La seconda parte de Il Conte di Kevenhüller è caratterizzata da una totale mancanza di consequenzialità logica, spaziale e temporale (non che prima il discorso procedesse linearmente).
Giorgio Caproni e la realtà irreale di ombre e asparizioni: la realtà è un confuso susseguirsi di incerte “asparizioni”, di “ombre” che confondono la vita con la morte e che non permettono alcun reale punto di riferimento:
Apparivano tutti
in trasparenza.
Tutti
in anima.
Tutti
nell’imprendibile essenza
dell’ombra.
Ma vivi.
Vivi dentro la morte
come i morti son vivi
nella vita. […]
Giorgio Caproni e la realtà irreale di ombre e asparizioni
Esplicito lo stato d’animo del poeta: “[…] Pensai / alla mia mente accecata. // Chiusi la finestra // Il cuore. // La porta. // A doppia mandata.” (Oh cari); angoscianti le sue considerazioni relative a quanto egli stesso “racconta” (“[…] Di tutto l’avvenimento, in mente / appena // (a pena) // un niente.”, Un niente).
Ritorna la realtà irreale, la realtà che assomiglia ad un sogno, meglio ad un incubo
(“L’ho visto mentre scompariva, / a Norimberga, dove / mai mi sono trovato. […]”, Intarsio). Continua il peregrinaggio di un io indefinito, sconosciuto e forse inesistente (“Alcuni Io. / Quasi mai io.[…]”, Personaggi; “Una volta sola “Giorgio! / Giorgio!” mi sono chiamato. […]”, Paura terza; “[…] Io, // che non sono mai stato. // Ne fisso uno. // Mi fissa. // […] Nel vuoto / del suo volto, afferro / me assente. // Inesistente. // (O il perfetto contrario.) […], Parata).
Indicazioni relative al viaggio – vita vengono fornite in Controcanto, dove Caproni prende in prestito la “vita – selva – via” di Dante: “Non nel mezzo, ma al limite // del cammino. / La selva // (la paura) // …dura… // …oscura.. // La via // (la vita) // smarrita.”; “Il viaggio / mai cominciato (il linguaggio / lacerato) ha raggiunto / il punto della sua incoronazione. // La nascita. // (La demolizione.)”; è un viaggio che volge quasi al suo termine (“Guardo davanti a me. / […] Un cartello / nebuloso, e il confine / ormai “a un tiro di schioppo”., Vista), ma che sempre più inaspettatamente procede, anzi, si direbbe che più si va avanti e meno si è preoccupati, addirittura allegri.
“Ma sono allegro. Allegro / come chi non ha più titubanza. […]”, All lost), “in piena disperanza” si porta avanti un viaggio del quale si accettano stoicamente tutte le inevitabili tappe, così come con resistenza si continua la caccia, si cerca il nemico, si punta la Bestia, quasi a non voler ammettere la già constatata ineliminabile solitudine.
Allo stesso tempo, però, si può guardare al percorso già fatto con un minimo di pacata tranquillità, si può contrapporre un po’ di bene vissuto alla Bestia – al male sempre più dilagante.
“[…] Io non vedo più niente. / Solo scempio e nequizia.”, Arietta di rimpianto) e che ancora ci attende: “La Bestia alla quale anche Caproni dà la caccia è il male di questo nostro mondo che, da molti segni, si direbbe ormai avviato alla sua fine […]. Ma la Bestia, durante la caccia che Caproni le dà, permette al poeta di parlare con graziosa malinconia delle tantissime cose che ‘al di qua’ del nulla valgono la pena di essere vissute, se non altro per scriverne in versi.”
Il nulla, il poco, Dio.
Le due brevi sezioni successive, Ciarlette nel ridotto e Mostellaria, continuano con l’assommarsi di “pensatine, rinvii, domande e risposte”: come nel resto della raccolta il verso è spezzato e portato al massimo di frammentarietà, spesso è di una sola parola.
La frantumazione dell’io e della realtà – irrealtà è giunta al suo limite estremo, oltre il quale pare esserci solo il Nulla, come è detto in Pensatina dell’antimetafisicante:
Un’idea mi frulla,
scema come una rosa.
Dopo di noi non c’è nulla.
Nemmeno il nulla,
che già sarebbe qualcosa.
Poesia immediatamente seguita, “riveduta e corretta”, dai versi di Pronta replica, o ripetizione (e conferma):
“E allora, sai che ti dico io?
Che proprio dove non c’è nulla
– nemmeno il dove – c’è Dio”.
e Per le spicce:
L’ultima mia proposta è questa:
se volete trovarvi,
perdetevi nella foresta.
Giorgio Caproni e la realtà irreale di ombre e asparizioni
“Ecco: il segreto che Caproni ci comunica non è l’esperienza del nulla, che è comune a tanta parte della poesia moderna; egli ci dimostra che ciò a cui il nulla si contrappone non è il tutto: è il poco”. Italo Calvino, Giorgio Caproni, Poesie
Un poco che può comunque essere vissuto dignitosamente, come si legge (dalla sezione I transfughi) nella poesia La piccola cordigliera o: I transfughi (“Non abbiamo rimpianti”), con il conforto di affetti sinceri e semplici abitudini (“l’antico mezzolitro” all’osteria); un poco che felicemente si contrappone al male, al marcio delle città e delle persone che non sono più quelle d’una volta (“Siamo / – in profondo – lieti / di questa scelta. / […] Ormai / conosciamo i veleni / che le deturpano. // I vili / mercati d’anime. // Le storie / vili, nel cuore / delle sparatorie […]”):
Fa freddo, è vero.
Copre i muri il salnitro,
e non sempre il camino
basta.
Ma basta
a tenerci su, all’osteria,
l’antico mezzolitro
fra gente di buona compagnia.
Viviamo di poco.
Al fuoco
della bêtise, preferiamo
battere – invisibilmente – i denti.
Il poco e il Nulla della solitudine e la morte sono i temi dominanti de Il Conte di Kevenhüller (e non solo) : Caproni si è da tempo addentrato nel territorio della morte, l’incontro è con i morti che forse sono più vivi dei vivi, ma in ogni caso certezze non ne esistono mai e “…Comunque, mattone o sughero / che sia, il seguito / e la fine (l’incipit?) / al prossimo numero…” (Rinvio).
Il senso della morte, l’ombra di ciò che è oltre la vita pervadono tutti gli ultimi versi di Caproni (“Queste vie torte. / […] Come sono vicine / (vicine!) alla morte!”, Meandro), sino al verso lapidario:
(
La morte non finisce mai
)
quasi a voler vedere nella morte l’unica realtà, o irrealtà, possibile, l’inizio e la fine della vita compresi tra due parentesi di solitudine, due parentesi di nulla.
La metafora della vita come viaggio ha accompagnato Caproni lungo tutte le sue raccolte: il percorso è stato scandito da tappe che di volta in volta rimandavano il lettore ancora oltre (malgrado spesso sembrasse di essere giunti già alla fine), gli infondevano una tensione vitale che quasi lo “spingeva” ad indagare ancora (“Andavo. Andavo. / Cercavo dove poter sostare. / Ero ormai sul discrimine. / Dove finisce l’erba / e comincia il mare.”, Raggiungimento; “Nell’Orrido del Lupo. / Nell’orrido della vecchiaia. / Di dirupo in dirupo, / la vipera: la sterpaia.”, Paesaggio), malgrado irrimediabilmente scorgesse “Un cartello / nebuloso, e il confine / ormai “a un tiro di schioppo.” (Vista).
Caproni “torna indietro” con i pensieri, con i ricordi, con i versi di una poesia.
Le sole cose in grado di regalarci l’illusione di possedere il tempo, di poterlo gestire a nostro piacimento, di poter orientare le lancette in un verso o in un altro.
Ancora una volta, però, ha il sopravvento l’intima consapevolezza che tutto, e non solo il tempo, è illusione.
Il tutto, il nulla, il poco, forse non esistono? Di ogni cosa e persona “nella memoria / degli altri, resterà una storia / – bianca – mai esistita:” (Curriculum, o: in umor nero).
Stop, il viaggio qui finisce (o qui comincia?): “la via si cancella nella folgorazione improvvisa degli opposti, della luce-buio, che bloccano ogni esito e ogni futuro”, ecco l’alt della poesia finale de Il Conte di Kevenhüller, Sospensione:
È bloccato in contrada
marittima.
Vorrebbe
proseguire.
La strada
– persa – dove conduce?
È in piena oscurità.
La vista
– sotto il sole stridente –
gli s’incenerisce.
Niente
(ha letto una volta in latino)
di più buio della luce.
(Nil obscurius luce.)
Si smarrisce.
(Il cammino
comincia qui? Qui finisce?)
Seguono i Versicoli del Controcaproni (1969-19…) così introdotti dal poeta:
Perché mai Versicoli del controcaproni? Perché mi fanno il verso, e anche perché si sono scritti da soli, contro la mia volontà, crescendo di giorno in giorno. / I perfidi. / Data di nascita, fra il 1969 e stamattina.
Ogni giorno è buono. / Destinati in gran parte a restar fuori dell’uscio per il loro carattere del tutto privato (se non – spesso – per la loro malcreanza), ora alcuni si sono fatta qui una capannuccia per proprio conto. / Vivano in pace. / (Del resto, non ho poteri per impedire le costruzioni abusive.) Versicoli del controcaproni in Giorgio Caproni, Poesie
Si ritrovano, com’è d’obbligo, alcuni temi base della poesia caproniana: l’incontro – scontro con Dio, mai risolto come d’altronde tutti gli altri incontri – scontri, occupa svariati versi, a cominciare da quelli di Professione (“Dio non c’è, / ma non si vede. / Non è una battuta: è / una professione di fede:”) e di Furto (“Hanno rubato Dio. // Il cielo è vuoto. // Il ladro non è ancora stato / (non lo sarà mai) arrestato:”).
Ancora una volta Caproni parte da un tema (l’esistenza-inesistenza-uccisione di Dio) per poi farlo evolvere e trasformare verso dopo verso, “spingendolo verso la figurazione del profondo, verso sigle mitiche che si inoltrano dentro “las secretas galerias del alma”, diventando istintivamente riconoscibili e comuni.
Come i luoghi, come le ombre della memoria hanno perduto il loro nome privato, la loro esclusività autobiografica, così anche Dio, o il suo spettro, perde la sua dubbia identità.
Resta l’eco stravolta dei suoi attributi, dei suoi occulti, minacciosi poteri (“La preda che ti uccise uccisa / e ti risuscita”). Il “Lui” del Franco cacciatore è ora compreso e inglobato da “lei” (Certezza), la bestia che atterra e suscita, che sempre vince perché è ovunque e in nessun luogo, perché occupa anche il cacciatore.”
Giorgio Caproni e la realtà irreale di ombre e asparizioni
Si passa dalla “ateologia” di Meteorologia (“[…] Stamani il mare è piatto / come la mia ateologia.”) alla “patoteologia di Senza titolo, II (“La mia patoteologia: / Dio è una malattia?”).
Forse è legittimo parlare per Caproni di una religione atea o di un ateismo religioso solo prendendo in considerazione il senso della consapevolezza che dopo la morte non c’è premio nè castigo.
Venuta meno ogni speranza e credenza di una realtà post-mortem, l’uomo acquista una maggior dignità da vivere necessariamente qui e ora.
L’estremo tentativo di negare Dio per “costringerlo” ad esistere fallisce poiché la parola uccide la sostanza, per cui “Appunto perchè lo preghi, / fratello, Dio lo neghi.” (Monito dello stesso); “[…] Ma chi quella parola disse / è lontano – e perduta / è la parola stessa / nella sua distanza.” (Imitazione).
L’uomo perviene dunque a una convinta accettazione della disperazione e rimane con la coscienza della sua intima solitudine.
Riproduzione Vietata
Un ringraziamento speciale alla fotonarratrice Patrizia Traverso per le foto
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