Ex Ilva Cornigliano
Ex Ilva di Cornigliano

Ex Ilva Cornigliano e Taranto: destini intrecciati

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Il futuro siderurgico di Taranto e quello di Genova e Novi, questi ultimi legati al primo per l’approvvigionamento di coils, dipende da nodi mai sciolti da decenni.

Investimenti ecologici individuati e mai realizzati dall’IRI, poi dai Riva, fino all’insensato ampliamento del rione Tamburi a ridosso del Centro tarantino. Oltre alla cronica assenza di una vera politica industriale, che facesse sintesi tra velleità politiche, istanze ambientaliste, non sempre supportate da dati scientifici inoppugnabili, statiche difese sindacali dell’occupazione e in ultimo le scelte del nuovo azionista Arcelor Mittal Italia hanno indotto il legittimo sospetto che il vero obiettivo dell’acquisizione fosse quello di eliminare un pericoloso concorrente.

Tutto ciò nonostante l‘evidenza che un Paese industriale a vocazione manifatturiera non può fare a meno di una produzione siderurgica.

In sostanza, è mancato un soggetto in grado di indicare obiettivi chiari e un partner come l’ormai defunta Italimpianti in grado di proporre e implementare soluzioni impiantistiche adeguate.

L’attuale ingresso dello Stato nell’azionariato della ex ILVA, ora Acciaierie d’Italia, potrebbe essere l’auspicato motore del cambiamento; anche grazie alla sentenza del Consiglio di Stato, che ha dichiarato illegittima la delibera del TAR di Lecce di chiusura dell’area a caldo. Ovvero la morte definitiva di uno stabilimento a ciclo integrale (acciaio da minerale di ferro e carbone tramite altiforni e convertitori).

Stante l’assunto dell’indispensabilità per il Sistema-Italia di una produzione qualitativa di acciaio (stimata tra 6 e 8 milioni di tonnellate annue), fatta salva la salvaguardia di ambiente e persone, un gruppo di progettisti ex Italimpianti ha messo a punto un progetto fattibile in tempi brevi per produrre in maniera più ecologica tali quantità.

Inizialmente un sistema misto, per arrivare nell’arco di un decennio alla completa conversione del ciclo a Riduzione Diretta – Forno Elettrico.

Tutto questo completando gli indispensabili interventi ambientali. Gli altiforni devono essere messi “a norma” e progressivamente sostituiti da impianti di Riduzione Diretta e Forni Elettrici grazie a un investimento di 1,5/2 miliardi di euro. Cui vanno aggiunti gli oneri di CiG necessaria nel transitorio.

Per quanto riguarda gli aspetti occupazionali – secondo lo studio – Taranto passerebbe da 8.200 a 6.900 addetti, mentre Cornigliano e Novi potrebbero evitare esuberi a patto si proceda agli ammodernamenti necessari.

Con una produzione senz’altro più green di quella attuale i costi di produzione saranno superiori a quelli di chi, cinesi e indiani, continuerà a produrre con il ciclo altoforno. Ma questo è un problema di cui è l’Europa a doversene fare carico.

Per quanto riguarda gli impianti di Cornigliano va constatato il grave ritardo nell’aggiornamento tecnologico.

Lo studio indica la necessità di un investimento di 200 milioni nelle produzioni di latta (settore conserviero) e lamierino per automotive, in cui cresce la domanda di prodotti resistenti alla corrosione.

Per essere competitivo Cornigliano necessita dei coils tarantini d’alta qualità, senza i quali è destinato a morire causa l’impossibilità di acquistare da altri produttori, tutti concorrenti sugli stessi prodotti con le loro proprie linee di verticalizzazione.

Resta fermo il fatto che il consumo nazionale di latta per l’industria conserviera è di 800mila tonnellate annue. Cornigliano ne potrebbe produrre più della metà, mentre oggi non arriva a un decimo. È recente la notizia di grandi quantità di pomodori mandate al macero per la carenza del lamierino necessario all’inscatolamento.

Egildo Derchi, Roberto Guarino, Gianfranco Tripodo

articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini 

Immagine di copertina: PrimoCanale
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