Esiste un sistema radicato di disvalori e pregiudizi che normalizza e minimizza la violenza sulle donne, anche quando essa si realizza in un femminicidio, e questo è un dato grave, che si raccoglie dalle narrazioni spesso tossiche dei fatti di cronaca da parte di certe testate, e che riguardano episodi cruenti ai danni delle donne, offese inoltre da troppe sentenze sessiste che dimezzano la pena degli aggressori, anche solo nel suo valore intrinseco e di deterrenza. Il problema è culturale.
Agli imputati si riconoscono attenuanti dovuti alla gelosia, al raptus, al comportamento disinibito della vittima, che avrebbe provocato la reazione violenta o di aggressione sessuale, fino all’utilizzo di sostanze e di una certa attitudine alla condotta “disinvolta” che non eviterebbe l’approccio, lo stupro. Si sa, il lupo è dietro l’angolo. Il non-consenso anche quando palese e immediatamente esplicitato, a prescindere dal blocco della paura o dello shock, non basta per arrivare alla condanna, perché può insinuarsi e perdersi nelle trame della vicenda giudiziaria, che individua nell’indugio una qualche forma di disponibilità, la creazione cioè delle condizioni della violenza ad opera della vittima. La presenza di convinzioni e stereotipi sessisti all’interno della Magistratura è argomento sul tavolo della Magistratura stessa. Spesso i giudici adottano schemi ed interpretazioni che penalizzano la donna e rendono palese l’inadeguatezza di certi figuri, soggetti che agiscono in Tribunale, in Procura, e prendono “in carico” fatti e testimonianze senza essersi formati a sradicare il pregiudizio che rende isolate le donne in un procedimento, che si concretizza in una reale discriminazione, e che si ravvisa per tutto l’iter, sia all’atto della denuncia, sia nel processo, sia quando purtroppo della donna non rimane altro che “una memoria da difendere” rispetto alla sorte processuale del suo assassino.
Giada Zanola è l’ennesima vittima di femminicidio e insieme, di queste dinamiche tossiche praticate simultaneamente da chi non si preoccupa di fornire una onesta e rispettosa narrazione dei fatti, ma soprattutto è l’ennessimo caso di donna uccisa da un uomo “ provocato dalle reazioni di lei, che hanno scatenato la furia omicida, quasi cagionato il delitto”, come nel caso ultimo in ordine di tempo, di Giada Zanola, a soli sei mesi dal femminicidio di Giulia Cecchettin, che è dunque l’ennesima dimostrazione che la cultura patriarcale uccide sistematicamente e si radica abitualmente anche tra gli scranni della Magistratura.
La Convenzione di Istanbul riconosce un diretto “nesso causale” tra violenza di genere e cultura maschilista radicata nella società, a livello globale il legame esiste, vi è una matrice tossica che va combattuta , donne e uomini, o non se ne esce vivi. La narrazione tossica dei fatti rispetto a certe testate o isolatamente ad un certo giornalismo, condisce e rivela un problema di sensibilità verso questi radicamenti, che sfociano in manifestazioni di forze e meccanismi sociali cruciali, per cui poi le donne sono vittime di inneschi mortali e reiterati maltrattamenti e processi mediatici e giudiziari anche quando sono soltanto le vittime del sistema. Le risposte inadeguate a questi delitti suscitano indignazione, ma solo quello purtroppo, non sortendo altri effetti per la normalizzazione e per lo sdoganamento e l’alleggerimento della percezione del danno alle donne.
Il problema della cultura sessista è che si riflette nel lavoro della Magistratura e di cui rimane traccia in certe sentenze passate al vaglio finanche della Corte Europea di Strasburgo, che ha condannato l’Italia per l’applicazione di stereotipi sessisti e vittimizzazione “secondaria” delle donne coinvolte in processi di stupro, stigma che non è bastato si nota, e che dovrebbe essere esteso alle evidenti violazioni dei diritti delle vittime di femminicidio, sia nel corso del processo che sui giornali, nel corso del “ processo mediatico” che non risparmia nessun colpo basso nell’attacco sistematico al corpo e alla dignità delle donne. C’è una violenza che si realizza in queste subdole insinuazioni che infliggono alle vittime una ulteriore umiliazione, una offesa alla memoria vilipesa.
Finché i centri antiviolenza rimarranno definanziati, l’educazione sentimentale non incentivata e praticata nelle scuole e non si favorirà la denuncia e le condizioni di sostegno economico e a supporto del percorso di donne vittime di violenza, e non si porrà fine alla narrazione tossica di certa stampa e pregiudizievole per la donna, altre donne nel frattempo saranno ammazzate e i loro assassini godranno dell’ inadeguatezza di certe sentenze giudiziarie che riflettono l’insufficienza della risposta dello Stato al reato di femminicidio e stupro, alle molestie e alle violenze di genere, al di là di pregevoli iniziative e al netto di volenterosi spot elettorali.