Ha chiesto aiuto sui social per ritrovare e conoscere la sua madre biologica, che il 23 giugno 2006 l’ha partorita all’ospedale di Sondrio ma l’ha dovuta abbandonare, non si sa perché: la protagonista, è quel batuffolo rosa di allora, che oggi ha 18 anni, si chiama Benedetta, studia all’Università e vive con i suoi splendidi genitori adottivi nelle Marche.
«Spero di riabbracciarti presto», scrive Benedetta, «se vedi questo post, contattami in privato. Non ho nulla da rivendicare, non voglio sapere perché. Voglio solo conoscerti e abbracciarti».
La risposta per ora non è arrivata, malgrado le moltissime condivisioni sui social. I genitori adottivi appoggiano il desiderio di Benedetta, che ha sempre saputo di essere cresciuta con 2 mamme e 2 papà.
Il parto in anonimato, come funziona
La legge italiana (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) consente a una donna di partorire un figlio in anonimato e lasciarlo in totale sicurezza in ospedale, senza esporlo agli eventi atmosferici e senza nessuna conseguenza per lei. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.
Per il piccolo, preso in carico dagli assistenti sociali e dal Tribunale dei Minori di competenza, si apre immediatamente il procedimento di adottabilità, dato che la madre ha rinunciato ai diritti genitoriali, e parte immediatamente la ricerca di una coppia idonea che lo accolga.
In Italia si stima che tra i 300 e i 400 bambini ogni anno non siano riconosciuti dalla madre alla nascita (un dato comunque in calo rispetto alle stime del 2005, in cui si parlava di 3.000 bambini). L’attenzione in particolare è però su quei bambini che vengono abbandonati nei giorni o nelle settimane successiva al parto, spesso non in condizioni di sicurezza perché le madri hanno paura di essere identificate o perché vivono in contesti di degrado in cui non sanno della possibilità del parto anonimo. Casi di cui esistono solo stime, perché non vi è certezza che tutti i bimbi abbondati siano trovati, vivi o morti.
Per cercare di contrastare il fenomeno degli abbandoni per strada, dal 2007 in quasi tutte le Regioni d’Italia sono state ripristinate (con l’eccezione di Calabria, Friuli, Molise, Sardegna e Trentino Alto-Adige) le Culle per la vita: sono 57 in tutto, accanto a ospedali, conventi, chiese e altre strutture, culle termiche mantenute a una temperatura ottimale per un neonato (37 °C) e collegate a sensori che avvisano il personale nell’esatto momento in cui viene inserito il bambino.
Un’evoluzione moderna delle cosiddette “ruote degli esposti
Grazie alle culle, anche una donna che ha ripensato alla propria maternità – o che ha partorito fuori dagli ospedali, ad esempio in casa – può lasciare il proprio bambino in sicurezza, invece che abbandonarlo per strada o, peggio, nei cassonetti, dove la sopravvivenza del piccolo dipende puramente dalla fortuna di essere trovato in tempo e portato in ospedale.
In quel caso inoltre scatta l’abbandono di minore. In Liguria ce ne sono 5 e si trovano a Rapallo, Albenga, Ceriale, mentre 2 sono nel capoluogo. A Genova sono presso il Pronto Soccorso del Gallierae all’Ospedale Villa Scassi di Sampierdarena.
Nel 2022, nella culla di Sampierdarena, una povera mamma ha lasciato la sua bimba con 4 pannolini di ricambio e un bigliettino: “Mi chiamo Anna”. Oggi quella bambina si sta bene, ha due teneri genitori, una testolina piena di riccioli neri, e sta per compiere 3 anni.
La ricerca di Benedetta della madre biologica
Per i figli adottivi che desiderano mettersi in contatto con i genitori biologici, come il caso di Benedetta, spesso l’unica via sono i social network. Poiché il parto in anonimato garantisce che nessun dato della madre sia associato al dossier del figlio, ci sono pochi dati certi da cui partire, come l’ospedale e la data di nascita.
«Adoro la mia famiglia, ho genitori fantastici e non potrò mai ringraziarli abbastanza per quanto fanno per me. Conoscono il mio desiderio di incontrare la donna che mi ha messo al mondo», ha dichiarato la giovane in un’intervista al Corriere della Sera.
Auguriamo a Benedetta di trovare presto sua madre e poter così aggiungere un pezzo importante al puzzle della sua storia.
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