Erano le 22.39 del 9 ottobre 1963. Alla tv c’era la partita di Coppa Real Madrid-Glasgow. Gli abitanti di Longarone guardavano quella partita, chi nelle proprie case, chi nei bar del paesino. Poi la corrente elettrica è sparita e si è alzato un forte vento portatore di morte.
Sono questi gli attimi ricordati prima che l’onda di morte travolgesse i paesini sotto la diga di Vajont.
Sono passati 60 anni dal disastro del Vajont ma il ricordo della tragedia è più vivido che mai.
Per ricordare le 1.910 vittime di quella tragedia, oggi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Longarone per partecipare alla cerimonia commemorativa.
L’onda di morte che seppellì le vittime nel fango
Quella fatidica sera una frana di 260 milioni di metri cubi di roccia e fango si staccò dal monte Toc, finendo nel bacino della diga di Vajont.
L’onda d’urto generata dallo scontro della massa rocciosa con il bacino idrico provocò la creazione di un’onda di 250 metri che portò a due drammatici eventi:
- Una parte dell’onda sbatté e risalì sulla montagna, colpendo Erto e Casso, paesini vicini alla riva del lago;
- L’altra parte si riversò sulla diga, riuscendo a scavalcarla e straripando sulla valle sottostante, colpendo Longarone.
Emblematiche e cariche di significato le parole di Giampaolo Pansa, allora inviato de La Stampa che descriveva così il tragico evento:
“Scrivo da un paese che non esiste più: spazzato in pochi istanti da una gigantesca valanga d’acqua, massi e terra piombata dalla diga”
La cerimonia commemorativa: le tappe principali e le dichiarazioni
La visita istituzionale di Mattarella è stata di due tappe:
- Alle 11.00 presso il cimitero monumentale di Fortogna
- Alle 12.00 presso il piazzale davanti alla diga, nel comune di Erto e Casso
Visita al cimitero di Fortogna
Ad accogliere l’arrivo del Presidente è stato il coro di 487 bambini che, accompagnato da Paolo Fresu, ha cantato Stelutis Alpinis.
Il numero dei bambini facenti parte del coro corrisponde a quello delle vittime sotto i 15 anni del disastro. 487, infatti, sono i bambini che sono stati seppelliti dal fango.
Oltre al coro a fare da monito è la stele di vetro posta all’esterno del cimitero.
Stele che riporta una frase, tradotta in 12 lingue:
“Prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria”
All’ingresso del cimitero sono state anche posizionate 11 lastre di metallo su cui sono incisi i nomi delle vittime. Tuttavia, non sono riportati tutti i nomi poiché ancora oggi non sono state identificate 800 vittime.
Visita nel piazzale presso la Diga di Vajont
E’ qui che sono state fatte le dichiarazioni ufficiali.
Il primo a prendere parola è il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. Nel suo discorso Fedriga ha affermato come quella tragedia si sarebbe potuta evitare:
“Nonostante la consapevolezza di quello che stava accadendo la popolazione non venne fatta evacuare”
Secondo Fedriga, infatti, quella della diga è stata ‘una costruzione voluta nel posto sbagliato per interessi economici‘. Interessi che hanno portato a insabbiare i rapporti sulla sicurezza della diga pur di mantenere attivo il bacino idro-elettrico.
Anche Luca Zaia, presidente della regione Veneto, ha sottolineato la mancanza di responsabilità di chi non è stato in grado di prevenire la catastrofe:
“Non è stata una tragica fatalità. Il Monte si chiama Toc che in veneto vuol dire pezzo o qualcuno dice che può arrivare dal friulano patoc che vuol dire fradicio, marcio. La storia della fragilità di questa montagna era conosciuta fin dall’inizio“
“Siamo qui a rendere memoria alle persone che hanno abitato queste vallate”
A prendere poi parola è Mattarella che ha invitato a rendere memoria alle persone che sono morte ma anche a quelle che sono sopravvissute.
Mattarella ha affermato che la Repubblica non ha dimenticato quello che è successo e ha sottolineato l’importanza di occuparsi dell’ambiente: perché rispettarlo può essere ‘garanzia di vita’.
Il Capo dello Stato ha concluso con un appello sulle carte giudiziarie del processo Vajont, per garantire che queste rimangano a Belluno.
“E’ opportuno e doveroso che la documentazione del Processo rimanga in questo territorio. Quel che attiene alla memoria deve essere conservato nel luogo dove il disastro è avvenuto”
La celebrazione è poi continuata con la funzione di memoria e si è conclusa con un breve concerto di Paolo Fresu accompagnato da un quartetto di archi.
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