Dopo i governatori, anche i sindaci spingono per il terzo mandato
Fonte: Adobestock

Dopo i governatori, anche i sindaci spingono per il terzo mandato

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Continua a crescere il fronte trasversale che mette d’accordo esponenti di tutti i partiti politici per chiedere una riforma che faccia decadere il divieto di un terzo mandato per governatori e amministratori locali. Dopo i presidenti di regione, ora anche i sindaci di diversi capoluoghi importanti, all’approssimarsi delle prossime elezioni amministrative, chiedono di aprire la discussione per eliminare questo vincolo per garantire continuità al territorio.

E a supportare questa richiesta, alcuni hanno deciso di giocarsi la carta del PNRR come argomento a favore. L’occasione di disporre di importanti fondi straordinari europei, a detta di alcuni sindaci, potrebbe infatti essere compromessa dallo stallo tra fine mandato, elezioni e insediamenti di nuove persone a dirigere i lavori.

Il prossimo passaggio sul tema è previsto per martedì 5 settembre, quando il Parlamento tornerà a riunirsi dopo la pausa estiva. Alla Commissione Affari costituzionali del Senato si dovrà esaminare il disegno di legge di Fratelli d’Italia per reintrodurre l’elezione diretta dei presidenti delle province, all’esame in commissione. In particolare, si guarda all’emendamento presentato dal senatore Meinhard Durnwalder (Südtiroler Volkspartei), che concede la possibilità ai sindaci di candidarsi per un terzo mandato consecutivo.

Secondo l’analisi di Openpolis, in 47 capoluoghi di provincia il sindaco è al secondo mandato

Tra questi figura anche Genova, insieme alle Città Metropolitane di Venezia, Milano, Bari e Firenze). La maggior parte di questi sindaci (25) fa riferimento al centrosinistra, 19 di centrodestra e 3 indipendenti. A dimostrazione di come lo sblocco del terzo mandato sia in effetti un problema bipartisan.

Ma non solo: a livello nazionale il 47,2% dei sindaci al momento sta ricoprendo il secondo mandato, con una percentuale più bassa nei comuni superiori a 100.000 abitanti (41%). I numeri massimi si ritrovano nei comuni sotto i 3.000 abitanti, dove si parla del 51% dei sindaci; in quest’ultimo caso, dove il limite dei mandati consecutivi sale a 3, il 17% dei sindaci è almeno al terzo mandato.

I dati di openpolis: sono 47 i capoluoghi di provincia o città metropolitane con un sindaco che potrebbe essere interessato al terzo mandato
I dati di Openpolis: 47 capoluoghi di provincia o città metropolitane hanno il sindaco al secondo mandato; 25 di CSX, 19 CDX, 3 indipendenti

Non tutti e i 47 sindaci in questione desiderano puntare al terzo mandato, ovviamente, ma molti non disdegnerebbero l’opportunità. Le norme che pongono questi limiti sono state create con l’idea di garantire il pluralismo ed evitare di creare dei “feudi di potere”. Oggi però sono molti i politici che le vedono come vincoli non necessari che minacciano la continuità e, di conseguenza, la fattibilità dei progetti.

Governatori: norme diverse sul terzo mandato a livello locale, si guarda allo Stato per fare chiarezza

Al momento sono sette i presidenti di regione al secondo mandato che potrebbero essere interessati a un cambio normativo. I volti più attivi in tal senso negli ultimi mesi sono stati Luca Zaia in Veneto (Lega), Stefano Bonaccini in Emilia Romagna (PD), Michele Emiliano in Puglia (centrosinistra) e, infine, in Liguria Giovanni Toti (centrodestra).

«A differenza dei sindaci, per cui vale la legge dello Stato, la Costituzione prevede che le regole per l’elezione dei consigli regionali e dei presidenti di regione siano determinate dalle regioni stesse, sulla base di principi generali stabiliti dalla legge statale», ha dichiarato il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia, a Pagella Politica.

L’articolo 122 della Costituzione prevede che i cittadini eleggano direttamente i presidenti di regione, salvo i casi in cui le regole della regione stessa non preveda forme diverse di elezioni. Nel 2004, durante il governo Berlusconi bis, è entrata in vigore una legge che fissa il limite dei due mandati ma lascia alle regioni il compito di istituire una norma per metterla in pratica. E ancora in molti casi l’applicazione della legge 165/2004 rimane quindi disattesa.

Il caso più eclatante probabilmente a oggi rimane quello di Formigoni in Lombardia

Roberto Formigoni si approssimava alla fine del secondo mandato nel 2004. Tuttavia non solo non ha spinto per una legge elettorale regionale in quel frangente, ma si è ricandidato (vincendo) una terza e una quarta volta. Il Tribunale di Milano tuttavia rigettò il ricorso nel 2010 dei Radicali italiani e di Vito Crimi, che all’epoca correva per la presidenza del M5S, perché la norma del 2004 non poteva essere interpretata retroattivamente.

I primi due mandati di Formigoni, dunque, non dovevano entrare nel computo, anche perché la Lombardia non aveva una propria legge elettorale regionale. Paradossalmente, sarà uno degli ultimi atti di Formigoni come governatore prima della caduta della sua giunta nel 2013 per le inchieste e i tanti arresti.

Un caso simile per il centrosinistra è Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna dal 1999 al 2014. Anche in questo caso il ricordo dei Radicali non trovò ragione in tribunale.

Tornando al 2023, lo stallo per i governatori in cerca di un terzo mandato è rappresentato proprio dalla legge 165/2004. Senza una modifica a questa norma che fa da ombrello a tutte le specifiche leggi elettorali regionali, l’intervento legislativo da parte loro sarebbe inutile. Tuttavia, dato l’articolo della Costituzione citato da Volpi, non è chiaro se il parlamento potrebbe andare a scavalcare legittimamente le norme regionali per togliere il vincolo.

Oltre al problema legale, ci sono poi i meccanismi di partito, tra esponenti nazionali che non vedono di buon occhio i governatori troppo carismatici. La ruggine tra Zaia e Matteo Salvini, per esempio, anche per le diverse anime leghiste che rappresentano, è cosa nota. Dal lato PD, De Luca ha lanciato sfida aperta a Elly Schlein dicendo che spetterà unicamente a lui decidere se ricandidarsi o meno, mentre avvia la riforma regionale per legittimare il terzo mandato.

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Deve davvero restare la stessa persona in carica per 15 anni per garantire la continuità e portare a termine i progetti?

L’argomento della continuità ritorna in modo trasversale, sia da chi vuole cercare il terzo mandato per sé che per mantenere un’altra carica dello stesso colore politico. A Genova si è visto nell’ultima tornata di comunali: in più occasioni di campagna elettorale si è suggerito che solo confermando il sindaco uscente le due amministrazioni avrebbero potuto continuare a parlare o a lavorare bene.

Una narrativa elettorale che sembra pagare, non solo in Liguria. Probabilmente i cittadini si sono assuefatti, ormai, a una politica che come primo impegno sembra mettere “lo smontaggio” di quanto fatto dal governo o dall’amministrazione precedente, a ogni livello. Anche il governo Meloni non si sta esimendo da questa consuetudine, prima col reddito di cittadinanza di Conte e adesso all’attacco sul superbonus edilizio di Draghi.

Anzi, la polarizzazione con cui si vive la politica in questo periodo storico forse quasi lo richiede, vedendo l’impostazione delle campagne elettorali negli ultimi anni.

“Quelli che c’erano prima” diventano un nemico fumoso a cui imputare bene o male tutti i problemi e un benchmark al ribasso a giustificare la “politica del fare” quando si rivela non all’altezza delle promesse

Tuttavia, agli amministratori di qualunque colore sembra mancare una prospettiva “di servizio” in riferimento alla loro carica. La temporaneità del sindaco o del governatore dovrebbe piuttosto impegnare i politici a lavorare in continuità con il passato e a seminare per chi verrà dopo, proprio per non creare intoppi o per non mandare all’aria quanto fatto negli anni precedenti, salvo effettivi problemi. Questo considerando soprattutto che la macchina amministrativa rappresentata dagli uffici e dai tecnici non si rivoluziona con i cambi di maggioranza.

Si ha spesso la percezione, invece, che la programmazione a medio e lungo termine passi in secondo piano o non sia proprio contemplata, se non c’è possibilità di capitalizzarne poi il ritorno in termini elettorali.

Da qui il richiamo al PNRR fatto da sindaci e governatori per chiedere la modifica dei vincoli sul terzo mandato

Gli interventi strutturali previsti dai fondi stanziati dall’Europa post pandemia richiedono una visione guardi oltre la successiva tornata elettorale… le dichiarazioni dei sindaci in merito però potrebbero solo ampliare la sfiducia già profonda degli elettori, arrivando come una conferma del disinteresse del bene pubblico.

Si potrebbe inoltre osservare come la “continuità” risulti un problema pressante solo quando bisogna essere riconfermati… Eppure non sembra affliggere tutti quei sindaci, consiglieri regionali che dopo la prima o la seconda elezione decidono di candidarsi ad altre cariche o di accettare altri incarichi incompatibili con il loro ruolo. Solo che in Liguria sono diversi i comuni che hanno subito il commissariamento o sono comunque andati a elezioni anticipate perché gli eletti hanno preferito continuare la carriera politica in altre sedi.

In Liguria l’ultimo caso è Vado Ligure, il cui consiglio è stato sciolto mercoledì 30 agosto

La decisione del prefetto Gullotti è arrivata dopo che la sindaca Monica Giuliano ha dato le dimissioni, per accettare la gestione dell’Agenzia regionale per i Rifiuti. Giuliano era al quarto anno del suo secondo mandato come sindaca. Vado Ligure rimane dunque sotto la guida del viceprefetto Maurizio Gatto come commissario fino alle prossime amministrative (giugno 2024). Di conseguenza, la cittadinanza di Vado si trova senza rappresentante eletto nel momento in cui partono le trattative e i tavoli tecnici per il progetto del rigassificatore, che sarà posizionato davanti alla sua costa nel 2026.

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