Chiesto l'ergastolo per Alessia Pifferi per la morte della figlia

Abbandona la figlia di 18 mesi, chiesto l’ergastolo per Alessia Pifferi

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È un punto di svolta il processo ad Alessia Pifferi, accusata di aver abbandonato la figlia di diciotto mesi per sei giorni causandone la morte: nel corso dell’udienza di ieri il pm Francesco De Tommasi ha chiesto l’ergastolo per omicidio volontario pluriaggravato. «È vigliacca, ha lasciato che il destino la sbarazzasse della figlia. Recita una parte, vuol fare la diva».

La vicenda giudiziaria va avanti da diversi mesi e ha fatto scalpore anche per i dubbi sollevati sull’operato di alcune psicologhe in servizio presso il carcere di San Vittore che potrebbero aver instradato l’accusata a fare certe dichiarazioni per ottenere l’infermità mentale. Sono quattro in totale le psicologhe, insieme all’avvocata Alessia Pontenani, al momento sotto indagine per falso e favoreggiamento.

Uno stato mentale fragile e deficit cognitivi che avrebbe reso imputata incapace di capire le inevitabili conseguenze a cui sarebbe andata incontro la figlia Diana, di appena 18 mesi, lasciata sola nella culla per sei giorni in piena estate con appena due biberon di latte, due bottigliette d’acqua e una di tè.

Alessia Pifferi, il consulente psichiatrico di ufficio smonta la difesa dell’incapacità di intendere

Una ricostruzione che però il consulente psichiatrico ha smontato, sostenendo che «qualunque sia il deficit cognitivo di Alessia Pifferi, non incide e ha inciso sulla sua capacità di intendere e volere». L’esperto ha affermato in aula che non solo i test somministrati alla donna nel carcere dalle psicologhe di San Vittore «non furono fatti in maniera appropriata e non sono attendibili», ma anche che Pifferi “simulava”, per riuscire a ottenere una perizia a lei favorevole. 

Il pm Francesco De Tommasi ha pertanto chiesto alla Corte d’assise di Milano di condannare al carcere a vita Alessia Pifferi. L’imputata, secondo il pm, in quei giorni aveva lo scopo «di divertirsi e avere i suoi spazi in vacanza» con il suo compagno dell’epoca, in giudizio non deve rispondere di morte della figlia come aggravante del reato di abbandono di incapace (da 3 a 8 anni).

Pur non fosse suo diretto desiderio che la bambina morisse, secondo De Tommasi, la donna avrebbe infatti accettato il rischio dell’eventualità della morte – eventualità praticamente certa data l’età della piccola. Ci sarebbe quindi dolo diretto nell’aver messo il proprio scopo di divertimento davanti alla possibilità che la bambina non sopravvivesse, facendo ricadere perciò il caso nell’omicidio volontario.

Le aggravanti chieste nel caso

Se il reato contestato ad Alessia Pifferi già prevede una pena non inferiore a 21 anni, infatti, le aggravanti date dal rapporto di filiazione (madre-figlia), dai futili motivi (assoluta sproporzione tra ciò che succede e i motivi per cui succede), e dalla premeditazione su cui l’accusa insiste portano il computo del tempo da passare in carcere all’ergastolo.

Alla Corte di Milano spetta invece se riconoscere le attenuanti generiche, che eviterebbero alla donna di passare il resto della sua vita in prigione, possibilità a cui però il pm si oppone proprio per il comportamento tenuto non solo prima ma anche dopo la morte della bambina.

De Tommasi infatti ha posto l’accento su come l’accusata non abbia mostrato né consapevolezza del suo errore né pentimento. Le dichiarazioni rilasciate da Pifferi nel corso dell’udienza di ieri «a tutti gli italiani», invece che solo alle persone chiamate a decidere del suo futuro, dimostrerebbero secondo il pm una volta di più il suo bisogno di«essere una diva, una persona al centro dell’attenzione. E oggi, sia pure a scapito di una bambina, in un certo modo ci è riuscita». Un atteggiamento inconcepibile, considerando la drammaticità della morte della figlia.

La morte di Diana e il suo tragico fato

L’accusa si è concentrata a tenere invece al centro del dibattimento la vittima, una bambina di neanche un anno e mezzo morta «di fame e sete dopo sofferenze atroci e terribili con un processo di progressivo indebolimento delle funzioni vitali: era supina nella culla, gli occhi infossati, la bocca scura, segni già di decomposizione alle mani e piedi, sono i dettagli della mortificazione di una bambina. Ci vuole stomaco (a parlare dei dettagli del caso, ndr), ma dobbiamo avere il coraggio di farlo».

Il pm ha ricordato che la piccola, «presa dai morsi della fame, la bimba ha cercato di mangiare il pannolino mentre la madre era fuori a divertirsi, era corsa dal suo compagno e l’aveva lasciata là da sola», ripercorrendo le testimonianze delle prime persone entrate in casa nel luglio 2022.

«L’imputata vi chiederà legittimamente di essere più clementi, più miti nei suoi confronti», tuona De Tommasi, quando la donna «utilizza le bugie per eludere gli ostacoli che la vita le pone di fronte ogni giorno, e per soddisfare i tanti desideri che ha e per i quali cerca di apparire diversa».

Le continue bugie della donna che hanno condannato a morte la bimba

La tendenza a mentire per salvare le apparenze dell’imputata hanno impedito che altre persone si rendessero conto dello stato in cui si trovava la piccola Diana, così come la noncuranza per le condizioni della bambina.

Il pm ha ricordato infatti che il lunedì mattina prima della scoperta della morte di Diana, Alessia Pifferi è tornata a Milano con il compagno nel corso della sua “vacanza”. Avrebbe avuto quindi la possibilità di passare a casa e controllare lo stato della bambina, ma ha scelto di non farlo per timore che il compagno – a cui aveva detto che Diana era al mare con sua sorella – la lasciasse. Allo stesso modo, la donna avrebbe potuto chiedere proprio alla sorella di prendersi cura della bambina o di passare a controllarla.

Anche alla scoperta del cadavere, la donna avrebbe infatti continuando a mentire parlando di una fantomatica babysitter negligente.

La difesa di Alessia Pifferi per evitare l’ergastolo

A inizio udienza il difensore Alessia Pontenani – che è sotto indagine con le accuse di falso e manipolazione – ha fatto acquisire dalla Corte d’assise documenti per dimostrare che la 38enne era seguita già tra i “6 e gli 11 anni” dai servizi di neuropsichiatria infantile e aveva avuto «una diagnosi funzionale di turbe psichiche e gravi ritardi cognitivi» e un insegnante di sostegno a scuola. Tuttavia la Corte, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, non ha permesso di integrare la perizia, in quanto già accertata l’assenza di vizi di mente.

L’imputata nelle sue dichiarazioni è ripartita dal narrare una «infanzia di bambina sempre isolata», descrivendo il padre con un carattere violento, e ha dichiarato di aver subito a 16 anni «un abuso sessuale», facendo anche nome e cognome del presunto violentatore in aula. «Sto pagando già l’ergastolo di aver perso mia figlia», ha aggiunto.

«Pifferi oggi ci è venuta a dire che non è un’assassina: ma allora perché ha voluto sempre giustificare con tutti che Diana a 18 mesi non fosse sola in casa? Perché sapeva benissimo che era una cosa che non si fa, lo sa anche un bambino che è un comportamento gravissimo», le risponde nella requisitoria il pm, secondo il quale «durante questo processo ha studiato, si è ingegnata, ha capito come si formano le valutazioni in un giudizio penale: e ora vi dice cose solo con lo scopo di evitare la sanzione più grave e ottenere qualche vantaggio processuale».

Presente in aula anche Viviana Pifferi, sorella di Alessia e zia di Diana, che si è costituita parte civile con la madre. Il processo continuerà il 13 maggio con la prossima udienza.

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Info Laura Casale

Laureata in Comunicazione professionale e multimediale all'Università di Pavia, Laura Casale (34 anni) scrive su giornali locali genovesi dal 2018. Lettrice accanita e appassionata di sport, ama scrivere del contesto ligure e genovese tenendo d'occhio lo scenario europeo e internazionale.

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