medioevo Antonio Musarra
Il Prof. Antonio Musarra (in primo piano) e il Prof. Alessandro Barbero

Antonio Musarra: il punto sul Convegno internazionale ‘L’Impero di Genova’ e sul progetto IANUA

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Tempo di lettura: 4 minuti

Non si spegnerà tanto presto l’eco del Convegno internazionale L’Impero di Genova. Dal Mar Nero all’Atlantico, la grande espansione nel Medioevo, tenutosi il 19 e 20 gennaio nel Salone del Maggior Consiglio al Palazzo Ducale di Genova.

Sarà ricordato come uno spartiacque nella coscienza diffusa della reale potenza di Genova e dello Stato di cui per 700 anni fu capitale, in un periodo travagliato e al contempo fertile come fu il Medioevo. A cominciare dagli stessi Genovesi, che spesso ignorano la storia della loro città e le sue innumerevoli implicazioni internazionali.

Insediamenti e aree di influenza commerciale dei Genovesi tra Mediterraneo occidentale e orientale, nel Mar Nero e nel Mar d’Azov e loro basi logistiche sulle coste atlantiche, dal Medioevo alla prima Età Moderna. Un Impero coloniale-mercantile che si estendeva su tre Continenti

Presto, probabilmente dalla settimana prossima, sul sito Internet della Fondazione Palazzo Ducale saranno postati tutti i video delle 15 relazioni presentate da specialisti del Medioevo provenienti dall’Italia e da vari Paesi esteri.

In tal modo anche gli appassionati di questi temi che non hanno avuto la fortuna di essere tra i 5.000 spettatori diretti o indiretti dell’evento presso il Palazzo Ducale, potranno fare tesoro degli interventi videoregistrati, tutti avvincenti, di questo Convegno internazionale svoltosi, a cura di Marco Ansaldo, ai più alti livelli scientifici e con la partecipazione della History-star Alessandro Barbero. Nell’ambito del progetto IANUA – Genova nel Medioevo. E in collaborazione con Limes, la nota rivista italiana di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, che a sua volta pubblicherà un numero speciale interamente dedicato al Convegno.

Il 2024, anno di Genova Capitale del Medioevo, non poteva iniziare sotto migliori auspici.

Per fare un primo bilancio culturale di questo evento, LiguriaDay ha contattato Antonio Musarra, (nella foto, in primo piano, con il professor Alessandro Barbero), 40 anni, professore associato di Storia Medievale presso l’Università Sapienza di Roma, Fellow di Harvard, esperto, in particolare, di Storia marittima e navale, di Storia delle Crociate e dell’Oriente latino e di Storia francescana; autore di molte pubblicazioni scientifiche e testi divulgativi di successo su vari temi storiografici, molti dei quali correlati alla storia di Genova nel Medioevo (i suoi ultimi libri: 1492 – Diario del primo viaggio (Laterza), L’isola che non c’è – Geografie immaginarie fra Mediterraneo e Atlantico (Il Mulino).

Ed ora al centro delle iniziative del progetto IANUA.

Insieme con il professor Giacomo Montanari (38 anni, affermato storico dell’arte presso l’Università di Genova e noto coordinatore scientifico dei Rolli Days), Antonio Musarra è uno dei due giovani Dioscuri del rilancio culturale e d’immagine e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico di Genova e della Liguria.

Giacomo Montanari e Antonio Musarra

Professor Musarra, il Convegno sull’Impero di Genova nel Medioevo è stato un grande successo, sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista dell’adesione di pubblico, veramente inusitata per un evento del genere. Come si spiega questo fenomeno?

Potrei rispondere in maniera semplice: la presenza di Alessandro Barbero è stata un volano importante. In realtà, penso vi sia altro. Non si è trattato d’una serie di lezioni-spettacolo né di conferenze divulgative ma d’un Convegno in piena regola. Certo, dal tema accattivante. Ma che corrisponde a una realtà importante: tra l’XI e il XV secolo, Genova esprime un grande dinamismo, che porta i suoi abitanti a popolare, in vario modo, le sponde di tutto il Mediterraneo, e oltre. Le tracce di tale dinamismo sono presenti nei nostri archivi. Si tratta d’un tema “classico” della medievistica genovese, che possiamo rileggere, oggi, con nuove domande.

La Torre di Galata, città medievale genovese presso Istanbul (1348)

Quale sintesi si può trarre dal Convegno e dalla relazione finale tracciata dal professor Barbero (vera star mediatica in materia di Storia del Medioevo, che, tuttavia, nella sua autorevole esposizione ha segnalato più volte la sua relativa conoscenza della storia genovese)?

Alessandro Barbero ha portato lustro all’incontro. Sapevamo, naturalmente, della sua scarsa frequentazione con la materia: del resto, non si può essere tuttologi! Con ciò, abbiamo voluto coinvolgerlo per più d’un motivo. Al di là della sua capacità comunicativa, ineguagliabile, si tratta d’un maestro di metodo storico. È, questo, un punto importante. A ciò si aggiunge l’opportunità di cogliere un punto di vista diverso; per così dire, “esterno” rispetto a chi, quotidianamente, si occupa dell’argomento. Se ciò non garantisce l’imparzialità, favorisce, tuttavia, la sintesi; e, difatti, penso ch’egli sia riuscito a cogliere, nelle conclusioni, la vera natura di quello che possiamo definire “impero” – e, “impero coloniale” – soltanto a certe condizioni. In particolare, Barbero ha sottolineato la diversità di situazioni: insediamenti di natura diversa, capaci d’adattarsi alle molteplici situazioni politiche, economiche e culturali secondo una grande duttilità.

In che senso si può parlare di Impero genovese nel Medioevo? Quali furono, in sintesi, le tappe essenziali della sua espansione?

Inizialmente, ero scettico sull’utilizzo della parola “impero. Come ho sottolineato nell’introdurre i lavori, venerdì pomeriggio, non siamo di fronte a una compagine territoriale magari discontinua ma unitariamente governata, bensì a situazioni molto diverse tra loro. Ho suggerito di utilizzare il termine in senso commerciale e finanziario o, se si vuole, culturale, vista l’esportazione di usi e costumi. La maggior parte dei relatori, tuttavia, ha sottolineato la volontà genovese d’impiantarsi stabilmente “fuori patria”, guadagnandosi ambiti di extraterritorialità. Non a caso, ha spesso fatto uso del termine “colonia”, con cui tradizionalmente si sono indicati gl’insediamenti genovesi. Resto convinto – ma questo rientra nel normale dibattito (e vivaddio!) – che tale termine sia eccessivamente legato all’esperienza otto-novecentesca e che non rappresenti a pieno la varietà di situazioni venutesi a configurare nel tempo. Il rischio è quello di fare di tutta l’erba un fascio. Ecco, noi storici ci attacchiamo, spesso, a idee di questo genere: Barbero ha detto la sua, e ne sono contento.

Mi chiedo, tuttavia, se non sia maggiormente d’uopo parlare d’un “impero” dei Genovesi. È difficile sintetizzare le tappe di questa costruzione. Senz’altro, Genova guarda innanzitutto al Tirreno ma già anteriormente alla prima crociata è presente nei mercati di Alessandria d’Egitto. La partecipazione alla conquista del litorale siro-palestinese costituisce una spinta importante per allargare tale raggio al Vicino Oriente, prima, a Costantinopoli, poi. Non è un caso se lungo tale direttrice si sviluppi la concorrenza veneziana. Al contempo, però, si guarda a Occidente, impiantandosi nella penisola iberica e lungo le coste dell’Atlantico. Una vicenda di lungo periodo, insomma, che gli studiosi e le studiose presenti hanno ricostruito a fondo.

Dalle relazioni presentate al Convegno emerge chiaramente la dimensione internazionale della storia di Genova, delle innumerevoli connessioni mercantili, finanziarie, socio-politiche (e non solo: anche culturali) che Genova intrattenne nei secoli del Medioevo (e ben oltre) per diversas mundi partes: una sorta di cifra, di caratteristica distintiva della storia genovese. Appare chiaro come non si possa spiegare la città solo o prevalentemente con le sue dinamiche interne, municipali, o con le sue relazioni con realtà statuali circonvicine, come d’ordinario si fa nei libri di storia scolastici per molti altri centri. La storia di Genova è una storia complessa?

Senz’altro. Complessa e, per questo, affascinante. Ma con una specifica. Come ho scritto e detto più volte, storia di Genova e storia dei Genovesi si compenetrano in maniera inestricabile. Oggi, non è più possibile scindere tali aspetti. Io stesso ho dedicato alla vicenda interna buona parte dei miei studi. Tra non molto pubblicherò un volume dedicato al primo capitano del popolo genovese, Guglielmo Boccanegra, cui dobbiamo il nucleo medievale di Palazzo San Giorgio: il “palatium maris“. Si tratta d’una ricerca iniziata nel 2017, la quale mostra bene come non sia possibile comprendere un “fatto” come l’accostamento a Michele VIII Paleologo, nel 1261, con la firma del celebre trattato di Ninfeo (peraltro, oggi esposto in Archivio di Stato), senza tenere conto della complessità dello spazio politico cittadino. In realtà, quella genovese è, innanzitutto, una storia d’integrazione. Per comprendere a pieno esiti storici noti come la stessa espansione marittima è necessario tenere conto dell’esistenza d’un dialogo costante tra costa ed entroterra, tra commercio marittimo ed economia urbana e agraria, tra cultura materiale e afflato religioso, tra dinamica sociale e mutamento istituzionale, tra dialettica politica e proiezione mediterranea: insomma, tra le molte componenti d’una società estremamente articolata, certamente non circoscrivibile alla sola forma di governo di volta in volta adottata.

Per affrontare la storia di Genova è necessaria, dunque, anche una visione internazionale. Di questa impostazione storiografica, ben presente in sommi autori come Roberto Sabatino Lopez, Fernand Braudel, Michel Balard, Giuseppe Felloni e Geo Pistarino, è stata data una plastica dimostrazione: la presenza al Convegno di molti studiosi provenienti dall’estero. Come lo stesso Decano degli storici medievisti, il professore emerito della Sorbona Michel Balard, oltre agli studiosi della storia di Genova provenuti da Turchia, Russia, Spagna. Ciò indica un interesse forse più vivo da parte della storiografia straniera che da parte di quella italiana nei confronti della storia di Genova? Non le pare un paradosso?

In realtà, si tratta d’un interesse che vi è sempre stato, che si compenetra assai bene con quanto la storiografia genovese ha portato avanti in questi anni. Penso, ad esempio, alle ricerche di archeologia ligure di Fabrizio Benente, agli studi di Paola Guglielmotti e Denise Bezzina su donne e patrimoni, al lavoro sui podestà genovesi del Duecento di Giovanna Orlandi, all’affondo sulle podesterie suburbane di Valentina Ruzzin, al volume sulle torri cittadine in procinto d’essere pubblicato da Aurora Cagnana e da Maddalena Giordano. Potrei citare molti altri autori e molte altre autrici (basti dare un’occhiata ai partecipanti al volume edito da Brill, nel 2018, A Companion to Medieval Genoa). Per non parlare delle ricerche di storia dell’arte medievale: Clario Di Fabio e Gianluca Ameri hanno rivoluzionato il nostro modo di guardare alla città. A Genova si studia, e si studia molto. Ciò di cui abbiamo bisogno è fare squadra. Negli ultimi trent’anni, non sempre ciò è stato possibile. La presenza di poli culturali molteplici, se, da un lato, è stata una ricchezza, ha, sovente, costituito un ostacolo, creando rivalità. Mi pare – lo dico da estrinseco: è dal 2009 che peregrino, ormai, per l’Italia – che tali dinamiche siano destinate a sopirsi. Altrimenti, un progetto come IANUA non sarebbe stato possibile.

Genova-Ianua nel Medioevo

Oggi nell’immaginario collettivo la storia di Genova è sottorappresentata rispetto a quella di altre grandi città che ebbero un ruolo importante nel Medioevo: penso soprattutto a Venezia. Come si spiega questa obsolescenza o oscurità della storia genovese? Sono forse gli stessi Genovesi i primi a dare poco risalto esterno alla loro storia e alle loro tradizioni?

Ben detto! Debbo ancora capire cosa vi sia interessante a Venezia! Sto scherzando, naturalmente. Con gli amici veneziani ho un ottimo rapporto. Io credo che sulla questione siano pesati diversi fattori. La storia genovese è oggettivamente difficile: non si può ridurre a qualche personalità importante (come Colombo, ad esempio… sempre che non sia savonese!). È una storia a “n” dimensioni, ha detto Gabriella Airaldi. Tale complessità emergeva chiaramente sui banchi universitari. Ricordo l’approccio “territoriale” di Paola Guglielmotti, con cui diedi il mio primo esame (Istituzioni medievali); quello “istituzionale” di Giovanna Petti Balbi, quello “mediterraneo” di Sandra Origone, quello “ecclesiastico” di Valeria Polonio, quello “microstorico” di Romeo Pavoni (cui ero molto affezionato), quello “socio-economico” di Francesco Surdich, quello “culturale” e “crociato” di Marina Montesano, con cui mi sono laureato e cui mi lega un’amicizia durevole. Ovviamente, sto semplificando. Tali dimensioni, a ogni modo, erano evidenti dal modo in cui queste studiose e questi studiosi impostavano i loro corsi. Quel che è mancato è la ricerca d’una visibilità che andasse oltre i circuiti accademici. È qualcosa di perfettamente legittimo, sia chiaro. Che oggi viene a nostro vantaggio. Perché rispetto ad altre città, trasformate in un parco giochi – oltre a Firenze, Roma e Venezia, ad esempio – noi si ha la possibilità d’impostare le cose diversamente. Genova possiede un enorme potenziale. Culturale, intendo; non necessariamente turistico. Un potenziale che va dosato ma che non va riservato ai cosiddetti “alto-spendenti”, parola che odio (benché comprenda la logica); che va condiviso con ogni strato sociale in maniera intelligente, facendo della città un laboratorio volto a rendere il patrimonio vivo e fruibile.

Michel Balard, Professore Emerito della Sorbona

I Genovesi antichi furono degli spietati mercanti-guerrieri assetati di dominio o che altro? Si può individuare un carattere genovese che spieghi l’espansione dell’influenza della città in epoca medievale a quadranti orientali e occidentali che andavano a ricomprendere l’intero orbe terracqueo allora conosciuto?

Beh, domande difficili! Direi che definire tutti quanti i Genovesi spietati (o “mercanti”, se si vuole…) sia ingeneroso. Certamente, abitavano tempi peculiari, in cui le categorie mentali erano assai diverse dalle nostre. Questo è, forse, l’aspetto più interessante del Medioevo. Chi viveva allora è abbastanza simile a noi da poter essere compreso; al contempo, però, abbastanza diverso da affascinare enormemente. Non credo sia possibile, dunque, enucleare il “carattere” dei Genovesi. Lo stesso detto Ianuensis ergo mercator” è una semplificazione. Senz’altro, un nucleo consistente di persone seppe fare del mare il perno del proprio sostentamento. Questo portò ad ampliare il proprio raggio d’azione in più direzioni. Senza, però, che si palesasse una strategia precisa d’espansione, se non in limitati casi. In questa storia, l’intrapresa, l’iniziativa privata ha avuto un ruolo fondamentale. In fondo, non si trattava che di sopravvivenza o di desiderio di mantenere il livello di benessere raggiunto.

C’è una storia altomedievale di Genova ancora poco conosciuta a livello generale. Eppure, Genova anche nei secoli “bui” che precedettero il Mille ebbe un ruolo di un certo rilievo nella difesa marittima dei territori liguri in epoca bizantina, longobarda e carolingia. Ci saranno iniziative di divulgazione anche su questi temi?

Assolutamente sì! Di questo si parlerà molto durante l’anno. A partire dalla conferenza che Fabrizio Benente, Aurora Cagnana e Giada Molinari terranno a Palazzo Ducale il 7 febbraio alle ore 16 nel Salone del Maggior Consiglio, dal titolo significativo: Dalla città romana alla città turrita. Non anticipo nulla ma si tratterà d’un momento importante per fare il punto sulla questione. Non dimentichiamolo: Genova è una città romana; ha una storia preromana. È anche, però, una città “bizantina” (per quanto si tenda, oggi, a non usare questo termine), longobarda, carolingia – un comes Ademaro è citato al principio dell’800 –, inserita nel Regno d’Italia, e così via. Come bene dice Caffaro, una delle glorie cittadine, di fronte al Barbarossa, nel 1158, da sempre la sua funzione è stata quella di controllare i mari: da Roma a Barcellona. Quanto di vero vi sia in questa affermazione lo scopriremo nel corso dell’anno.

Quali sono gli altri eventi culturali previsti in questo anno 2024 dedicato a Genova Capitale del Medioevo nell’ambito del progetto IANUA?

Non posso svelare molto, ahimè… Rovinerei l’effetto sorpresa! Perché le sorprese sono tante davvero! Quel che posso dire è che avremo eventi tutte le settimane, con alcuni momenti importanti come l’apertura al pubblico del monumento del cardinale Luca Fieschi, presso il Museo Diocesano, o l’esposizione della cosiddetta Bibbia Atlantica, presso la Biblioteca Berio. Lavoriamo a questo progetto, ormai, da 12 mesi. Al contempo, un team di ricercatori è al lavoro per “mappare” tutto ciò che di “medievale” è rimasto in città. Stiamo vagliando bibliografie, fonti, cataloghi per assicurare quella necessaria scientificità che alberga dietro ogni evento culturale degno di questo nome, con l’obiettivo d’arrivare pronti al mese di ottobre, quando buona parte di questo patrimonio sarà svelato. Oddio, non che non lo sia già. Chiunque può entrare nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano (quando la si trova aperta) o in Santo Stefano o, ancora, in cattedrale. Ma chi può dire di essere aggiornatissimo sugli studi al riguardo? Il lavoro grosso è proprio questo: districarsi tra centinaia di migliaia di pagine per offrire al visitatore informazioni certificate. Insomma, facciamo quello che ci viene meglio: studiare e insegnare.

Dopo l’encomiabile valorizzazione, che dura ormai da oltre quindici anni, del patrimonio storico-artistico del Secolo d’Oro genovese (XVI-XVII secolo) grazie alla periodica esplorazione guidata dei Palazzi dei Rolli e delle meravigliose chiese e ville patrizie di Genova e delle suoi Municipi, il 2024 vedrà nascere, con lo stesso, rodato ed efficace modello divulgativo di alto livello scientifico dei Rolli Days, o con uno analogo e parimenti valido, un nuovo filone di fruizione del ricco tessuto urbano medioevale di Genova?

Arriveremo presto ai Caruggi Days?

Marco Bonetti

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Info Marco Bonetti

Marco Bonetti
Nato a Genova (1961), funzionario e avvocato presso una grande azienda pubblica genovese da troppi decenni, ha sempre parallelamente coltivato la cultura umanistica in varie declinazioni. È redattore, per diletto, dal 1994 del Gazzettino Sampierdarenese, sul quale pubblica mensilmente articoli culturali divulgativi, specie su temi storici e linguistici, soprattutto relativi a Genova e alle altre aree di influenza ligure nel mondo, ma anche su questioni di politica sociale (specialmente in campo sanitario) e di vario genere cronachistico. Appassionato di Enigmistica Classica, collabora come autore alle Riviste specializzate del settore (per abbonati). Dal 2020 collabora con l’Unione Giornalisti e Comunicatori Europei (UJCE), di cui è membro dal 2021, anche come consulente storico e divulgatore. Nel 2021 la sua trattazione "Genovese e monegasco: due tradizioni a confronto" è stata pubblicata negli Atti del XVI Colloquio Internazionale dell'Accademia delle Lingue Dialettali del Principato di Monaco (tenutosi nel 2019). Il 21 settembre 2022 (Giornata mondiale della Pace) l'UJCE gli ha conferito il Premio giornalistico Steli di Pace per la sua attività nel campo della stampa locale.

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