Il fascino di entrare in nuovi mondi e scoprire che sono proprio nella tua città, mi ha fatto sentire lontanissimo e vicinissimo a Davide Ferrari: Presidente dell’Associazione Echo Art, direttore artistico e organizzativo del Festival del Mediterraneo, ma anche musicista e musicoterapeuta.
La rubrica Soundcheck prosegue le sue interviste con il prezioso contributo di Davide Ferrari che ci fa sentire parte di un meraviglioso miscuglio di culture sonore che ha il nostro mare al centro.
Che cosa significa per te la Liguria?
Un luogo di grande stimolo per la sua incredibile varietà paesaggistica. Una terra la cui forma abbraccia e accoglie il Mar Mediterraneo, le sue culture, i suoi colori, suoni, la sua storia.
Cosa ti ha spinto a creare l’associazione ormai più di 35 anni fa?
Abbiamo iniziato con la musica, come gruppo, rielaborando quello che ricevevamo dall’Inghilterra e dall’America, il rock, la new wave, il post punk, cercando di dare suono alla nostra identità urbana, in Italia, a Genova.
Molto presto abbiamo iniziato ad organizzare i nostri concerti in Italia, a portare i nostri dischi al di fuori dei confini cittadini, regionali e poi nazionali. Siamo entrati subito nel circuito delle musiche new wave italiane, essendo stati il primo gruppo genovese a pubblicare un LP di nuova musica dopo il grande periodo dei cantautori.
Questo ha rinforzato la scelta fatta. Da lì in poi sono nati tanti progetti, pubblicazioni, spettacoli, incontri con altre discipline artistiche. Abbiamo iniziato ad invitare artisti ed iniziammo l’attività parallela di organizzazione. Poi nacque il Festival del Mediterraneo (1992) con gli studi di etnomusicologia e musicoterapia… tutt’oggi si va avanti su questa strada..
Quali sensazioni provi ad organizzare eventi?
Ogni edizione del Festival è una sfida con il tema che scelgo. Cerco sempre di appagare il più possibile il pubblico portando nuovi concerti, rappresentativi di popoli talvolta lontani, dando l’opportunità attraverso il tema scelto di approfondire, vivere e condividere culture e arti che non ci appartengono direttamente.
Mi piace immaginare nelle diverse location di Genova una musica o un artista. Mi piace e mi stimola l’idea di incontrare musicisti che hanno vite lontane dalla mia, provenienti da luoghi remoti, o che usano strumenti o tecniche musicali speciali .
Tre aneddoti del Festival del Mediterraneo.
Il primo che mi viene in mente riguarda gli Indios dell’Amazzonia, per la prima volta giunti in Europa e per la prima volta usciti dalla foresta.
Li andai a prendere all’aereoporto di Nizza. Una famiglia con nonno, padre e due figli. Sembravano bambini, spaventati e persi. Tutti con il loro tipico taglio di capelli, identici tra di loro. Sono stati ospiti per una settimana e fu un esperienza incredibile vedere l’entusiasmo di un essere umano oggi nello scoprire il treno, le gallerie, il mare… Erano accompagnati da un etnomusicologa, Marlui Miranda. Si decise di farli uscire dai loro territori per denunciare il rischio di estinzione della loro etnia, i Meinaku, causa inquinamento delle acque.
Un altro aneddoto abbastanza surreale lo crearono i Tuareg del deserto dell’Hagghar. Dopo diverse complicazioni a causa dei visti riuscirono ad arrivare e la prima cosa che fecero fu quella di creare un piccolo accampamento al porto Antico, a ridosso del palco. Con tanto di tenda, piccolo fuoco per il tè e rituali di vita quotidiana in un contesto tutt’altro che desertico come quello dell’area di Piazza delle Feste.
Mi viene in mente un altro episodio che fa sorridere. Era previsto l’arrivo di alcuni musicisti dal Rajasthan, India. Per una questione di aerei persi si ritrovarono a Istanbul e dovettero fare autonomamente tramite il loro accompagnatore un nuovo biglietto. Ci chiamarono da Ginevra , sbagliando Geneve con Genova.
Ma gli episodi sono tantissimi. Per fortuna pochi quelli negativi.
Mi trasformo adesso in un ragazzo tra i 15 e i 25 anni, puoi darmi tre consigli concreti per descrivere la forza terapeutica della musica e perché intraprendere questa carriera?
Lo sviluppo dell’ascolto in tutte le sue forme, sviluppando forme di dialogo interno ed esterno. Uno spazio dove portare la propria creatività e quindi rielaborare la realtà; conoscere e diffondere cultura, saperi, bellezza.
Se penso alla tua biografia, vedo tante esperienze anche in ambiti eterogenei. Come definiresti la tua carriera in tre aggettivi?
Necessaria
Passionale
Imprevedibile
Dove ti vedi tra 20 anni e cosa stai facendo?
Come oggi, in una casa/studio piena di strumenti a cercare di impararli tutti e ad imbastire nuovi progetti per il benessere degli altri
Quali sono i tre dischi che porteresti sull’isola deserta?
Velvet Underground & Nico “Andy Warhol”
David Bowie “Ziggy Stardust”
Sakamoto “Playing the piano”