere cristiani vuol dire credere nell’integrazione. I giovani hanno bisogno di speranza»
«Sono contento di poter celebrare questa sera con il CEIS questo bel momento. Vivere con il CEIS vuol dire vivere di speranza, vivere di futuro, vivere con gente che dà speranza e che dà futuro. Certo, abbiamo dei problemi molto reali, minori, il governo, cosa farà e gli enti locali cosa faranno. Ma credo che la cosa più importante è che noi siamo portatori e insegniamo un po’ questa speranza, perché i nostri giovani oggi serve questo», ha commentato anche il Vescovo di Genova, Marco Tasca. «Hanno bisogno di una speranza per andare avanti, per credere nel futuro, e noi adulti siamo chiamati a dare la mano a questi giovani. Quindi io davvero credo che sia importante oggi questa festa per noi, perché questo momento dà speranza, dà fiducia, il mondo ne ha bisogno disperatamente di speranza».
Essere cristiani, ha continuato Padre Tasca, vuol dire «credere che siamo tutti i figli di Dio, quindi siamo fratelli e sorelle. Questo è il motivo per cui noi cristiani crediamo nell’integrazione. E questo vuol dire credere ancora di più che siamo tutti i figli di Dio, a partire da chi mi sta accanto nella mia casa, da chi lavora con me, da chi incontro nell’autobus… siamo tutti i fratelli e sorelle. Partendo dai più prossimi, saremo capati anche di accogliere in maniera serena e semplice tutte le persone che avranno bisogno un po’ del nostro aiuto e del nostro sentirli vicini».
La richiesta del CEIS ai rappresentanti delle istituzioni per supportare l’associazione nelle sue azioni con i minori migranti e non solo
Ricordando l’impegno della madre, Enrico Costa ha ribadito l’idea alla base del CEIS, creare una comunità forte in cui le persone più fragili possano trovare aiuto e assistenza ma possano anche costruirsi gli strumenti per rimettersi in piedi e diventare cittadini autonomi e indipendenti. Un impegno che richiede il supporto morale ed economico in primis degli enti locali, prima ancora che del governo nazionale.
Costa ha ringraziato anche gli altri enti sociali attivi sul territorio di Genova, gli operatori, i volontari e anche i ragazzi migranti che hanno deciso di partecipare alla celebrazione liturgica. «Essere insieme aiuta tantissimo». Una richiesta anche a Padre Tasca di pregare perché chi ha raccolto il testimone da Bianca Costa Bozzo sia degno di continuare il suo lavoro e delle aspettative dei ragazzi che dipendono dall’associazione per il loro inserimento nella comunità genovese.
Ti potrebbe interessare anche:
Genova si trasforma: fra ricostruzioni e polemiche, Bucci raccoglie la sfida