Meccanismi della dimenticanza

Meccanismi della dimenticanza

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Imparare dalle proprie esperienze è funzionale a non ripetere i medesimi errori. Il ricordo infatti, si fissa nella nostra memoria per un atavico scopo, l’istinto di conservazione. Il mantenimento della “memoria genetica”, ereditata dalle generazioni precedenti, permette di vivere, riprodursi e trasmettere quelle stesse informazioni alle generazioni future. Il nostro DNA funziona come “archivio” e contiene, oltre alle istruzioni genetiche delle generazioni passate, e secondo alcune intuizioni non del tutto suffragate da prove scientifiche, anche i “ricordi” dei nostri antenati. In letteratura, il concetto di memoria genetica è stato molto sfruttato in molte opere recenti, quali il ciclo “Dune” di Frank Herbert, in cui c’è un neonato che viene al mondo trattenendo ricordi ed esperienze degli antenati contenute nel suo DNA.

Fare tesoro delle esperienze dei nostri antenati di cui restano tracce che riguardano l’epigenetica, la modificazione che riguarda il fenotipo senza alterare il genotipo, quelle alterazioni cioè per cui restano impresse nel DNA determinate esperienze passate, come ad esempio “l’intolleranza al glucosio” dei figli delle madri olandesi che hanno vissuto la carestia del 1944/45, segno di un rimanente “ricordo epigenetico”. Così come le verità acquisite e le conquiste civili che gli eventi del passato ci hanno insegnato, restano come imprinting nel carattere e aiuterebbero non poco ad evitare che nel presente e nell’immediato futuro, si verifichino quegli stessi meccanismi tragici che ci hanno condotti a derive, guerre e catastrofi, persecuzioni e sciagure.

Ci piacerebbe poter affermare che la celebre frase “Historia magistra vitae est” di ciceroniana memoria sia efficace e soprattutto vera. Purtroppo, ce lo ricorda anche Montale nei suoi versi “la storia non è magistra di niente che ci riguardi”. Ed Hegel stesso, i cui postulati si trovano ormai ovunque sul web e finanche nei cioccolatini, affermava convinto che “l’unica cosa che abbiamo imparato dalla storia è che l’uomo dalla storia non ha imparato nulla”. Gli inneschi delle guerre, le dinamiche di discriminazione, la corruzione, il malgoverno, sembra purtroppo che la storia passata sia una “lunga narrazione di dimenticanze”.

Ma perché si dimentica? Secondo gli scienziati, i ricordi vengono immagazzinati in insiemi di neuroni, chiamati “cellule engram” che rappresentano la memoria potenzialmente recuperabile. Queste cellule si dividono in accessibili, le quali vengono riattivate da segnali di richiamo naturale, o inaccessibili, che non vengono riattivate. L’oblio, ossia la dimenticanza, si ha quando le cellule engram non possono essere riattivate. È un po’ come aver conservato i ricordi in cassaforte e non ricordarne la combinazione. In molti casi, i tassi di dimenticanza rappresentano una forma di neuroplasticità che altera l’accessibilità delle cellule engram in funzione del contesto ambientale in cui si vive.

L’oblio non è una perdita di informazioni, ma come spiegato dal dott. Ryan, l’oblio è “un rimodellamento del circuito” che trasforma lo stato delle cellule engram da accessibili a inaccessibili. Il dimenticare è considerato una forma di apprendimento e mentre l’oblio naturale è reversibile, quello patologico, che si verifica nei pazienti malati di Alzheimer, non lo è, o lo è a fasi alterne. È dunque un meccanismo molto strano della nostra memoria umana e della stessa memoria storica, dimenticare, o considerare con ottimismo sciagurato che, sebbene nel medesimo modo si presentino gli eventi, i risultati saranno meno catastrofici, pur agendo nel medesimo scellerato modo e ponendo in essere le medesime strategie fallimentari.

Forse, al di là di ciò che suggerisce la scienza, per cui tendiamo a dimenticare gli eventi tragici “per non alienarci e continuare a vivere”, spesso dimenticare è una questione di opportunismo, anche politico o gestionale, ed essere vittime di tragiche dimenticanze è spesso una scusa, poiché si tende a mettere da parte ciò che è scomodo. La memoria sta alla dimenticanza come il pieno sta al vuoto. È anche vero che recenti studi affermano che ricordare senza selezionare i ricordi, in un eccesso di informazioni, ci si perde. Dimentichiamo per non condividere la fine di Funes, personaggio di Borges, dalla memoria incredibile che tutto ricorda senza filtrare nulla e che per questo, instupidisce. L’effetto dell’informazione totalizzante dei social, di internet stesso, interferisce con i meccanismi cerebrali e della memoria e può produrre non solo sul singolo, ma sulla collettività, uno stato demenziale. Nietzsche, filosofo del sentire non storico, sviluppa la teoria del “vivere senza ricordo”, dell’oblio sistematico, della dimenticanza. Molte culture tuttavia, al pari di molte scelte rivelatesi giuste, sopravvivono all’oblio, perché alcune nozioni restano “in latenza”, le soluzioni riaffiorano nella recuperabilità di ciò che abbiamo in parte creduto di dimenticare.

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