A chi non è di Roma, a chi non è romanista, potrà interessare poco questa storia. Eppure la racconto perché, si dice spesso, attraverso questo benedetto sport che si chiama “calcio” si riesce a cogliere l’essenza della Capitale cento volte meglio rispetto a quanto si potrebbe fare dal racconto di qualsiasi altra attività svolta all’ombra del Cuppolone.
La storia è così totalizzante in città che non esiste bar, panchina, ricreazione, pausa sigaretta che non trovi pronto un narratore, un opinionista, uno che ha sentito dire. Dura da un paio di mesi ormai. Le facce interdette del 18 settembre, lo shock per l’esonero inatteso dell’allenatore cocco di casa, amato, prediletto. Poi le facce ingrugnate della protesta, fischi ai veterani e non solo, qualche parola grossa, le dimissioni greche. Quarti d’ora persi di partita in curva Sud che ai diretti interessati saranno sembrati un’eternità, ma insomma sempre trattavasi di incaponita protesta verso una società allo sbaraglio. Intanto, attenzione: gli americani hanno dato il timone a un croato di Spalato che ci prova pure a navigare in un mare tempestoso, ma nema šance, nessuna possibilità di risollevare gli animi e la classifica.

La storia va forte perché, in fin dei conti, tratta il tema universale dello sgomento dell’essere umano di fronte alle cose incomprensibili. E il tifoso della Roma quest’anno è confuso, non si aspettava tutto questo. Irascibile, incupito, in analisi. Ma soprattutto il tifoso della Roma è passionale. “Ci vorrebbe uno come noi, uno che conosce l’ambiente. Uno che ci guidi in questo inspiegabile momento buio”, confida il comico Leonardo Bocci all’intelligenza artificiale della Friedkin Group che genera allenatori su misura.
Ed eccolo, allora. Ancora lui. Torna “er fettina” da Testaccio. Vola a Londra per le formalità e, quando torna, a Fiumicino è travolto da un’ondata d’affetto. Il coro “Ranieri uno di noi”. Improvvisamente è come se avessimo trovato la medicina, la rotta in un mare che si calma. Poi chissà, si vedrà.
“La Roma, se chiama, io devo rispondere sì”. Claudio Ranieri l’aveva già detto l’8 marzo 2019 quando, esonerato Di Francesco, fu chiamato, otto anni dopo la precedente esperienza sulla panchina giallorossa, per traghettare la squadra fino a fine stagione. In mezzo c’erano stati Inter, Monaco, nazionale greca, Leicester, Nantes e Fulham. Una Premier League vinta, un 2016 da star, una valanga di premi internazionali. Era marzo, appunto. Con una metafora alla Franco Bragagna disse che bisognava fare il curvone e poi l’ultimo rettilineo. Fu infatti un finale di campionato con una rincorsa per un posto in Champions che sfumò per soli tre punti. Nell’ultima giornata contro il Parma, che fu anche l’ultima partita in campo per Daniele De Rossi, ci fu quell’omaggio della curva Sud che gli dedicò striscioni, applausi e cori. E giù emozioni.

Adesso il tifoso romanista riparte da lì. Vede un romano che torna a casa e che solo una cosa chiede, per adesso: di non fischiare i giocatori durante le partite. Stavolta ha davanti un bel po’ di pista, ma pure tante, davvero tante squadre su cui fare la corsa giornata dopo giornata. Ma se la Roma chiama…