Due fatti apparentemente lontani e scollegati, tratti dalla cronaca di questi giorni. La battaglia che dura da tredici anni contro l‘abbandono alla più cinica devastazione speculativa di uno storico bene comune come l’ospedale Galliera, oltre alla salvaguardia degli standard di vivibilità nel quartiere genovese di Carignano. E il successo di una manifestazione che prosegue ininterrottamente dal 1999 quale il Suq Festival in piazza Banchi.
Il tratto comune di queste vicende – che nel bene come nel male hanno segnato e segnano la vita del capoluogo ligure – è rappresentato dal ruolo primario esercitato dalla componente femminile.
Lo scontro per una sanità dalla parte dei cittadini è stato promosso e gestito con incrollabile tenacia da parte di un comitato di quartiere guidato prevalentemente da donne, contrapposto a un consiglio di amministrazione con una composizione esclusivamente al maschile.
E – considerando tale aspetto – non è del tutto incomprensibile l’insofferenza reciproca tra le parti in campo.
Se è vero che la cultura della cura è propria del pensiero femminile fin dagli albori della storia; da quando la discesa di bellicosi cavalieri provenienti dalle steppe euroasiatiche investirono e sottomisero le pacifiche società agricole matriarcali relegando le donne nel chiuso delle case patriarcali, destinate a compiti di riproduzione della specie e – appunto – all’assistenza delle persone.
Mentre veniva contestualmente affermandosi il prestigio sociale attribuito all’aggressiva competitività maschile. Che ora viene celebrata nel darwinismo sociale delle priorità assolute attribuite al calcolo dell’interesse economico. Al profitto come unico metro di giudizio.
Il criterio opposto promosso dall’iniziativa di Banchi, ispirata a benevolenza e reciproca comprensione.
Guarda caso, ideata, realizzata e riconfermata per oltre un ventennio da due signore: Carla Peirolero e Valentina Arcuri.
In mezzo a mille difficoltà. Come ora dichiarano a Nando Dalla Chiesa che le ha intervistate: «potrebbe essere un grandioso appuntamento per Genova. […] Non abbiamo una sede, anche se abbiamo provato a presentare dei progetti su luoghi pubblici, proponendo il principio dell’autosufficienza gestionale. Credo che conti anche un po’ di pregiudizio. Inconscio naturalmente».
Un patrimonio che gli amministratori non sono in grado di portare a fattore comune («eppure siamo una risorsa per la città. Pensi che ormai facciamo da agenzia di intermediazione per i contatti con i popoli africani o del Medio Oriente»).
L’ennesima risorsa al femminile che finisce per andare sprecata.
Che dovrebbe far riflettere un po’ tutti. Prima di tutto le donne, depositarie di una cultura preziosa (antidoto alla crisi evidente del patriarcato), che non riesce a diventare soggetto senza sottomettersi ai condizionamenti omologanti della ben più organizzata componente maschile. Perché?
Maura Galli
articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini
N.d.R: L’opinione degli autori non coincide necessariamente con quella della Redazione.