La moda ha un lato oscuro? I dati parlano chiaro. La moda conquista il secondo podio nella classifica delle industrie più inquinanti al mondo.
Deterioramento delle risorse naturali e sfruttamento dei lavoratori sono solo alcuni degli effetti negativi che l’industria dell’abbigliamento riversa sul pianeta. Spesso quando si acquista un capo non si è consapevoli di tutto questo. Ma sarebbe bene chiedersi dove è stato prodotto questo abito e con quali materiali.
Dagli anni ‘80 sempre più aziende hanno delocalizzato la produzione e utilizzato tessuti realizzati con materiali sintetici. Questo trend prende il nome di fast fashion. Se prima le collezioni erano quattro per ogni stagione il nuovo modello produttivo le ha aumentate a 52. Per ridurre i costi di produzione e accorciare i tempi di realizzazione, le produzioni sono state spostate in paesi in via di sviluppo. Qui la manodopera viene pagata con salari minimi ed è costretta a condizioni di lavoro inique. Le grandi catene dell’abbigliamento hanno implementato questo sistema per offrire sempre più capi e a prezzi bassissimi.
Negli ultimi giorni è stato lanciato un docufilm di denuncia a riguardo. “Le ali non sono in vendita. Viaggio nel labirinto del fast fashion” è il titolo della pellicola. Il suo obiettivo è puntare i riflettori sull’insostenibilità di questo sistema. A scrivere e dirigere il documentario è stato Paolo Campana. La stilista Sara Conforti si è occupata della supervisione delle riprese. Riprese durante un anno in cui sono stati coinvolti studenti delle accademie e istituti superiori.
Quest’ultimi hanno potuto riflettere sulle criticità che si celano dietro il mondo patinato del fashion. Il film è una sorta di percorso nel labirinto del fast fashion che permette di prendere consapevolezza sul reale impatto dei propri acquisti.
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Insostenibile leggerezza della moda: in atto una rivoluzione per invertire la rotta
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Uscito il 29 marzo, il film è disponibile gratuitamente sulla piattaforma Streen.org. ”Più si scende nella catena di fornitura e più peggiorano le condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici”, le parole di Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti.
Negli ultimi anni il fenomeno della moda sostenibile si sta diffondendo sempre più. Ieri nella trasmissione di Rai3 “L’Odissea” Orsola de Castro ha portato questo tema sul piccolo schermo. Pioniera della moda sostenibile, è una fashion designer. Insieme a Carrie Somers ha dato vita al movimento Fashion Revolution come risposta al tragico incidente del crollo del Rana Plaza avvenuto il 24 aprile del 2013. All’interno di questo edificio, situato in Bangladesh, erano presenti fabbriche di noti brand di moda. L’incidente causò 1.134 vittime.
Autrice del libro “I vestiti che ami vivono a lungo”, durante il suo intervento Orsola ha raccontato il perché si debba scegliere la moda sostenibile. Inoltre ha fornito alcuni consigli per mettere in atto un cambiamento nelle proprie scelte di acquisto.
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“Analizzare il proprio guardaroba e i criteri che si usano quando si compra, usare non solo la taglia ma anche i principi. Riparare”, il commento di Orsola.