Il Taro è un fiume emiliano che nasce tra i boschi del Monte Penna al confine con la provincia di Genova e scende verso nord gettandosi nel Po (in questi mesi assetato come non mai) non lontano da Parma.
Fiume emiliano, si diceva, che però nella sua alta valle per un tratto di pochi chilometri segna il confine tra Emilia e Liguria, tra le province di Parma e La Spezia. E in quel breve tratto di valle c’è un angolo di campagna coltivata e allevata che è Liguria pur essendo circondata dall’Emilia.
Uno scampolo di terra ligure che è raggiungibile soltanto percorrendo una strada parmense. Tanto che chi vive e lavora lì ha un duplice indirizzo: ligure, spezzino, dal punto di vista anagrafico e fiscale ma emiliano, parmense, per il telefono, la posta e le consegne commerciali.
La località Pelosa, nel comune di Varese Ligure, consta di un paio di edifici e un ampio terreno pianeggiante in un’ansa del Taro.
In quell’angolo di Liguria, che bisogna proprio andare a cercare per trovarla, vivono in serena libertà un gruppo di galli e galline assai insoliti.
Sono i “galli neri della Val di Vara”, uno dei diciotto Presidi Slow Food della Liguria.
A Pelosa c’è Il Pellegrino, che è una delle pochissime aziende agricole che attualmente allevano questi signori-in-nero; negli ultimi anni ho avuto un paio di occasioni per andare fin là a conoscere gli allevatori e i loro galli e galline.
Sulla piana erbosa, sorvegliata da due bianchi pastori maremmani, un gruppo di grossi galli e galline dal bellissimo piumaggio nero con riflessi verdi e bluastri razzolano in multietnica mescolanza con galline ovaiole dal piumaggio rossastro, pecore e agnelli bianchi dal muso nero, oche, anatre, alcuni asini.
Mi è subito venuto da pensare che è un contesto ambientale che San Francesco e Frate Leone avrebbero certo apprezzato, fossero passati da lì.
Sul sito https://www.fondazioneslowfood.com si trovano tutte le informazioni utili per conoscere il passato e il presente di questa meravigliosa razza di taglia gigante, e mi permetto di riportare qui alcune parole:
“Una razza maestosa, selezionata negli anni Trenta dal Pollaio Provinciale di Genova ma pressoché scomparsa nel dopoguerra. Ha il piumaggio completamente nero, setoso, dai riflessi verdi metallici. Mansueta e ottima covatrice, si era diffusa in tutte le fattorie dello Spezzino ma le dimensioni sono assolutamente inadatte ai consumi delle piccole famiglie moderne… Una sola gallina riesce a sfamare almeno sei commensali, quindi la promozione di questa razza è un’impresa complessa…”
“Senza la passione di un allevatore, Luciano Stagnaro, che ha riunito e coinvolto alcuni piccoli allevatori, oggi la gigante nera sarebbe poco più di un’immagine sui libri di zootecnia… I polli del Presidio pascolano liberi e si nutrono di granaglie, avanzi dell’orto, erbe e insetti. I pollai ospitano un gallo e dieci femmine in ampi spazi aperti. L’alimentazione naturale e la libertà di movimento e di pascolo fanno sì che la loro carne sia soda e saporita, più scura sulle cosce che sul petto, fatto questo che segnala che il pollo ha pascolato e quindi ha ossigenato molto la muscolatura”.
Gli allevatori di Pelosa, marito e moglie, sono esempi di quel genere di cittadini italiani che mi piacciono di più: allevatori, agricoltori, artigiani che lavorano con la certezza che non diventeranno mai ricchi ma non ne fanno un dramma.
Certamente anche loro, come tutti, hanno necessità di trarre un utile dalla loro professione ma parlando con loro si comprende che fanno quello che fanno perché ciò dà loro soddisfazione emotiva e anche, senza false modestie, perché sono consci dell’utilità sociale del loro lavoro, che in questo caso consiste nel produrre cibo sano e buono.
A volte hanno l’aiuto delle strutture pubbliche e ricevono finanziamenti regionali o europei, a volte lavorano nonostante ci siano le strutture pubbliche, confusionarie e imprecise nell’approvare, finanziare, verificare…
Secondo me sono ottimi esempi di cosa si possa fare, poco alla volta e senza grande chiasso, per rendere un po’ migliore il mondo in cui viviamo.
Mentre fotografavo i galli e le galline che giracchiavano liberi nel prato, tutti presi dalle loro attività gallerecce, e chiacchieravo con Jutta, l’allevatrice, di allevamento, di alimentazione e di guerra, pensavo ai disgraziati polli degli allevamenti intensivi che vivono vite prigioniere brevi e innaturali per diventare carne a basso costo nei supermercati di mezzo mondo. Polli che non acquisto mai per non sentirmi complice della loro sofferenza.
I galli neri invece si, ne ho ricevuti due in omaggio e adesso sono in attesa che un’amica a cui li ho portati, che di professione è chef di un apprezzato ristorante piemontese, trovi il tempo e il modo di cucinarli per un pranzo conviviale in famiglia.