A 30 anni dal genocidio, il ricordo del Ruanda
Teschi umani al Memoriale di Nyamata, foto di Inisheer – CC BY-SA 3.0

A 30 anni dal genocidio, il ricordo del Ruanda

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Oggi in Ruanda si commemorano i 30 anni dall’inizio del genocidio organizzato dagli estremisti Hutu che ha dilaniato il Paese, in uno dei massacri più sanguinosi del XX secolo, in cui morirono circa 800mila persone in un centinaio di giorni.

La divisione etnica in Ruanda, che oggi si considera principalmente una forzatura a opera del dominio coloniale europeo basata su tratti somatici, vedeva i Tutsi a rappresentare l’aristocrazia nella società locale e gli Hutu a svolgere il lavoro agricolo e altre mansioni pesanti, oltre a sovrintendere i culti religiosi. Per soverchiare le gerarchie locali e prendere il controllo del territorio ruandese, in particolare i colonizzatori belgi nel XIX secolo alimentarono la differenza tra i due gruppi, privando gli Hutu della loro autorità religiosa ed elevando i Tutsi a popolazione camita e quindi “parente” degli europei.

Il precedente: la rivolta degli Hutu che portò all’indipendenza

La distinzione dei due gruppi in due diverse razze umane porta a una tensione tra Tutsi e Hutu sempre più forte. Gli Hutu si rivoltarono una prima volta nel 1959 contro la monarchia Tutsi, portando il paese a un referendum nel 1961 che sancì l’indipendenza del Ruanda un anno dopo. In questa prima rivolta morirono circa 100.000 Tutsi, mentre molti altri emigrarono in Uganda e in Burundi.

Da qui partirono diverse tensioni su base etnica in tutta la regione africana: nel 1966 una serie di colpi di Stato in Burundi – sempre alimentata dalle due etnie – si concluse con la presa del potere da parte dell’aristocrazia Tutsi; sei anni dopo gli Hutu tentarono un nuovo colpo di Stato, che finì però nel sangue con lo sterminio da parte del governo di 200.000 Hutu. L’anno successivo in Ruanda il generale Hutu Juvénal Habyarimana riuscì a insediarsi al potere e nel 1975 instaurò un regime autoritario.

In Burundi nel frattempo sanguinosi scontri nel 1988 provocarono decine di migliaia di vittime e terminarono con la formazione di un governo parlamentare a maggioranza Hutu. Nel 1990 il Fronte Patriottico Ruandese (RPF), gruppo politico-militare nato nella comunità Tutsi rifugiatasi in Uganda, tentò un colpo di Stato in Ruanda e scatenò la guerra civile ruandese, che durò tre anni.

7 aprile 1994: il genocidio in Ruanda

In questo contesto sanguinoso trova le sue radici il genocidio del 1994, che oltre al Ruanda coinvolse anche tutti i paesi confinanti in cui si trovavano gruppi Hutu e Tutsi: Uganda, Burundi, Congo e Tanzania.

Il 6 aprile l’aereo del presidente Juvénal Habyarimana fu abbattuto da un missile terra-aria, la miccia perfetta. In meno di 24 ore nella capitale Kigali e nelle zone controllate dalle forze governative cominciarono i massacri: gli Hutu radicali cominciarono a uccidere senza pietà Tutsi e Hutu moderati che non sostenevano l’iniziativa violenta a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati.

Il genocidio fu sostenuto da ideologi che – utilizzando quella stessa retorica importata dai belgi – definirono i Tutsi una “razza estranea” al Ruanda che doveva essere estirpata dal paese. L’élite Hutu e alcuni membri del governo, come testimoniò poi il primo ministro ruandese Jean Kambanda davanti al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, erano «personalmente in favore di sbarazzarsi di tutti i Tutsi; senza i Tutsi, disse il ministro, tutti i problemi del Ruanda sarebbero risolti».

Le violenze durarono 100 giorni, fino a quando le milizie ribelli del Fronte patriottico ruandese (RPF) presero Kigali nel luglio 1994. Anche oggi non si può arrivare a un conteggio preciso dei morti: le stime contano tra le 500.000 e il milione di vittime.

Le conseguenze a trent’anni dal genocidio e le celebrazioni di oggi

Dal 1994, il Ruanda è sotto la ferma guida di Paul Kagame, tuttavia uno spaccato così violento e sanguinoso ha lasciato ferite molto profonde nella società ruandese. Generazioni cresciute divise tra Hutu e Tutsi stanno ancora cercando di capire come vivere fianco a fianco come un unico popolo, mentre i giovani ruandesi cercano di immaginare un nuovo Paese che, pur non dimenticando, possa andare oltre il genocidio.

Come da tradizione, oggi le commemorazioni vedranno il presidente Kagame accedere una fiamma commemorativa al Kigali Genocide Memorial, dove si ritiene che siano sepolte più di 250.000 vittime.

Kagame inoltre deporrà corone di fiori sulle fosse comuni, assieme ad alti rappresentanti di altri Stati, tra cui l’ex presidente degli Usa Bill Clinton, che all’epoca definì il genocidio in Ruanda «il più grande fallimento della sua amministrazione»

Malgrado il processo di fronte al Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda – in cui si sancì la prima condanna della storia per genocidio – il processo di cura e di ricostruzione del Ruanda non è ancora completo.

Per molti non potrà esserlo finché anche l’Occidente – che giocò un ruolo rilevante nell’infiammare il conflitto tra Hutu e Tutsi al fine di mantenere il controllo sulla regione – non riconoscerà le sue colpe. In particolare in questo importante anniversario si attende che il presidente francese Emmanuel Macron dichiari che la Francia e i suoi alleati occidentali e africani “avrebbero potuto fermare” lo spargimento di sangue, ma non hanno avuto la volontà di farlo.

La cerimonia proseguirà con un discorso di Kagame in un’arena da 10.000 posti nella capitale, dove i ruandesi terranno poi una veglia a lume di candela per ricordare le vittime del massacro. 

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Info Laura Casale

Laureata in Comunicazione professionale e multimediale all'Università di Pavia, Laura Casale (34 anni) scrive su giornali locali genovesi dal 2018. Lettrice accanita e appassionata di sport, ama scrivere del contesto ligure e genovese tenendo d'occhio lo scenario europeo e internazionale.

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