Quando dici Beigua subito pensi al Parco, con i suoi sentieri che si immergono nelle faggete o che salgono in quota, dove il mare è solo una distesa blu all’orizzonte.
Ma c’è anche un Geoparco del Beigua sul mare. Un parco che profuma di salsedine, dove le onde si frangono su rocce imponenti.
Rocce che per la loro importanza, insieme ad altri geositi dell’entroterra, hanno contribuito all’inserimento del Parco del Beigua nei Geoparchi riconosciuti dall’UNESCO.
Sembra un giorno di primavera a Varazze, con batuffoli di nubi bianche a interrompere la monotonia dell’azzurro terso e con un sole caldo che fa dubitare che Natale sia dietro l’angolo. La quiete autunnale del borgo è rotta solo dal rombo dei cavalloni che si infrangono a riva. Il mare brulica di surfisti, in paziente attesa dell’onda perfetta, quella da domare sfrecciando sulla cresta spumosa.

Basta però allontanarsi dallo spot del surf per conquistare angoli di spiaggia deserta, con le onde rapide a cancellare dalla battigia le orme di intrepidi bagnanti che tentano un bagno.
Lasciata l’Aurelia, seguo il Sentiero Liguria, che in questa tappa coincide con lungomare Europa.

Quello che fino al 1968 era un tratto di ferrovia a picco sul mare, ora è una passeggiata che unisce Varazze ad Arenzano, 12 km pianeggianti da percorrere a piedi o in bicicletta (o su un romantico risciò) in tutte le stagioni.
Perché in ogni momento dell’anno, anzi del giorno, offre un punto di vista diverso, una combinazione di colori, profumi e sensazioni sempre nuovi, dall’alba al tramonto.

Per me questo è uno dei momenti migliori. La stagione balneare è giunta al termine e il litorale ritrova il ritmo pigro dell’autunno che resiste alle insidie dell’inverno, tra fichi d’india, agavi, tamerici e tardive buganvillee in fiore.
Non so quante sfumature di azzurro esistano, ma sono tutte qui, tra cielo e mare e non c’è filtro in grado di competere.
Prima ancora della ferrovia, 250 milioni di anni fa, qui si estendeva un fondale oceanico, costituito da ofioliti, che la geologia classifica con precisione scientifica in diverse forme litologiche, ma che qui chiamano semplicemente gianchi e neigri.

E sono proprio i bianchi metagabbri che incontriamo per primi, a protezione di isolate calette. Superata la Baia del Corvo le rocce cambiano aspetto: qui domina il colore scuro delle serpentiniti, la caratteristica roccia verde che troviamo anche sul Monte Beigua.

I brevi tratti all’interno delle vecchie gallerie del treno, che nella stagione estiva offrono riparo dai bollenti raggi del sole, esaltano ancor di più i colori brillanti del mare che buca di azzurro l’oscurità del tunnel.
Proseguendo verso Cogoleto si può osservare un esempio di terrazzo marino, tracce dell’antico livello del mare, sul quale si sono depositati strati successivi a formare il promontorio odierno. Tutti particolari che un geologo coglie a colpo d’occhio, ma che per tutti sono ben spiegati dai pannelli illustrativi del Beigua Geopark che si incontrano lungo l’itinerario.

Superato il torrente Arrestra, la passeggiata segue l’Aurelia attraversando Cogoleto, per poi riprendere l’ex tracciato ferroviario, in un’alternanza di tratti in galleria e a bordo mare fino a raggiungere il porticciolo di Arenzano.

Lascio la costa per raggiungere la stazione ferroviaria, attraversando l’elegante Parco di Villa Negrotto Cambiaso, sotto lo sguardo altero di un pavone maschio che trascina impettito la sua coda e inseguita da un’oca un po’ troppo socievole. Il giardino della Villa ospita diverse essenze arboree e qualche rarità botanica e meriterebbe senz’altro una visita più accurata, ma il tempo stringe… e l’oca mi insegue. Sarà per una prossima volta!
