E poi ci sono i luoghi degli appuntamenti decisivi. Quei luoghi simbolo che hanno segnato la storia, la tua.
Che scegli tu affinché l’Architettura, quella magnifica e drammatica ti tenga per mano.
Così fa meno paura. Radiohead nelle orecchie, gli occhi ancora umidi per ‘Vite che non sono la mia’ di quel Carrére che ti ha fatto scoprire lui.
E piazza Navona è perfetta: antico Stadio di Domiziano, dove si svolgevano le gare di atletica, da cui il termine latino “Stadium in agonis“. Le trasformazioni urbanistiche successive, con il piano di calpestio più alto di 9 metri, mantengono inalterata la forma originaria.
Nel Quattrocento diventa piazza con il toponimo agonis che nei secoli si deforma in nagona e infine Navona.
Poi la Roma papalina del ‘700 la riempiva di acqua durante le calde estati permettendo ai romani di sguazzarvi con le loro carrozze.
Mettici pure che al centro della piazza si svolge il dramma presunto della rivalità tra i due maggiori esponenti del Barocco Romano.
La Fontana dei Fiumi di quel furbacchione di Bernini e di fronte la chiesa di Sant’Agnese in Agone del meno fortunato Borromini.
La leggenda vuole che il Rio della Plata di Bernini si protegga contro l’imminente crollo della facciata della chiesa del rivale Borromini. E che la Santa sia stata collocata sulla facciata a scongiurarne il crollo. Peccato che la Fontana fosse già terminata nel 1651 quando nel 1657 fu inaugurata la chiesa.
Bernini solare paraculo, nelle grazie di Papi, cardinali, nobili e perfino del Re di Francia.
(Lo stesso del colonnato di San Pietro per intendersi). L’A rchitetto, il pittore lo S cultore del Barocco Romano (una per tutte il Ratto di Proserpina).
Con il suo barocco trionfante e spettacolare.
Borromini non altrettanto fortunato con la committenza, con cui litiga spesso, come nel caso di Sant’Agnese, cantiere che sarà costretto a lasciare.
Spirito inquieto, Architetto punto, con il suo barocco introverso e innovativo. Morto suicida con un harakiri.
Genio assoluto.
In termini di spazialità decisamente superiore con le sue geometrie complesse. San Carlino ne è un esempio mirabolante.
Di Santa Agnese è sua la facciata, in parte, con gli arretramenti, le concavità e le convessità, la sua cifra stilistica. La Fontana del Bernini è un capolavoro con giganti che rappresentano i fiumi dei 4 continenti. Nilo, Rio de La Plata, Danubio e Gange. Tritoni, cavalli, conchiglie, delfini, serpenti, stemmi papali e coccodrilli. Il tutto fuoriesce da una massa marmorea bucata che sorregge l’obelisco.
Degna di Fellini.
Ce ne stiamo lì sotto quella mano alzata del fiume argentino a non dire nulla, a parlare di niente. Perché non c’è più nulla da dirsi.
Immobili, compressi tra la mano e la facciata. In una tensione che non si scioglie neanche con la luce calda del tramonto (scelta accurata anche dell’ora giusta) di una Roma che è bella da impazzire.
La piazza trattiene nel suo spazio scenografico quella compressione.
Mi incammino. Radiohead nelle orecchie. No alarm no surprises. C’è Roma che mi tiene la mano e mi accompagna fino al Liberty nero parcheggiato sotto la statua parlante di Pasquino. A lui, santo laico, consegno un biglietto che non si fa beffa di nessuno.
Gli chiedo di farsi custode e conservare la Bellezza eterna di questo luogo nell’imbrunire di un tempo senza tempo di un incanto senza fine.