Eduard Limonov scuote il Grande Ospizio

Il bolscevico punk Eduard Limonov scuote il nostro “Grande ospizio occidentale”

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Grande ospizio occidentale

Può esserci qualcosa di peggio della violenza di Stato che nel XX secolo ha mietuto milioni e milioni di vittime?

La risposta di Eduard Limonov è affermativa. Più liberticida del cappio totalitario è l’oppressione soft esercitata dai regimi liberisti odierni. Questi non trattano i propri sottoposti come sudditi o schiavi, ma come pazienti bisognosi di cure, educabili e rieducabili a piacimento. Più che caserme sono ospedali, dove regna una mortale tranquillità, basata sulla sistematica repressione di ogni dissenso. Un gigantesco esperimento di ingegneria sociale, attuato su scala planetaria con il consenso dei “malati” – che, si sa, vanno anzitutto difesi da loro stessi. Obitori dello spirito, buonisti e revisionisti, questo libro traccia la loro geografia, senza concedere sconti a nessuno. Un’analisi spietata del migliore degli inferni possibili – quello in cui viviamo.

Nel seguente estratto da Il libro dell’acqua, edito in Italia nel 2004 dalla splendida casa editrice Alet – de­funta per troppa qualità, com’è facile in Italia –, c’è qua­si tutto di Eduard Limonov.

I francesi, i tedeschi, gli americani da tempo non hanno più nessuna energia. Ho avuto molte occasioni per convincermene. Non sentono più la vita. Il futuro appartiene ai talebani, ai tur­chi, basta guardare come se le danno, ai curdi, a tutta questa folla selvaggia di individui sospetti che gli europei disdegnano e non capiscono. L’Europa è già morta, stanca e profondamente cambiata, perciò tutte quelle splendide fichette di rue du Petit Musc è inutile che sbattano le ci­glia. Ci vorrebbe un ceceno che gli s’infili nelle mutande per insegnar loro a rigar dritto. […] I miei noiosi colleghi letterati, anche i migliori tra loro, non hanno capito e si ostinano a non capire quanto l’essermi lanciato nella guerra e nella politica abbia ampliato le mie possibilità. Il nuovo senso estetico era quello che nasceva sfrecciando per una città bruciata sopra la co­razza di un carro armato circondato da giovani belve con fucili d’assalto.

Eduard Limonov

C’è il giudizio sull’Occidente, da lui conosciuto sin dal suo barboneggiare per la New York degli anni Settanta ricalcando le orme di tanti emigré – con i Velvet Underground sullo sfondo al posto dei Balalaika Russe –, fino al suo errare da Parigi a tutte le capitali europee dagli anni Ottanta all’inizio del terzo millennio. C’è il suo orgoglio di essere sempre stato anche un uomo d’a­zione, dalla politica di strada e gli scontri di piazza nella Russia postsovietica, al suo comparire nei Balcani e nel Caucaso delle guerre negli anni Novanta, tanto ipocrita­mente sottovalutate o colpevolmente ignorate a Ovest. C’è poi il Limonov politico, l’enfant terrible, il Limonov scrittore, quasi sempre autobiografico o parabiografico. Tra le righe c’è il Limonov punk – troppo punk per un serioso Dugin, con cui infatti ruppe, e messo al bando oggi sia in Russia sia in Ucraina –, amico di Egor Letov, cofondatore del Partito Nazional-Bolscevico e anima del gruppo punk-folk Graždanskaja Oborona (Difesa civi­le), e della cantautrice e poetessa Janka Djagileva, am­bedue morti prima dei quarant’anni – anno più, anno meno –, come logico dev’essere per artisti davvero al di fuori o contro.

Nel seguente estratto da Il libro dell’acqua, edito in Italia nel 2004 dalla splendida casa editrice Alet – de­funta per troppa qualità, com’è facile in Italia –, c’è qua­si tutto di Eduard Limonov.

Grande ospizio occidentale

Eduard Limonov

2023, pp. 240A cura di: Andrea Lombardi
Traduzione di: Andrea Scarabelli
Prefazione di: Alain de Benoist

Nel libro che avete in mano c’è forse il miglior Limonov metapolitico, profetico e anche divertito, ed è per questo che abbiamo tanto desiderato farlo uscire in italiano – tradotto dall’edizione francese di Bartillat del 2016 – con la stessa urgente passione che proviamo per due altri grandi irregolari: Louis-Ferdinand Céline e Dominique Venner.

Limonov è profetico quando identifica con pre­cisione, negli anni ormai lontani a cavallo del crollo dell’URSS, il controllo sull’uomo del Potere, statale o esercitato da organizzazioni sovranazionali o private. Un controllo che passa dalla violenza brutale dello «stivale che calpesta un volto per sempre» di 1984 di Orwell – testo per Limonov non profetico, ma banalmente de­scrittivo dei metodi dei totalitarismi staliniani e fascisti, a parte la neolingua, prefiguratrice del “politicamente corretto” – alla violenza soft del controllo psicologico, dei sistemi di sorveglianza avanzati, della digitalizzazio­ne liberticida dell’esistenza, del sostituire l’emozione e le pulsioni vitali dell’uomo con i succedanei dell’intrat­tenimento di massa. Potenzialità letali che sappiamo es­sere ben intuite dall’Huxley di Brave New World, assie­me agli abissi della ricerca genetica senza limiti.
La metafora delle società “occidentali” – e sottoli­neiamo come per Limonov, da un certo punto di vista, fossero ormai “occidentalizzate” anche Russia e Cina, e scriveva nel 1988-’89! –, simili a strutture ospedaliere o ospizi, con i cittadini ridotti a pazienti passivamente confinati nelle loro corsie d’ospedale, accuditi da soler­ti infermieri e orgoglio dell’amministrazione, risuonerà attuale a chiunque dopo due anni di restrizioni pande­miche. Tuttavia, sarebbe superficiale limitarsi a questa interpretazione, per il semplicissimo motivo che una nu­trita letteratura su questo tema non ha cessato, in questi ultimi decenni, di far scattare continui cicalini di allar­me sulla strisciante violenza soft degli Stati e delle mega­corporazioni e il suo sempre più totalizzante dominio sull’uomo. Da schiere di testi scientifici sul controllo sociale e sulla cultura della sorveglianza ai romanzi di William S. Burroughs e J. G. Ballard, dall’intero genere cyberpunk agli scritti di Theodore Kaczynski e di liberta­ri nordamericani come Claire Wolfe, sino alle città fan­tasma di Paul Virilio e Mike Davis.
Eppure, al momento non diciamo della verità, ma in un periodo di misure e restrizioni viste da molti – non intendiamo dai complottisti rettiliani, ma da persone di buon senso – come più autoritarie che sanitarie, la quasi totalità delle persone “avvertite” che ben conoscevano questi autori hanno dimostrato con il loro precipitare nello sgomento esterrefatto prima, e tutto sommato nell’accettazione poi, di aver letto quei libri come astrat­te opere di riferimento o pura letteratura d’evasione o erudizione, scegliendo più o meno inconsciamente, più o meno deliberatamente, di ignorare che sì, questi scrit­tori parlavano di noi, di noi nel nostro reale, presente e futuro.

Vedremo se queste pagine d, i Limonov avranno mag­gior fortuna.

Ovviamente, no.

COMUNICATO STAMPA

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