Kintsugi, l'arte di riparare con l'oro
Kintsugi, l'arte di riparare con l'oro

“Solo chi non fa nulla, nulla rompe.”: l’arte giapponese del Kintsugi, riparare con l’oro

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Tempo di lettura: 2 minuti

Mia madre mi diceva sempre: “Solo chi non fa nulla, nulla rompe.” 

Il Kintsugi, l’arte di riparare con l’oro. Capita a tutti di far cadere un piatto, un bicchiere, un vaso. In alcuni casi è una piccola tragedia perché magari rompiamo proprio quell’oggetto a noi tanto caro.

E allora che si fa? Si butta via tutto? Neanche per sogno. Proviamo ad ispirarci ai giapponesi e alla loro filosofia.

Una filosofia, quella orientale, molto diversa dalla nostra: un approccio agli eventi della vita decisamente più conservativo e comprensivo.

Ma che cosa c’entra la tazza rotta con i Giapponesi? C’entra eccome, ma occorre tornare indietro nel tempo.

C’era una volta, nel 1350 circa, lo Shogun Ashikaga Yoshimasa che ruppe accidentalmente la sua tazza da tè tenmoku preferita.

Non pensò neppure per un attimo di disfarsene e cercò subito di rimediare all’accaduto. Fu così che si decise a chiedere aiuto ai suoi maestri artigiani.

Questi trovarono un modo originale e creativo: incollarono i pezzi rotti con la lacca urushi e riempirono le fessure con oro in polvere e resina laccata.

A questo punto la tazza da tè preferita dallo Shogun era ancora più bella di prima.

 

Shogun Ashikaga Yoshimasa
Shogun Ashikaga Yoshimasa

Il Kintsugi e la filosofia Zen

Il Kintsugi – letteralmente riparare con l’oro – è una tecnica di restauro che proprio verso la fine del 1400 grazie all’ingegno di alcuni ceramisti giapponesi specializzati nella riparazione di tazze da tè.

L’obiettivo è duplice: non nascondere i punti di rottura e donare alla tazza un aspetto ancora più bello e prezioso.

Dietro a questa tecnica riparativa c’è naturalmente un modo particolare di vedere le cose.

Si parte infatti dal presupposto che sia possibile ridare vita a qualcosa di danneggiato che diventa in questo modo altro da quello che era.

L’arte kintsugi affonda le sue radici nella filosofia Zen e in particolare nel wabi-sabi, i tre concetti in essa racchiusi.

Il primo è il Mushin – senza mente – concetto che descrive la nostra capacità di lasciar correre e fluire le cose. L’obiettivo è quello di liberare la mente e di non inquinarla con preoccupazioni e smania di perfezione.

Abbiamo poi il concetto di impermanenza definito Anicca: la consapevolezza che tutto ciò che ci circonda è transitorio e destinato alla fine.

Ritroviamo in questo concetto il Panta Rei di Eraclito: comprendere la fuggevolezza dell’esistenza dovrebbe permetterci un approccio più consapevole e sereno alla vita.

Terzo punto, l’empatia verso gli oggetti o Mono no aware. Si tratta anche qui di riuscire a percepire la temporaneità e la decadenza degli oggetti e di riuscire quindi ad ammirarne maggiormente la fugace bellezza.

 

Piattino con inserti oro
Piattino con inserti oro

Se anche noi ci rompiamo come la tazza dello Shogun

Possiamo vedere che questi concetti applicati ad un oggetto sono applicabili anche a noi e alle nostre vite.

In psicologia, infatti, si cerca di mettere a punto dei metodi riparativi in caso di ferite inerenti il nostro benessere.

Ciascuno di noi nel corso della propria vita si trova a dover affrontare momenti difficili e in alcuni casi possono verificarsi avvenimenti improvvisi dolorosi che procurano una spaccatura interiore.

La prima reazione e tentazione in certi complicati frangenti è quella di lasciarsi andare totalmente. Le energie vengono meno, il taglio dell’anima brucia come il sale su una ferita e noi sentiamo di non farcela più ad andare avanti.

Come la tazza dello Shogun, anche noi ci siamo rotti. Mica vuol dire che siamo da buttare, però!

Possiamo fare esattamente quello che ha fatto lo Shogun Ashikaga e applicarci in una certosina opera di restauro con la tecnica Kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”.

 

Tazza da tè con inserti oro
Tazza da tè con inserti oro

Il Kintsugi rappresenta la metafora delle fratture, delle crisi e dei cambiamenti che ciascuno di noi si trova a dover affrontare nel corso della propria vita.

Alla base del Kintsugi abita infatti l’idea che da un’imperfezione così come da una ferita possa nascere un qualcosa di diverso e  con una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.

Si assiste, nella riparazione della tazza, ad una vera e propria messa in evidenza della frattura.

Una frattura che non viene nascosta o camuffata,  bensì valorizzata mediante l’utilizzo dell’oro.

Rotti, imperfetti, ma assolutamente unici

Attraverso la valorizzazione della frattura, il vaso rotto è in grado di raccontare una nuova storia.

Certo, sul piano psichico elaborare una ferita è un processo lungo e doloroso.

Occorrono tempo, pazienza e volontà, soprattutto quando ci sembra di essere rimasti fermi allo stesso punto di partenza.

Occorre gettare il cuore oltre l’ostacolo per riuscire, lentamente, a percepire un nuovo benessere e ad acquisire un nuovo punto di vista.

Bisogna imparare a dare un’accezione positiva alla rottura, di qualsiasi genere essa sia: occorre svincolarsi dalla dimensione del giudizio, dalla vergogna e dalla paura di mostrare le nostre crepe.

L’oro che va a sottolineare la frattura regala al vaso ancora più luce e brillantezza.

Così come il dolore che siamo riusciti a rielaborare e a superare ci conferirà una maggiore consapevolezza di noi stessi.

Una trasformazione resa possibile da una frattura che può diventare un nuovo punto di partenza di cui essere orgogliosi.

Le nostre cicatrici rappresentano la nostra unicità e la nostra forza.

“Il mondo spezza tutti e poi molti sono forti proprio nei punti spezzati.” diceva Ernest Hemingway.

Spetta sempre e soltanto a noi intraprendere un cammino di consapevolezza, di rinascita e di valorizzazione delle nostre ferite.

 

Rosella Schiesaro

 

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Photo Credits Etsy, Unico e Bello, Giappone in Italia, Sengoku Jidai

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Da Savona a Cortona, la mia città dell’anima. Sono giornalista e da oltre vent’anni mi occupo di ufficio stampa e relazioni esterne per televisioni, aziende e privati. Il diario di Tourette è il mio magazine, Giorgio Caproni il mio poeta e Vasco Rossi il mio cantante. Mi sono laureata con il massimo dei voti con una tesi intitolata Giorgio Caproni: dalla percezione sensoriale del mondo all’estrema solitudine interiore. In occasione dei centodieci anni dalla nascita del poeta, ho ideato In viaggio con Giorgio Caproni, un percorso di lettura unico e coinvolgente che conduce alla scoperta delle sue poesie più significative. Racconto il mondo con passione, sensibilità e uno sguardo sempre attento alla bellezza nascosta nelle parole e nelle storie.

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