Sono proprio i paesi in via di sviluppo a soffrire di una crisi energetica senza precedenti. Il progressivo ed inesorabile aumento di richiesta di nuova energia impone a paesi come India e Cina di ricorrere massicciamente alle loro fonti fossili ancora largamente disponibili, carbone in testa, per fare fronte al crescente bisogno.
Per quanto riguarda la Cina, in quasi 2 terzi del paese è in corso un razionamento programmato dell’energia a fasce orarie stabilite.
La provincia di Liaoning dichiara una situazione molto critica.
L‘area è quella a più alta concentrazione di fabbriche in cui vivono e lavorano oltre 40 milioni di cinesi. La richiesta di elettricità non è più soddisfatta dalla distribuzione attuale e il deficit energetico sfiora i 5 gigawatts, l’equivalente di energia in grado di alimentare un milione di abitazioni.
Per questa ragione Pechino ha autorizzato la provincia di Liaoning ad aumentare gli approvvigionamenti di carbone del 76% e a intensificare l’estrazione del prezioso minerale da 72 delle sue 147 miniere.
Stessa situazione per quanto riguarda l’altro grande paese dell’Asia meridionale: l’India.
Alla grande richiesta di energia elettrica New Delhi risponde ordinando di aumentare del 20% l’estrazione di carbone dalle proprie miniere. Tutto questo mentre a Glasgow è in corso la conferenza dell’ONU sull’ambiente per cercare di trovare un punto di intesa su come contenere le emissioni di Co2 in atmosfera.
Bisogna trovare un accordo per allontanare l’incubo dell’aumento della temperatura globale di 1.5 C° rientrando in quanto previsto negli accordi di Parigi del 2016.
Il premier cines Xi Jimping non si è presentato fisicamente all’assemblea dell’ONU ma ha fatto giungere ai rappresentanti dei 197 capi di stato presenti un suo messaggio in cui chiede che la decarbonizzazione del paese sia spostata di 10 anni rispetto alla data prevista del 2050.
Mentre il primo ministro indiano Narendra Modi ha addirittura richiesto lo spostamento della “carbon free” al 2070.
C’è da domandarsi se Cina e India abbiano davvero compreso a quali rischi stanno esponendo se stessi e il mondo intero.
L’ultima relazione dell’ IPCC è drammaticamente chiara: o si interviene adesso in tutti i modi possibili o altrimenti il rischio dei 3 gradi a fine secolo diventa una certezza.
Con la grave incognita di superare il punto di non ritorno, ossia il momento in cui l’inerzia termica procederà autonomamente per secoli.
Non è facile prevedere se e quando faremo la fine dei dinosauri. Una cosa però è certa, i nostri nipoti e i loro figli sperimenteranno condizioni climatiche inedite per l’umanità.
Dr. Walter Pilloni
Divulgatore Ambientale