Attraversato Ponte Garibaldi, prima di imboccare Viale Trastevere, sulla sinistra si apre Piazza Belli. Non è una piazza molto grande, anzi, se non fosse per il monumento che ospita, forse passerebbe quasi inosservata.
È, tuttavia, una delle piazze principali di Trastevere perché vi accoglie nel rione, è il classico posto per darsi gli appuntamenti, e si trova in un punto sempre abbastanza trafficato, con fermate di autobus e tram che fanno la spola tra la stazione, in fondo al viale, e il centro, al di là del fiume.
La piazza è dedicata al poeta romano Giuseppe Gioachino Belli che, per la verità, all’anagrafe era “Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli”. Per brevità, conviene chiamarlo come l’abbiamo da sempre conosciuto.
Giuseppe Gioachino Belli nacque a Roma nel 1791 e, insieme a Trilussa, ha rappresentato l’anima della romanità. I suoi sonetti romaneschi, con ironia anche un po’ amara, descrivono tutti i difetti, la vanità dei potenti della Roma dei Papi e anche i vizi e le bassezze del popolino.
Morì nel 1863 e, per il cinquantenario della sua morte, i romani vollero ricordarlo con un monumento nella sua città. Nel 1910 tre letterati – Domenico Gnoli, Ferdinando Martini e Leone Caetani – istituirono un comitato di cultori e ammiratori del poeta e portarono al sindaco Nathan la proposta, subito accettata.
Per ospitare il monumento fu scelta questa piazza, che all’epoca ancora si chiamava Piazza d’Italia e, per finanziare l’opera, fu promossa una sottoscrizione popolare di cui si fece promotore il quotidiano di Roma, Il Messaggero.
Ci fu una grande partecipazione, vennero raccolte ben 30.000 lire e l’amministrazione capitolina affidò il progetto allo scultore siciliano Michele Tripisciano che, tra l’altro, non volle alcun compenso per il suo lavoro. Il monumento-fontana, realizzato tutto in travertino, fu inaugurato il 4 maggio 1913 e fu da subito molto amato.
Il Belli è rappresentato in una posa quotidiana, con cilindro e bastone, appoggiato alla balaustra di ponte Fabricio.
L’ambientazione si riconosce da una delle erme quadrifronti alla sua sinistra che caratterizzano, in effetti, proprio il Ponte all’isola Tiberina. In basso, il basamento riporta un rilievo che personifica il Tevere, con la Lupa e i due gemelli.
Sul lato posteriore del basamento è rappresentata una scena in cui alcuni personaggi del popolo si trovano attorno alla famosa statua del Pasquino. A destra e a sinistra l’opera è ornata da due fontane simmetriche e gemelle, in cui un mascherone, tra due volute, versa un getto d’acqua a ventaglio. Quello di sinistra, verso il Tevere, rappresenta la poesia; l’altro la satira.
E infine una curiosità: si dice che il bastone, che era in legno, fu più volte rubato. Quello che vediamo oggi è in ferro, dipinto di nero a simulare l’ebano ed è cementato a terra, a prova di furto.
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