Ridere è una cosa seria e chiunque ricordi il capolavoro di Umberto Eco, “Il nome della Rosa”, sa bene che la furia omicida del monaco Jorge da Burgos è determinata dalla necessità di nascondere l’ultima copia del Secondo Libro della Poetica di Aristotele, incentrato “sulla Commedia e sul Riso”, appunto. L’inquietante custode della Biblioteca dell’Abbazia, in cui è ambientato il romanzo, deve “proteggere” gli altri monaci dalla curiosità riguardo al rivoluzionario libro in questione, che descrive la “potenza della risata”. Il riso è dissacrante, è critica, ironia, cancella la paura e scardina “lo stato delle cose” che non rimane ad esso indifferente, ma ne viene sconquassato, messo in discussione, alterato. Per questo, ridere o sorridere soltanto è la più potente delle strategie politiche e mostrare di sentirsi disturbati dal riso o dal sorriso dell’avversario è sinonimo di debolezza e timore.
Temere il sorriso o la risata fragorosa ha radici antiche e mostra i passaggi evolutivi della nostra specie umana accompagnati dall’introduzione di questa oscura pratica del sorriso ad oltranza, che transita dal “mostrare i denti” alla benevolenza, semplicemente grazie a un cambiamento culturale e di mentalità, che ha dovuto formarsi nei secoli, fino ad oggi. La storica francese Melchior-Bonnet ha argomentato nei suoi saggi come poeti, filosofi e medici abbiano per secoli stabilito come il riso non si addicesse a una donna. In particolare, dunque, se la risata è stata avversata come sinonimo di sovversione e vista male specie dai potenti, autoritari e dittatori, il sorriso o la risata di una donna soprattutto, sia stato “codificato” e regolamentato fino ad essere limitato, con garbo, a sparute e concesse occasioni non sociali e pubbliche. Come se ridere apertamente non fosse biologicamente, moralmente e socialmente accettabile per una donna.
La storia della risata femminile è ricca di aneddoti in cui ridere somiglia sempre più a un “atto politico” e pertanto malvisto e mal tollerato, oggetto di ironia o di attacco, proprio come in questi giorni abbiamo avuto occasione di leggere: Trump ha trovato la risata di Kamala Harris una espressione di follia, senza mezzi termini. Questo episodio la dice lunga sul fatto che ridere è ancora ritenuto “un atto da reprimere”, nascondere, tenere a bada, per non turbare i molti cultori di un femminile o meglio femminino, carico di grazia, virtù e modestia soltanto.
Ridere apertamente non è ancora considerato un comportamento “adeguato e opportuno” per una femmina, da riservare al privato, perché come aveva argutamente intuito il commediografo greco Aristofane, “la risata della donna è sovversiva”. Ridendo, le donne si “sottraggono” al proprio ruolo di sottoposte e mettono di fatto in pericolo una certa e data idea di virilità e potere maschile, e così ridendo ridendo, riescono anche ad aprirsi un varco, e a correre per la Casa Bianca. Molte donne continueranno a ridere apertamente dopo aver visto e seguito il cattivo esempio della risata incontenibile di Kamala Harris, già Kamala soltanto per molti, come coloro che sono destinati a scrivere pagine di storia. Quella sua risata è un indizio, un modo di essere, “un segno dei tempi”. La risata è destinata dunque ad essere sdoganata, ad uscire da nascondigli ed antri segreti e a diventare una bandiera.
Dalla Biblioteca dell’Abbazia descritta ne “Il Nome della Rosa” arriva quindi “un avvertimento”: ridere è la cosa più potente che si possa fare e l’unica che fa tremare i potenti, che “li mette a nudo”, come nel racconto “Il vestito nuovo dell’Imperatore”. Li ridimensiona. La curva del sorriso di Kamala avanza e spiega consensi su consensi. La sua risata trascina e il resto farà storia, che si aggiungerà alla coraggiosa lotta per i diritti delle donne e delle minoranze a tutto vantaggio della pratica sguaiata e libera della risata.