Cara Mamma,
l’anno scorso di questi tempi tu eri in ospedale e noi in piena pandemia da un anno. Savona era in zona arancione ed il vaccino era soltanto per i medici.
Domani 13 febbraio è un anno che non ci sei più. Un anno che ho smesso di essere tua figlia, di essere la tua Rosellina.
All’inizio non stavi poi così male. Io e mio fratello Alessandro seguivamo con cauto ottimismo il bollettino giornaliero che il dottore di turno riferiva per telefono.
La polmonite bilaterale c’era, è vero, ma la saturazione non era troppo bassa e, malgrado l’età ed un equilibrio generale delicato ma stabile, sinceramente non siamo caduti subito nello sconforto più profondo.
L’aspetto più doloroso è stato, fin da subito, uno: non poterti essere accanto.
Era già capitato, gli anni passati, che tu fossi ricoverata. E quello che allora ci sembrava assolutamente normale e dovuto – stare vicino a te – sarebbe diventato, causa Covid, assolutamente impensabile.
Ironia della sorte abito in zona Valloria, proprio vicino all’ospedale: i metri di separazione tra me e te non sono poi molti in linea d’aria. Ma il divieto di entrare in ospedale è tassativo.
Mi chiedo per quale motivo non sia possibile, con tutte le precauzioni del caso, permettere una visita ad una madre anziana il cui timore era proprio quello di finire in ospedale.
Ho interpellato medici ed infermieri che mi hanno diligentemente ripetuto la solita tiritera: “Signora, è un rischio davvero troppo alto, è vietato entrare nei reparti Covid”.
Ho scritto anche ai Ferragnez affinché aiutassero ospedali ed infermieri a trovare una soluzione, perlomeno per consentire delle videochiamate giornaliere. Ho contattato un politico locale per illustrargli la situazione e mi ha detto “La chiamo oggi pomeriggio”.
Dopo 365 giorni Chiara Ferragni ha raggiunto i ventisei milioni di followers, ma il mio cellulare non ha ancora squillato. Il politico nel mentre si è fatto la sua bella campagna elettorale, paladino dei diritti civili, sempre allegro e sorridente, ma io non l’ho mai sentito.
E pensare che da febbraio 2020 eravamo stati tutti attenti e diligenti: chiusi in casa da marzo, ti ho rivista a maggio, Mamma.
Mascherina FFp2, nessun abbraccio ed un saluto un po’ surreale, ma perlomeno ero lì con te. Da maggio 2020 in poi c’è stato il primo allentamento, ma la cautela nei tuoi confronti non è mai venuta meno.
Il tuo compleanno il 12 giugno è stato necessariamente sottotono, però che gioia! Tu, Marco ed io a pranzare insieme, sempre distanti, sempre in sicurezza. A luglio, poi, è finalmente arrivato Alessandro, dopo otto mesi di lontananza. Cena sul terrazzo, tutti insieme. Nessuno di noi poteva o voleva pensare fosse l’ultima.
Ecco, a buttarla giù così è un po’ dura, ma diversamente non si capisce. E invece io vorrei tanto che su dieci persone almeno una comprendesse che cosa ho vissuto io e, come me, milioni di altre persone.
Perché è facile scendere in piazza, gridare al complotto, denunciare una dittatura sanitaria, fare l’aperitivo autogestito quando ti è andato tutto bene.
Invece mio fratello ti ha salutata quella sera di luglio per poi rivederti sette mesi dopo dentro una bara davanti alla chiesa. Io ti ho salutata sulla porta di casa il 14 gennaio: l’ennesimo mancato abbraccio, prima per proteggerti, poi perché malata di Covid.
La badante, paladina delle cure omeopatiche e della vitamina C, probabilmente laureata in medicina su Facebook come tanti in questi due anni, invece si è contagiata e ti ha attaccato il Covid. E non contenta del suo danno irreparabile, si è pure rifiutata di farti le iniezioni di eparina prescritte dal medico. Tre giorni a casa, poi siamo stati costretti a ricoverarti.
La rabbia che ancora oggi mi assale non mi dà tregua. Bisogna porgere l’altra guancia, si dice, ma io non ce la faccio. E non ce la faccio perché l’ultimo ricordo di te “viva” è dell’11 febbraio quando, ripiombata per l’ennesima volta in ospedale, ho supplicato di poterti vedere almeno un’ultima volta.
No, la risposta era sempre no.
Ho chiesto allora di far spostare il tuo letto in corridoio per poterti vedere attraverso il vetro.
No, la risposta era sempre no.
Ho pianto come una bambina, ho pianto come se mi stessero strappando il cuore a mani nude senza anestesia. Ho riprovato. Ho chiesto almeno una videochiamata.
Il dottore mi ha detto che non aveva senso perché tu, cara Mamma, eri ormai sedata e in attesa che il tuo cuore cessasse di battere.
Ho detto al dottore di non preoccuparsi, che il senso ce l’avrei messo io, perché avevo assolutamente bisogno di posare l’ultima volta il mio sguardo su di te, Mamma. Avevo assolutamente bisogno di salutarti. Perché bisogna chiudere i cerchi, sempre. Allora l’infermiera ha organizzato la videochiamata.
C’eri tu, la mia Mamma, sdraiata nel letto con una mascherina dell’ossigeno. Immobile, ma perfettamente pettinata. In silenzio, dormivi apparentemente serena. Ti ho salutata, ti ho chiesto di darmi la forza per andare avanti con questo macigno di dolore sulle spalle. Ti ho chiesto di darmi la pazienza per sopportare quanto stava accadendo. Ho anche scattato una foto durante la videochiamata, l’ultima foto con te, con la mia Mamma.
Io non so che cosa succeda in quei momenti, con la morfina in corpo che ti accompagna al tuo ultimo battito di cuore.
So che cosa è successo a me, però.
E voi fatelo un piccolo esercizio di meditazione. Chiudete gli occhi e pensate alla vostra mamma, o papà o chi volete voi.
Pensate che dall’oggi al domani non la rivedrete mai più, pensate che dopo l’ultimo respiro il suo corpo sarà preso e chiuso in un sacco, senza abiti addosso, e poi in una bara di zinco prima che in una di legno.
E poi pensate che non ci sarà nessun obitorio per l’ultimo saluto, ma solo un funerale per pochissime persone.
Ecco, io non so che cosa succeda quando ti addormenti con la morfina in corpo e smetti di vivere. Però so che cosa è successo a me da quel 13 febbraio dell’anno scorso.
E’ successo che tu, Mamma, mi hai presa per mano e mi hai strattonata di brutto.
Mi hai svegliata e mi hai ordinato di andare avanti, di sbrigarmi perché gli anni volano e alla fine, chi prima chi dopo, moriremo tutti.
Oggi esercito la pazienza ogni qualvolta leggo commenti e pensieri assurdi su questa pandemia.
Non ho la verità in tasca, ci mancherebbe. Però è ragionevole pensare che se mia madre fosse stata vaccinata (mancava appena un mese, mannaggia) probabilmente sarebbe ancora viva.
Perdóno tutti i dotti saggi che impartiscono lezioni dal web, adesso con una seconda laurea in giurisprudenza per farci capire, a noi pecorone, che siamo in una vera e propria illegale dittatura.
Cara Mamma, non riesco ancora a fare pace con quanto è successo, ma ti prometto che ce la metterò tutta.
Pratico la leggerezza per andare avanti, per metabolizzare il dolore. Organizzo viaggi, interviste, eventi, incontri.
Come dice Alessandro la morte si combatte solo con la vita. E allora io vivo, con te sempre accanto.
Ti dedico i versi della canzone di Irama “Ovunque sarai”. E mi raccomando Mamma, butta un occhio quaggiù che ne abbiamo tutti tanto bisogno!
Se sarai vento, canterai
Se sarai acqua, brillerai
Se sarai ciò che sarò
E se sarai tempo, ti aspetterò
Per sempre Se
Se sarai luce, scalderai
Se sarai luna, ti vedrò
E se sarai qui, non lo saprò
Ma se sei tu, lo sentirò
Ovunque sarai, ovunque sarò
In ogni gesto io ti cercherò
Se non ci sarai, io lo capirò
E nel silenzio io ti ascolterò
Se sarò in terra, mi alzerai
Se farà freddo, brucerai
E lo so che mi puoi sentire
Dove ogni anima ha un colore
E ogni lacrima ha il tuo nome
Se tornerai qui, se mai, lo sai che
Io ti aspetterò
Ovunque sarai, ovunque sarò
In ogni gesto io ti cercherò
Se non ci sarai, io lo capirò
E nel silenzio io ti ascolterò
Io ti ascolterò
Se sarai vento, canterai