In coda alla cassa di un supermercato una signora si rivolge a mio figlio così: “Che cosa ti è successo alla faccia? La mamma ti ha bruciato mentre stirava?”
Ho contato fino a 9999 ed ho aspettato che Marco rispondesse: “No, no, sono nato così, questa è la mia macchia fortunata.” La signora, dopo aver sfoggiato tutti i colori dell’arcobaleno, si è dileguata in silenzio.
Marco, ai tempi, aveva tre anni e dalla nascita la sua guancia destra, il mento e parte del collo erano di un colore rosso purpureo per un angioma piano benigno.
Avete presente la “voglia di vino”? Una volta esclusa la possibilità di tumori maligni, la macchia non è mai stato un grosso problema, tanto è vero che Marco l’aveva ribattezzata “la mia macchia fortunata”.
Certo, dall’età di due anni e mezzo ha iniziato ad effettuare interventi con il laser per ridurre l’estensione dell’angioma e, soprattutto, per scongiurare l’ipotesi che con gli anni la situazione potesse peggiorare.
A me bastava sapere che si trattasse solo di un problema estetico, peraltro risolvibile, che non avrebbe compromesso la sua salute. In più Marco ha sempre avuto oggettivamente un bel viso e l’ho sempre rassicurato sotto questo punto di vista, così come gli ho fin da subito fornito gli strumenti per affrontare e gestire la curiosità e la stupidità altrui.
Ci sono state tante domande inopportune e sguardi semi terrorizzati quando, dopo il laser, il suo bel faccino era praticamente nero. Battute per lo più idiote e derisioni.
Avrei potuto litigare e discutere con un sacco di persone, querelare, chiedere giustizia all’asilo e a scuola per i comportamenti inappropriati di alcuni compagni, ma non ho mai fatto nulla di tutto ciò.
Perché a me interessava che Marco crescesse tranquillo e sicuro di sé, che imparasse a spiegare da solo le sue ragioni e che amasse la sua macchia esattamente come si fa con i capelli biondi e gli occhi azzurri che non garantiscono, in ogni caso, né bellezza né felicità.
E poi la macchia c’era, mica si poteva negare la realtà, così come se sei alto un metro e mezzo mica posso dirti “Ciao stangone” oppure sì, ma per scherzo e non serve l’avvocato!
Perché diciamolo fino in fondo che questa faccenda del body shaming ci sta un po’ sfuggendo di mano…
Mi immagino quel compagno delle medie che, al mio arrivo a scuola con un improponibile paio di occhiali da vista con montatura da professoressa – infatti erano di mia madre, che mica vendevano gli occhiali di Prada nel 1980… – mi soprannominò subito Mafalda.
Che vergogna provai, ma mica sono andata a piangere da mamma e papà, io sarò anche stata Mafalda, ma a scuola ero brava, lui un asino, quindi eravamo pari con i nomignoli.
Ernesto Sparalesto, Dumbo, e tu sei grasso, e tu sei magro, lei c’ha le tette, lei è una tabula rasa, ammazza che culona, ma hai visto quanti brufoli, puzza come una capra, e ce l’hai piccolo, e ce l’hai grosso: ci siamo passati tutti, almeno una volta nella vita, per un motivo che poteva essere un qualsiasi motivo.
Perché l’adolescenza è un momento di transizione durante il quale cerchi la tua strada e lo specchio ti rimanda un’immagine che quasi sempre non ti piace.
Figuriamoci poi oggi che apri Instagram e vedi Chiara Ferragni, Fedez, Baby K e compagnia: belli, ricchi, famosi e tu c’hai 15 anni, i brufoli e a scuola ti pigliano in giro. Allora andate a vedere le foto di Fedez da ragazzino – parevano in due – o di Tiziano Ferro o della Chiaretta e di Baby K: non erano tutto sto gran splendore.
Evidentemente, però, la loro autostima stava già abbastanza bene perché badate che è quella che ti permette di mandare a cagare il bulletto di turno e di pensare che dieci chili riesci a perderli, se ti impegni.
Ma Rossy De Palma secondo voi com’è diventata una delle attrici preferite di Almodovar? Amando alla follia il suo naso e sbattendolo in faccia a tutti i cretini che le avranno sicuramente consigliato una rinoplastica…
Poi, però, fate anche un po’ pace con il cervello e decidetevi con sta faccenda del body shaming perché da un lato predicate “vogliamoci tutti bene per come siamo e non facciamo commenti feroci”, dall’altro gridate allo scandalo perché “come diavolo può una come Armine Harutyunyan – leggi la modella di Gucci – essere scelta da Alessandro Michele che poteva tranquillamente preferire mia figlia che era senz’altro meglio…” e giù di insulti.
Una cosa non deve mai venire meno ed è il limite, a volte sottile, che passa tra un commento anche magari un po’ stronzo, ma fatto tra pari – compagni di scuola, amici dello stessa compagnia e via dicendo – e la totale mancanza di rispetto che porta alla prevaricazione dell’altro.
Poi bisogna anche come dire, irrobustirsi un po’ da soli che tradotto significa anche fregarsene. I capelli rossi durante il Medioevo non erano esattamente un bel biglietto da visita e diciamo pure che io sarei finita sul rogo in quanto strega – armata pure di rossetto – ma pensa te che poi rossa lo sono diventata per coprire i capelli bianchi e perché il rosso io lo adoro!
Eppure in tutti questi anni le battute si sono sprecate...Bisogna rafforzarsi, dicevo, insegnare a figli, amici e parenti a ridere e sorridere perché altrimenti con sto body shaming finisce che non puoi più dire nulla.
Invece si può dire tutto se le nostre frasi non sottintendono una violenza nascosta che vogliamo scaricare sull’altro.
E soprattutto bisogna fornire ai figli, laddove presentino caratteristiche fisiche particolari, gli strumenti per affrontare correttamente gli altri e, prima ancora, se stessi.
Prendiamoci un po’ in giro da soli, davanti allo specchio, e cerchiamo di migliorarci sempre, di stare bene e di essere anche indulgenti con i nostri limiti. Io la mia amica la chiamo sempre “senior” e lei, sorridendo, mi guarda e con l’intonazione alla Mara Maionchi mi dice, prendendomi sottobraccio: “Oh, rossa, hai rotto il cazzo”.