Secondo il report di Confindustria Genova nel primo semestre 2021 le migliori performance nell’economia sono state registrate dai settori manifatturieri.
Più timidi i segnali di ripresa nel turismo, che ha fatto registrare un fatturato in aumento del 2,2%, raffrontato al -51% del semestre “horribilis” del 2020.
Tuttavia i livelli pre-Covid sono lontani. É prevedibile che i numeri liguri siano analoghi.
I dati di luglio e agosto sono invece positivi.
A livello nazionale un’indagine della Cna ha segnalato numeri record: 23 milioni di italiani, oltre un terzo della popolazione, hanno trascorso le vacanze nel nostro Paese. Erano stati 17 milioni nel 2020 e 18 nel 2019, l’ultima estate pre-Covid.
In un anno, dunque, si è registrato un aumento del 35,3%.
15 milioni di persone hanno scelto gli hotel, mentre i restanti 8 hanno preferito strutture extra-alberghiere. I 6 milioni di turisti stranieri hanno in parte rilanciato le città d’arte. Ma sono state soprattutto le località marine a trainare il record del settore.
«Il tutto esaurito ha segnato le spiagge da un capo all’altro dell’Italia in misura significativa», scrive Cna.
Vedremo i dati del turismo in Liguria, ma il dato nazionale dovrebbe essere confermato.
Tutto bene, allora? L’esplosione di presenze, se fa esultare gli operatori, ha anche intensificato gli aspetti più problematici del turismo di massa.
Sia nella gestione dei flussi di persone, che dal punto di vista ambientale: traffico fuori controllo, macchine parcheggiate ovunque, sporcizia dilagante, spiagge strapiene, aree protette prese d’assalto.
L’impatto è anche sociale, nel senso di uno svuotamento dall’interno della vita dei territori.
Il “turboturismo” cannibalizza i luoghi, li riduce a location.
Un altro effetto deleterio è stato quello di demonizzare ancor di più lo spazio pubblico e comune, ovvero di concederlo ai privati (tavolini sulle strade, sui marciapiedi e sulle piazze, arenili già liberi affidati agli operatori balneari) come forma di risarcimento economico.
Una fagocitazione dalla quale nessuno sarà facilmente disposto ad arretrare.
Lo sfruttamento intensivo dei centri storici e dei litorali e il consumo delle risorse ambientali e sociali – di questo si deve parlare, piuttosto che di generico «degrado» – non può che preoccupare. E spingerci ad avere il coraggio di cimentarsi su una «conversione ecologica dell’economia turistica».
Gli aspetti problematici emersi in questi mesi evidenziano che il nostro modello turistico, rigido e pesantemente ancorato alle destinazioni di massa, non regge più.
Non si può più puntare sui grandi numeri pensando che con frotte di viaggiatori conformisti si possano impennare i fatturati senza curare la qualità dell’accoglienza, propinando le solite mete e inducendo al consumo oltre i limiti della sostenibilità.
Eppure, mentre lo sfruttamento di massa sega il ramo su cui il turismo posa – l’attrazione ambientale – cresce il pubblico che si rifiuta di consumare i luoghi.
Chi governa il settore deve cogliere l’enorme distanza che separa la fugace emozione turistica dall’esperienza del viaggio. Capire quanto sia diverso intruppare il cliente su una spiaggia e incolonnarlo davanti a un sentiero, oppure accoglierlo in una casa, introdurlo in un luogo e accompagnarlo alla conoscenza.
Il turismo di massa consuma anonimi territori, l’altro turismo li svela.
Gli agriturismi, i B&B e le locande a conduzione familiare e flessibile possono riaccendere i territori, favorire l’incontro tra residente e turista e aiutare le produzioni locali. Abbiamo decine di borghi nella Liguria profonda, lo scheletro della regione. Potrebbero diventare la nostra nuova ricchezza.
Infine: il problema non è solo quello del numero dei turisti e della valorizzazione turistica dell’entroterra, oggi meno “battuto”. Il problema è anche quello del numero dei residenti, che in questi luoghi sta calando. E dunque di politiche di governo dei prezzi del mercato immobiliare e di costruzione dei servizi necessari per fermare l’esodo dei residenti. Per reintrodurre residenze popolari e per soddisfare le esigenze produttive di nuove imprese giovanili. L’entroterra ha bisogno di più turisti, ma anche di tornare ad essere – o di restare – un luogo con un’anima e una memoria.
GP
articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini
N.d.R: L’opinione degli autori non coincide necessariamente con quella della Redazione.