I “luoghi non giurisdizionali”.
Il franco cacciatore, che raccoglie circa un decennio di attività poetica di Giorgio Caproni (1973 – 1982), continua a ruotare sui temi della solitudine, di Dio, della morte, del viaggio: un cammino che, come nel Muro della terra, si svolge anche all’indietro, in un passato poco reale quanto il nebuloso presente e l’imperscrutabile futuro, un cammino, in ogni caso, attraverso i “luoghi / non giurisdizionali” dove le usuali coordinate spazio – temporali non valgono più.
La sezione Liturgica inizia con la poesia Dies illa che subito ci introduce nel nulla post – mortem:
Nessun tribunale.
Niente.
Assassino o innocente,
agli occhi di nessuno un cranio
varrà l’altro, come
varrà l’altro un sasso o un nome
perso fra l’erba.
La morte
(il dopo) non privilegia
nessuno.
Non c’è per nessuno,
bruciata ogni ormai inattendibile
mappa, nessuna via regia.
L’immagine della morte ricorre anche nelle poesie successive.
“Orsù, cantiam, cantiamo. / Cantiamo con voce giuliva. / La nascita provvisoria. / La morte definitiva.”, Coretto (di giubilo) dei chierichetti; “Rosa di maggio. / La morte non è un luogo. / Tantomeno un passaggio. / Vivremo, finché saremo vivi. / Siamo uccelli stativi.”, Lapalissade in forma di stornello; “La morte non mi avrà vivo,” / diceva. E rideva, / lo scemo del paese, / battendosi i pugni in viso.”, I pugni in viso; “Un conto lo dovrò pur fare. / La morte. Ecco un’esperienza / che non potrò raccontare.”, Riflessione dell’autobiografante; “Se ne dicono tante. / Si dice, anche, / che la morte è un trapasso. / (Certo: dal sangue, al sasso.)”, Cianfrogna.
C’è poi un continuo ripetersi di paradossi spazio – temporali che danno l’illusione all’Io sdoppiato di Caproni di ripercorrere tempi e luoghi del passato, mentre in realtà alla fine si imbatterà in un eterno nulla presente.
“Se non dovessi tornare, / sappiate che non sono mai / partito. / Il mio viaggiare / è stato tutto un restare / qua, dove non fui mai.”, Biglietto lasciato prima di non andar via ; “- Si calmi. Dove vuol mai andare? / Un punto è assodato. / Lei non potrà mai arrivare, / mi creda, dov’è già arrivato.”, Apostrofe a un impaziente d’imbarco.
Si è giunti “all’ultimo borgo” (“[…] Ora / sapevano che quello era / l’ultimo borgo. / Un tratto / ancora, poi la frontiera / e l’altra terra: i luoghi / non giurisdizionali. […]”, L’ultimo borgo), “allora la salvezza è magari nel paradosso, nella coincidenza degli opposti, capace di rovesciare i termini, di ribaltare la fine in inizio, il raggiungimento nel nulla. E la miglior guida, la più tranquillizzante, sarà quella consapevole di questo groviglio, di questa inestricabile circolarità (Indicazione sicura o: Bontà della guida)”: (A.Dei, Giorgio Caproni)
Segua la guida,
punto per punto.
Quando avrà raggiunto
il luogo dov’è segnato
l’albergo (è il migliore
albergo esistente)
vedrà che assolutamente
lei non avrà trovato
– vada tranquillo – niente.
La guida, non mente.
L’unico viaggio possibile si compie all’indietro.
“- Signore, deve tornare a valle. / Lei cerca davanti a sè / ciò che ha lasciato alle spalle.” (Conclusione quasi al limite della salita); “Devi perseverare, / usare buona pazienza. / Ricordalo, se vuoi arrivare / al punto di partenza.” ( Mentore).
La condizione umana è sempre la solitudine, il tempo è quello buio della notte
“Ero solo. Andavo. / Seguivo una buia viottola. / Mi batteva il cuore. Ascoltavo. / (non c’era altra voce) la nottola.”, La nottola; “[…] Siamo soli: io e il grido / – rauco – del gabbiano. / […] Tutt’intorno il buio. / Il mare. La sua brughiera.”, Riandando, in negativo, a una pagina di Kierkegaard.
Nell’illusoria eterna immobilità, solo il vento si alza su deserti paesaggi di morte: “[…] Tutti / se ne sono andati senza / lasciare traccia. / Come / non lascia traccia il vento / sul marmo dove passa. […]”, Foglie; “Gli amici sono spariti / tutti. Le piazze / sono rimaste bianche. / Il vento. […]”, Escomio.
“Resteremo in pochi.”
Il tema della guerra è intrecciato con quello della caccia.
Si descrivono in entrambi i casi morti e rumori: “I morti per la libertà. / Chi l’avrebbe mai detto. / I morti. / Per la libertà. / Sono tutti sepolti.”, Celebrazione; “L’importante è colpire / alle spalle. / Così si forma un cerchio / dove l’inseguito insegue / il suo inseguitore. […]”, Geometria; “Per la giusta causa. / Sempre. Una causa brulla. […] Per la santa causa. / Ovunque. Una causa nulla. / Battiti di tamburo rapidi / e bui, martellano / la bara di culla in culla.”, Romantica, o: I fautori; “Le trombe militari / nella neve… / Gli spari… / I sibili degli spari / a zero…[…]”, Traumerei.
Si rimane in pochi, sconfitti, scoraggiati, delusi. Non c’è nemmeno la speranza di un futuro diverso, consci dell’ineluttabilità delle cose e dell’impotenza dell’uomo che ciclicamente ripete danni e disastri, come sentenzia Caproni in Palingenesi:
Resteremo in pochi.
Raccatteremo le pietre
e ricominceremo.
A voi,
portare ora a finimento
distruzione e abominio.
Saremo nuovi.
Non saremo noi.
Saremo altri, e punto
per punto riedificheremo
il guasto che ora imputiamo a voi.
Una sorta di pessimismo storico leopardiano.
L’uomo crede che il mondo sia stato creato appositamente per lui, quando, invece, egli non è altro che un prodotto della natura che tende ad eliminarlo per dar luogo ad altri individui, in una lunga vicenda di produzione e distruzione destinata a perpetuare l’esistenza e non a rendere felice il singolo esistente.
La natura sovrana compie eternamente il suo ciclo senza minimamente interessarsi alle vicende e ai dolori degli uomini. Leopardi scriveva nello Zibaldone: “la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola”. (Giacomo Leopardi, Zibaldone, in Tutte le opere, a cura di W.Binni, Firenze, Sansoni, 1969, p.10)
Per Caproni la natura scombina ogni logica.
Così scrive nel secondo Inserto:
“Per quanto tu ragioni, c’è sempre un topo – un fiore – a scombinare la logica. Direi che tutto nel tuo ragionamento è perfetto, se non avessi davanti questo prato di trifoglio.
E sarei anche d’accordo con te, se nella mente non mi bruciasse (se non mi bruciasse la mente – con dolcezza) quest’odore di tannino che viene dalla segheria sotto la pioggia: quest’odore di tronchi sbucciati (d’alba e d’alburno), e non ci fosse il fresco delle foglie bagnate come tanti lunghi occhi, e il persistente (ma sempre più sbiadito) blu della notte.” (Giorgio Caproni, Altro inserto, in Poesie, p.511)
L’incontro – scontro con l’altro sé.
Le ultime sezioni della raccolta (Reversibilità, Entremets, Viktoria, In Boemia) ripercorrono i temi caratteristici dell’opera caproniana, ovvero Dio, la morte, il viaggio, l’io – i vari io.
La logica sembra proprio non supportare più nessuna considerazione, a prescindere dall’argomento al quale si riferisce: tutto è avvolto nella confusione, nell’incertezza, nella “reversibilità” di eventi, luoghi e persone.
Il paradosso come unica categoria possibile del reale: “[…] Lo conosco. Lo riconosco. Anche / se non l’ho mai conosciuto.”, Sprazzo; “[…] Ho scorto / uno per uno negli occhi / i miei assassini. / Hanno / – tutti quanti – il mio volto.”, Rivelazione.
L’io è frantumato in tanti io intercambiabili: “Uccidilo. È il tuo uccisore. / Uccidilo appena t’avrà ucciso. / Ti ci vorrà poco a piantargli / la lama della sua morte in viso.”, Rivalsa; “Cercavo “il fagiano”. / O, forse, era “il fagiano” / a cercar me? / […] Sparai. / Forse sparò lui. O un altro. / S’io caddi (chi cadde), / non l’ho saputo mai.”, Il fagiano; “[…] Non pensava, lui assassino, / d’essere l’assassinato.”, Giubilo.
C’è l’incontro – scontro con il proprio doppio, l’altro sé, la propria ombra, l’immagine che ci rimanda a noi stessi:
Si odiavano, inteneriti
fratelli.
Abele
e Caino.
In ruoli
reversibili.
Immagini
d’uno stesso destino
o amor perfetto.
Soli!
Un uomo solo in due.
Due uomini in uno.
Due io affrontati.
Un solo io.
Godevano.
Forse, tutti e due sapevano
che l’uomo uccide se stesso
– l’uomo – uccidendo l’altro?
Orgasmo del suicidio. […]
(Aria del tenore)
E una volta giunti a se stessi si è giunti anche al punto di arrivo
(“E ora che avevo cominciato / a capire il paesaggio: / “Si scende,” dice il capotreno. / “È finito il viaggio.”, Disdetta), alla fine del viaggio e nessuna magia può interferire sul compimento della cruda e non più reversibile realtà:
S’era udito uno sparo.
L’aquila era caduta
– altissima – a piombo.
Mi sgretolò il cuore il rombo
d’un grido d’allegria.
Ah magia, magia.
Strozzato d’ira e follia,
spezzai il mio fucile avaro
nell’antro della gelosia.
(In Boemia)
Riproduzione Vietata
Un ringraziamento speciale alla fotonarratrice Patrizia Traverso per le foto
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