Ci sono due ricorrenze in questa prima metà di dicembre che hanno speciale rilevanza per la storia di Genova e d’Italia.
La prima è il 5 dicembre.
In questo giorno, nel 1746, durante la guerra di successione austriaca (1740-48), nel sestiere di Portoria il monello Giovanni Battista Perasso, detto Balilla, lanciò il fatidico sasso contro un ufficiale dell’esercito occupante austriaco (alleato del Piemonte) chiamando alla rivolta i Genovesi al grido di battaglia “Che l’inse?” (dal verbo intransitivo insâ o inçâ, “cominciare a consumare qualcosa” o “dare inizio a qualcosa”; quindi: “La comincio?” ovvero “Volete che cominci [la rivolta]?”).
Scoccò così la scintilla del famoso moto popolare genovese, che in breve portò alla cacciata dell’invasore dal territorio della Repubblica.
In questa vittoriosa insurrezione del popolo genovese (una delle tante che la storia ricordi) si può forse cogliere il più risalente prodromo dello spirito risorgimentale, che oltre un secolo dopo porterà all’Unità dell’Italia e alla sua indipendenza da potenze straniere.
E qui veniamo alla seconda ricorrenza, intimamente legata alla prima: il 10 dicembre.
Come ricorda Franco Bampi, Presidente de A Compagna, “Durante la vicenda della rivoluzione e del successivo assedio di Genova da parte degli austro-piemontesi, tra il 1746 e il 1748, ebbe grande rilievo la ‘visione’ di fra Candido Giusso, padre guardiano del Santuario di Oregina: nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1746, nel momento in cui i combattimenti erano estremamente aspri il Giusso asserì di aver veduto ‘l’immagine della SS. Concezione col serpente a’ piedi’ e di fronte a lei nel cielo ‘l’immagine di Santa Caterina da Genova genuflessa con le mani giunte in atto di una supplichevole’. Il Senato diede grande rilievo al fatto e promise, con voto, di recarsi ogni anno in Oregina se Genova fosse stata liberata dagli oppressori, liberazione che avvenne il 10 dicembre 1746, festa della traslazione della Santa Casa di Loreto”.
Da allora ogni 10 dicembre nel Santuario di Oregina si celebra l’anniversario della Liberazione della Città con una solenne funzione, a scioglimento di quel voto del 1746.
Il 10 dicembre a Genova, di fronte al Santuario, posto in posizione superba, a dominare la città e il porto, si commemora tuttavia anche un’altra ricorrenza, ma di carattere civile.
Infatti il 10 dicembre 1847, a margine delle celebrazioni del 101° scioglimento del voto alla Madonna di Loreto da parte delle autorità di Genova (nel 1847 non più capitale di uno Stato sovrano, ma soggetta allo Stato sabaudo, come fu deciso nel 1815 dal Congresso di Vienna), secondo le cronache dell’epoca sul piazzale del Santuario e nelle crêuze attorno si radunarono ben 30.000 patrioti provenienti da tutta l’Italia (allora ancora disunita) per una rievocazione in chiave risorgimentale della rivolta di Balilla di 101 anni prima. Una massa di pericolosi sovversivi (per la polizia sabauda), che non doveva certo passare inosservata in una città di non più di 100.000 abitanti.
Tra di loro molti mazziniani. Come due Genovesi destinati a gloria non peritura (soprattutto il primo): Goffredo Mameli (allora ventenne) e Michele Novaro (allora ventottenne).
I due avevano da poco composto (il primo il testo poetico, il secondo la musica) il Canto degli Italiani (poi noto come ‘Fratelli d’Italia’), che sarebbe subito divenuto il più amato dai patrioti risorgimentali.
Dopo varie vicissitudini politiche, solo nel 1946, dopo un nuovo Risorgimento, diverrà finalmente l’Inno nazionale della Repubblica italiana, nata dalla lotta contro il nazifascismo. Ma provvisorio.
La sanzione ufficiale di Inno nazionale del Canto degli Italiani è recentissima: risale al 2017.
La sua prima esecuzione in pubblico (e che pubblico: degno dei più partecipati concerti rock) avvenne proprio sul sagrato del Santuario di Oregina in quel 10 dicembre 1847, 176 anni fa, ad opera della Filarmonica Sestrese, tuttora attiva: da 178 anni.
Si dovette trattare di un coro inusitato: migliaia di cantori, aiutati da fogli a stampa con il testo dell’Inno distribuiti fra i presenti, grazie all’intervento di patriottici tipografi genovesi.
Anche in questo 10 dicembre 2023 appena trascorso un corteo di cittadini, guidato dalle autorità civili, con il sindaco Marco Bucci in testa, in mattinata ha ripercorso l’itinerario dell’incredibile corteo di 30.000 patrioti del 1847: dall’Acquasola a Salita Oregina. È un’iniziativa che si ripete da qualche anno, fortemente voluta dall’Associazione GenovApiedi che l’ha ideata.
Tutti gli oratori intervenuti, sia le autorità, a cominciare dal sindaco Marco Bucci, dall’assessore comunale a Commercio, Artigianato e Turismo Paola Bordilli e dal vicepresidente del Consiglio regionale Armando Sanna, sia i rappresentanti delle associazioni presenti, a cominciare dalla Compagna di Zenéixi , rappresentata dalla Gran Cancelliera Isabella Descalzo e dalla Console Milena Medicina, che ha preso la parola, hanno sottolineato il grande valore storico e civico, condiviso, della commemorazione degli eventi risorgimentali legati a Genova e, specialmente, alla prima esecuzione dell’Inno di Mameli ad Oregina nel 1847.
Il sindaco ha così concluso: “Abbiamo scritto al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio chiedendo che Genova sia riconosciuta Città dell’Inno. Come sui cartelli stradali a Reggio Emilia si legge ‘Città del Tricolore’, vogliamo che Genova possa fare altrettanto ed essere giustamente indicata come ‘Città dell’Inno Nazionale’”.
Ha fatto seguito l’emozionante esecuzione dell’Inno da parte del corpo bandistico di Rivarolo.
E quindi la solenne funzione religiosa officiata dall’arcivescovo di Genova, Padre Marco Tasca, nella splendida chiesa di Oregina,
Dei due grandi Genovesi autori dell’Inno, Goffredo Mameli, a cui dobbiamo le parole, è il più famoso.
Morì giovanissimo, a soli 21 anni, il 6 luglio 1849, combattendo accanto a Giuseppe Garibaldi per la difesa della Repubblica romana, governata, nei pochi mesi in cui resistette, da Giuseppe Mazzini insieme agli altri due Triumviri (Aurelio Saffi e Carlo Armellini). Le spoglie mortali di Goffredo Mameli riposano nel Mausoleo Ossario Garibaldino al Gianicolo, a Roma.
La Città Eterna gli tributò anche un solenne monumento funebre nel Cimitero monumentale del Verano.
L’altro, Michele Novaro, a cui dobbiamo la coinvolgente musica, è molto meno noto. La sua figura, benché essenziale in questa storia, fu offuscata dal fulgore del giovane Eroe Goffredo caduto in battaglia. Per tutti l’Inno è di Mameli. Nessuno lo ricorda come Inno di Novaro.
Visse più a lungo, come semplice maestro di musica e di canto a Genova, dove morì (nel 1885, a 66 anni) dimenticato e privo di mezzi. Per volontà dei suoi allievi gli fu eretto un monumento funebre nei pressi del Pantheon dei Genovesi, nel Cimitero monumentale di Staglieno, dove le sue spoglie riposano vicino alla Tomba di Mazzini.
È ora che Genova riscopra e valorizzi come coscienza diffusa queste gloriose pagine della sua storia. E della storia d’Italia.
Marco Bonetti