Donald Trump è il 47° Presidente degli Stati Uniti d’America
Donald Trump ha vinto, Kamala Harris ha perso.
Affermazione apparentemente scontata, ma fino all’ultimo è sembrato potesse esserci un pareggio, mentre l’ombra di eventuali brogli elettorali aleggiava sullo spoglio delle schede.
Alla fine, il “macho man” americano ha avuto la meglio, ottenendo questa volta anche il voto popolare.
Kamala Harris ha incassato la sconfitta, malgrado l’endorsement di figure come Taylor Swift, e non è riuscita a convincere né le donne né i giovani a sostenerla in modo sufficiente.
Il Partito Democratico ha probabilmente commesso un errore cruciale pensando Trump un candidato “facile da battere.”
Inoltre, la Harris ha mostrato incertezze su temi rilevanti come immigrazione e dazi e gli elettori hanno preferito l’“originale”, ovvero Trump, che su queste questioni aveva assunto posizioni chiare fin dall’inizio.
I Democratici non sono poi riusciti a intercettare il malcontento delle nuove generazioni e delle donne, che infine hanno scelto l’ex presidente.
Vince Trump, il “macho man”
Trump, sostenuto anche dal “macho man” Elon Musk, ha vinto quasi ovunque, nonostante i guai giudiziari, l’assalto a Capitol Hill e alcune affermazioni discutibili.
Resta quindi da chiedersi perché abbia prevalso, al di là delle analisi prettamente politiche: una domanda che sarebbe comunque stata valida anche con una vittoria di Harris.
Comprendere dove va il consenso è infatti importante per tutti, non solo per chi vince o perde.
Fattori “superficiali” nella scelta elettorale
Spesso, le dinamiche alla base del voto non sono ben conosciute e considerate dagli sfidanti.
La Harris, ad esempio, si è negata alle interviste, mossa che l’ha fatta apparire distaccata, mentre Trump ha sempre risposto a domande e partecipato a dibattiti senza nessun timore.
Alcuni aspetti apparentemente superficiali, come il tono di voce o l’altezza, influenzano le preferenze degli elettori.
È davvero così “superficiale” la nostra decisione di voto?
Sì, spesso è così. Studi dimostrano che il nostro cervello si affida a “scorciatoie” per prendere decisioni personali rilevanti.
Ad esempio, l’altezza è percepita come segnale di forza e competenza, così come una voce profonda. Ecco perché non è sorprendente che molti elettori scelgano candidati dall’apparenza “dominante”.
Casey Klofstad, professore associato di scienze politiche all’Università di Miami, ha studiato come fattori sociali e biologici influenzano i processi umani di decision making.
In collaborazione con la moglie, biologa, ha realizzato uno studio in cui, durante la sessione sperimentale, i soggetti erano invitati ad ascoltare voci, femminili e maschili, modificate, che dicevano “Ti esorto a votare per me a novembre!“.
Vince la voce bassa e profonda
I partecipanti erano poi chiamati a prendere parte a delle finte elezioni e i risultati finali hanno mostrato come ci sia una preferenza, sia maschile sia femminile, a scegliere i candidati con una voce più bassa.
Tali risultati sono un’ulteriore dimostrazione del fatto che, spesso, sono caratteristiche apparentemente superficiali e giudizi immediati ad influenzare le decisioni dei votanti.
Fisionomia, altezza e sguardo: il peso dell’apparenza
Un’altra ricerca ha evidenziato che molti presidenti americani sono più alti della media.
Lo psicologo Alexander Todorov ha inoltre rilevato che tratti come una mandibola squadrata o uno sguardo intenso trasmettono competenza: in oltre due terzi dei casi, i soggetti hanno scelto candidati con tali caratteristiche.
Perfino l’ordine dei nomi sulla scheda elettorale può influenzare il voto, così come la familiarità del nome stesso.
Kamala Harris ha sofferto anche per la sua minore popolarità rispetto a Trump, figura ormai familiare per gran parte dell’elettorato.
Ma perché vincono fattori “superficiali”?
La risposta sta nei processi mentali euristici che ci portano a scegliere tramite “scorciatoie” piuttosto che analisi approfondite.
Noi umani, infatti, abbiamo bisogno di usare il nostro cervello efficientemente e lo facciamo, riducendo la quantità di sforzo che passiamo a valutare ogni interazione, decisione o attività.
Le euristiche – semplici regole proposte per spiegare come risolviamo problemi, diamo giudizi e prendiamo decisioni – ci aiutano a elaborare la mole di informazioni in cui ci imbattiamo ogni giorno.
Alla fine prendiamo decisioni non spuntando faticosamente una lista di pro e contro, ma valutando le informazioni, o gli stimoli, che ci risultano più facilmente disponibili.
Le tre “I” degli elettori: ignoranza, irrazionalità e incompetenza.
Secondo Daniel Oppenheimer, professore di psicologia e co-autore di Democracy Despite Itself, gli elettori sono caratterizzati da ignoranza, irrazionalità e incompetenza.
Raramente scegliamo i candidati in base a convinzioni profonde; al contrario, tendiamo a preferire quelli che ci piacciono, adattando poi le nostre idee per giustificare quella preferenza.
Questo non significa che i processi euristici siano sempre errati: essi rispondono infatti a un meccanismo evolutivo di semplificazione.
Tuttavia, a volte, come osserva Oppenheimer, queste scelte non portano ai migliori risultati.
L’immagine del candidato: strategia e percezione
I politici sanno bene quanto il giudizio degli elettori possa essere superficiale, ed è per questo che investono tanto nella costruzione della propria immagine. Anche coloro che sembrano spontanei o disordinati spesso curano attentamente il modo di apparire agli occhi del pubblico.
Di fronte a queste inclinazioni implicite, la sfida per noi è provare a riconoscere e analizzare consapevolmente tali aspetti, chiedendoci perché apprezziamo un candidato e con quali idee ci identifichiamo realmente.
L’America comunque ha deciso: la libertà dei cittadini americani ha optato per Trump che prevede “l’età dell’oro” della sua nazione.
La lezione importante di queste elezioni è il bisogno di una visione chiara e coerente che non si adatti per strategia alle circostanze, ma che sappia rispecchiare realmente i valori e le istanze dei cittadini.
Solo lavorando su questa coerenza e su una comunicazione più autentica e inclusiva, si potrà rispondere alle nuove sfide e, in futuro, proporre una leadership capace di mobilitare un consenso ampio e duraturo.
Ti può interessare anche>Marco Bucci e Andrea Orlando: la comunicazione politica tra social e realtà
TAG: #Trump, #donaldtrump, #usa, #elezioni, #kamalaharris, #partito democratico, #immagine, #comunicazione
Photo Credit: Trento Today, NBC News