Andavo. Andavo.
Cercavo dove poter sostare.
Ero ormai sul discrimine.
Dove finisce l’erba
e comincia il mare.
Il Conte di Kevenhüller: non nel mezzo, ma al limite del cammino.
“Il percorso poetico caproniano, costantemente permeato di valenze ed echi musicali, culmina ne Il Conte di Kevenhüller, opera in cui la mediazione tra musica e poesia giunge alla più matura realizzazione.
La musica, introdottasi ne Il franco cacciatore come punto di riferimento fisso nel modo di comporre versi, influenza, ne Il Conte di Kevenhüller, la struttura stessa della raccolta che assume l’aspetto di un’ “opera musicale” bipartita (la sezione Altre cadenze merita di essere considerata come altro libro).” Pierluigi Rosso, La musica ne “Il conte di Kevenhuller” in Resine, n.48 dicembre 1991
La prima parte, Il libretto, costituisce una vera e propria sceneggiatura dove vengono specificate la scenografia: boscaglie e sterpeti danteschi; l’azione: la caccia alla Bestia; i personaggi: cacciatori in frenetica ricerca.
La seconda parte, La musica, non è altro che lo svolgimento a livello armonico del contenuto del libretto.
Il titolo Il Conte di Kevenhüller deriva dal firmatario di un “Avviso”, riprodotto ad apertura del libro, nel quale il Conte, in data 14 Luglio 1972, sollecita la popolazione del milanese a “una generale Caccia con tutti gli Uomini d’Armi della Comunità, col Satellizio di tutte le Curie, e colle Guardie di Finanza” perché “la Campagna di questo Ducato trovasi infestata da una feroce Bestia di colore cenericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane, e dalla quale furono già sbranati due Fanciulli”, promettendo a chi “avrà uccisa la predetta feroce Bestia” “il premio di cinquanta Zecchini effettivi”, “somma che verrà subito sborsata dal Regio Cassiere Don Giuseppe Porta”.
Circa il titolo Caproni dice di averlo scelto “Perché mi sa di operetta. Un tema così grave, ho cercato di alleggerirlo.”
Per quanto riguarda le basi musicali su cui si fonda l’ispirazione di Caproni, è lui stesso a fornirci alcune indicazioni:
Io ho studiato composizione, amo molto la musica. A tutto preferisco il Quartetto in la minore opera 132 di Beethoven: quello è pensiero puro senza la parola, ed è proprio quel che vorrei raggiungere io.
Non vedo perché non si dovrebbe pensare in musica.
Splendido è il “molto adagio” di quel quartetto. È un esempio di “sistema della variazione continua”: su un tema si varia come timbro, ritmo, tempo.
E io in questo libro ho cercato, come nell’opera musicale, di alternare l’allegro al grave, lo scherzo al solenne. Si arriva persino alla barzelletta. La poesia non deve essere per forza noiosa. Laura Billi, Chi è la Bestia, La Repubblica, 3 agosto 1986
Molteplici i cenni al tempo d’azione: la dedica al lettore, in epigrafe alla raccolta, (“Quest’operetta a brani, / Lettor, non ti sia sgradita. / Accettala così com’è, / finita ed infinita” – Aleso Leucasio) ci riporta all’inizio del 1700, mentre la data finale dell’ “Avviso” è 14 Luglio 1792; altro riferimento temporale lo si legge nella poesia La frana (“Giorno: il 14 Luglio. / Anno: quello tra il Flauto Magico, / a Vienna, e, a Parigi, il Terrore”) dove l’anno viene indicato in base alla prima rappresentazione dell’opera di Mozart Il flauto magico, avvenuta a Vienna il 30 Settembre 1791.
Da notare il richiamo ai personaggi principali dell’opera mozartiana, Papageno e Tamino, nelle poesie Riferimento (“Ah, Papageno. / Papageno!!”) e Il serpente (“[…] il serpente / che incenerì di paura / Tamino […]”).
Prima ancora di presentare il luogo ed i protagonisti dell’azione, ecco il “colpo”, il primo della “grande caccia”, che uccide il direttore. Viene così a mancare il principale interprete dell’opera, colui che poteva tenere nelle sue mani i molteplici fili dell’ordito.
Il difficile compito viene lasciato ai singoli esecutori, ognuno dei quali diventa responsabile per la parte che gli compete.
Avvertimento
“Quant’odio, nell’amore.
Quanto amore, nell’odio…”
Salito appena sul podio,
un colpo fredda il direttore.
L’orchestra dovrà far senza.
Il pubblico urla d’impazienza.
Così (e sarà di certo
un baratro) comincia il concerto.
Come scrive Luigi Surdich: “Il coup de thèatre all’inizio e non alla fine (e fuori scena: ma il Conte di Kevenhüller, converrà ricordarlo, è insieme opera teatrale e sua rappresentazione) è la prima delle grandi sorprese inventive di questo testo, innovativo anche nell’articolazione, perché sono fatti convivere il registro della narrazione e quello della concentrazione ed intensità sapienzale: ma la narrazione è del tutto particolare, non da romanzo, bensì da operetta per musica, come s’è già visto, e la sapienzialità è quella distillata della scienza della negatività”. Luigi Surdich; Giorgio Caproni. Un ritratto, pag.128
L’incontro-scontro con la Bestia.
Il libretto ha inizio con brevi e concise indicazioni sceniche (Fondale della storia: “L’acciaio / Il ghiacciaio”; Luogo dell’azione: “In ogni dove”); si indicano i protagonisti (Personaggi: “Alcuni Io. / Quasi mai io. / Altri pronomi. / Nomi. // Parti secondarie: / le stesse del Discorso”).
La battuta si apre con la “straziata allegria” che dal Franco cacciatore si estende qui all’intera comunità: “[…] Il sangue dà sempre allegria. / L’assassinio è esultanza. / Uccidere, un passo di danza / che sfiora la liturgia.”, Pronto effetto; dopo di che entrano in scena i personaggi principali: un Io, come sempre di dubbia appartenenza reale (o “Alcuni Io. / Quasi mai io.”), e la caccia (“Mi armai anch’io. / Anch’io / mi unii alla “generale Caccia”; Invano), subito dopo precisata in caccia alla Bestia, anch’essa non si sa se realmente esistente oppure no (“Gettai il fucile. / Rientrai / – di stizza – all’osteria. // La Bestia, o era fuggita via, / o non esisteva.” […], Dispetto; “[…] Anche se non esisteva, / la Bestia c’era. / Esisteva, / e premeva. […]”, La frana).
La caccia alla Bestia, l’incontro – scontro con la Bestia che c’è o forse non c’è e che, se c’è, sfugge: “[…] Prima / di nominarla, spara! // Spara prima che sparisca / nel suo nome. […]”, L’ora.
(Cadrà.
Sicuramente
cadrà. anche se non cadrà mai…
Ti basterà crederlo…
Lei…
La preda sempre eludente…
Sempre altra…
La preda
– spara! – che infallibilmente
centrata, oltre il fumo
delle tue canne – oltre il grumo
dei lecci – vedrai scappar via
– celarsi – dentro la sua morte…
Come sempre l’unica certezza è l’incertezza e quando si parla di realtà, l’unica possibile è la realtà ossimorica
La preda che ogni volta svia
il piombo che la atterra, e svisa
ogni bersaglio…
Lei…
La preda che ti uccide uccisa
e ti risuscita…
La preda
dalle mille contorte
tracce, che immancabilmente
colpita fallirai
nell’attimo in cui la abbatterai…)
(Certezza)
La preda viene nominata di continuo e di volta in volta si aggiungono particolari utili per l’identificazione.
“La preda che si morde / la coda… / La preda / che in vortice si fa preda / di sè… […] La preda / monstruosa…/ La preda / che in continuo suicida / in continuo colpisce / (fallisce) la sua ombra…. / La preda / (un letame? una rosa?) / che tutti abbiamo in petto […] La preda / evanescente… […]”, La preda.
È una preda, come scrive Surdich, “metamorfica nella figura”: “La bestia leoneggiante […]/ La bestia / dragheggiante. // La bestia / amebeggiante… […]”, Lei; “La bestia gommeggiante. / Donneggiante. […]”, La più vana; e “polisemica nelle significazioni: la paura? Dio? l’io?”: “[…] La Bestia che cercate voi, / voi ci siete dentro.”, Saggia apostrofe a tutti i caccianti.
“[…] (La Bestia che bracchiamo, / è il luogo dove ci troviamo.)”, Riflessione, “Por su bien, mi creda. / Se vuol colpire davvero / la preda, si decida. // La preda è lei. // Si uccida.”, Al più frenetico, “Presta bene orecchio, / amico, a quel che ti dico. // Tu miri contro uno specchio. / Sparerai a te stesso, amico.”, All’amico appostato.
Nella poesia Io solo la Bestia viene invece identificata con il nome, la parola, “un’entità pericolosa ed autonoma, svincolata dall’oggettiva conoscenza, sempre mutante ed inafferrabile” Adele Dei, Giorgio Caproni, p.226
La Bestia assassina.
La Bestia che nessuno mai vide.
La Bestia che sotterraneamente
– falsamente mastina –
ogni giorno ti elide.
La Bestia che ti vivifica e uccide…
……
Io solo, con un nodo in gola,
sapevo. È dietro la Parola.
Tale identificazione non lascia scampo: anche se adesso conosciamo la natura del bersaglio da colpire, dobbiamo ancora una volta arrenderci di fronte alla nostra impotenza, all’impossibilità di fronteggiare il nemico.
(“[…] È lei. / Soltanto e inequivocabilmente / lei, la Bestia / (l’ònoma) che niente arresta.”, Lei; “L’ònoma non lascia orma. / È pura grammatica. / Bestia perciò senza forma. / Imprendibilmente erratica.”, L’ònoma).
Il potere del nome è quello di evocare ed annullare l’oggetto (“Il nome non è la persona. // Il nome è la larva. […]”, Il nome) e l’unica possibilità che ci rimane è quella di non nominare gli oggetti o di negarli, prima che la Bestia appaia (“[…] …È l’ora… // L’ora della Bestia… // Prima / di nominarla, spara! // Spara prima che sparisca / nel suo nome. […]”, L’ora).
In ogni caso, qualora decidessimo di puntare ugualmente il bersaglio, punteremmo a vuoto, ci scontreremmo, come al solito, nel vuoto Nulla, come è detto in Consolazione di Max:
Mi piacciono i colpi a vuoto.
I soli che infallibilmente
centrino ciò ch’enfaticamente
viene chiamato l’Ignoto.
Riproduzione Vietata
Un ringraziamento speciale alla fotonarratrice Patrizia Traverso per le foto
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