Nel contesto dei Giovedì Letterari organizzati da So.Crem al Centro Studi Edoardo Vitale, la professoressa Linda Alfano dell’Università di Genova introduce la presentazione del volume Genova Città Visibile. Un’opera che unisce la narrazione di Guido Conforti alle immagini potenti di Giorgio Bergami, per raccontare la città attraverso uno sguardo profondo e appassionato. Un omaggio al valore di due protagonisti che hanno amato e raccontato Genova con il loro lavoro. Queste le parole di Linda Alfano:
“Siamo molto onorati di questo incontro nei Giovedì Letterari che So.Crem organizza un giovedì al mese. Abbiamo un Autore di prestigio che ci racconta la storia della nostra città e ha corredato il suo libro con le fotografie di un grande fotografo genovese scomparso, di cui vogliamo fare memoria; siamo lieti perché qui c’è a testimoniare il suo lavoro, la sua vita, c’è la moglie, Maria Deidda, che lo ha seguito passo passo in questa sua grande passione. Sono due persone che hanno vissuto la vita con desiderio, con passione, che hanno amato il loro lavoro e il desiderio è contagioso quindi sono certa che il pubblico apprezzerà il loro intervento.”
Guido Conforti, direttore di Confindustria Genova e Confindustria Liguria, ci racconta la genesi del suo libro Genova Città Visibile. Ispirato dal celebre Istanbul di Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006, il volume vuole rendere omaggio alla città anche attraverso le straordinarie fotografie di Giorgio Bergami. Un dialogo che intreccia parole e immagini per restituire l’identità di Genova e il suo carattere unico.
Domanda: “Liguria Day oggi è alla presentazione di questo libro di Guido Conforti, Genova città visibile, e idealmente insieme a lui il grande fotografo Giorgio Bergami che è l’anima di questo libro. Perché ha voluto ricordare Genova in questo modo, in questo volume?”
Guido Conforti: ”Perché esiste un libro, penso conosciuto da tanti lettori, magari non da tutti, ma che a me ha molto colpito: è di Omar Pamuk, premio Nobel della letteratura, turco, che ha scritto un libro che si chiama Istanbul, che è stato anche abbastanza decisivo per diventare premio Nobel. Istanbul è stato scritto per dire che le persone che vivono nelle città sono quelle che sono, per il loro codice genetico, per quello che fanno, per quello che vogliono, per il tempo che vivono, ma anche perché vivono in una città che è fatta in un certo modo. Quindi quello che è il protagonista di Istanbul è Istanbul. Ed io, per quanto mi riguarda, avendo capito e sposato questo modo di intendere Genova, che è la città dove ho sempre vissuto, ho scritto un libro che racconta Genova, poi il sottotitolo Città Visibile, che, come il libro Istanbul, è un libro che si accompagna a molte fotografie di fotografi turchi. A differenza di quello, io ero amico e conoscevo bene Giorgio Bergami, a mio giudizio, il miglior fotografo che Genova abbia avuto e quindi, invece che coinvolgere diversi altri fotografi, per mille motivi, abbiamo deciso di fare un libro dove le fotografie ci sono e sono tutte di Giorgio Bergami.“
Nel cuore della presentazione del libro Genova, una città vivibile, ci immergiamo nel racconto di Maria Deidda, moglie del grande fotografo Giorgio Bergami. Attraverso le sue parole scopriamo l’anima di un uomo che ha fatto della fotografia uno strumento di narrazione autentica, documentando con sensibilità e semplicità storie quotidiane e grandi inchieste. Un viaggio tra immagini e memoria, tra reportage e passione per la realtà.
Domanda: “Accanto a me Maria Deidda che ha passato tanti anni insieme a questo grande fotografo, una vita insieme; Maria, ci racconta un momento di questa sua vita tra moglie e fotoreporter, tra moglie e fotografo che a tutte le ore partiva con la macchina fotografica per andare a fare qualcosa?“
Maria Deidda: “A lui piaceva fotografare, gli piaceva proprio perché per lui era un modo per costruire delle storie, storie che erano le storie piccole delle persone di strada, delle persone qualunque, della vita quotidiana, storie di un matrimonio, i matrimoni suoi erano dei film, erano dei racconti e storie grandi perché ha fatto delle inchieste estremamente importanti negli anni ’60, un’inchiesta sugli istituti di rieducazione per minori in giro per l’Italia e negli anni ’70 un’inchiesta sui manicomi genovesi mettendo a nudo ad esempio una piccola cosa che spesso non si sapeva: che nei manicomi finivano anche bambini di 4-5 anni perché giudicati magari incurabili e non recuperabili e a Cogoleto, cioè negli anni ’70 c’era ancora un reparto per bambini ma Giorgio era un fotografo, a me vien da dire, onesto, non retorico che amava registrare la realtà senza alterarla e senza andare cercare a tutti i costi la foto simbolo che odiava in qualche modo. Ma poi la foto simbolo c’era, perché poi era bravo obiettivamente e trovava i momenti, i luoghi e le persone, la luce giusta che andava anche a cercare. Ma non era questo che lui cercava, quello che lui cercava era la costruzione di una storia: c’è un suo reportage su Cuba e su Pechino dove in una pagina mette centinaia di foto, adesso sto esagerando, poi di lì c’era sempre la foto importante, quella che colpiva l’attenzione però dentro quella pagina c’era una storia, c’era la storia del mercato, c’era la storia di come si costruivano i grattacieli in Cina, in quattro e quattr’otto tra l’altro, con il materiale che veniva trasportato non solo con i camion ma anche con le biciclette. E la bicicletta era un po’ il simbolo della Cina ancora negli anni ’90 dove i nonni andavano a prendere i nipotini e c’era tutto il posteggio delle centinaia di biciclette davanti agli asili o davanti alle scuole per aspettare i bambini che uscissero fuori. La cosa importante è che lui era capace di vedere le cose immediatamente ma di inserire comunque e di guardare sempre l’uomo dentro un contesto, dentro un ambiente. C’era una foto emblematica del Ponte Morandi, ovviamente fotografato perché lui documentava e quindi fotografava tutto per filo e per segno ma la foto simbolo è di questo ponte che viene costruito sopra i caseggiati dove la gente abitava”.