Il Secolo tra mortaio e pestello

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Un pestello, una famiglia in fuga, una città in crescita e un giornale risanato. Sono gli ingredienti – solo apparentemente sconnessi tra loro – di quello che sembra un giallo ma che in realtà è la vendita del giornale più conosciuto della Liguria (anche perché è l’ultimo rimasto): Il Secolo XIX.

Prima di entrare nel dettaglio dei citati e diversificati ingredienti, si deve giustamente partire dalla cronaca e dai fatti, soprattutto perché si parla di giornali e giornalismo.
E i fatti sono essenzialmente due. Il primo è inequivocabile:

i giornalisti del Secolo hanno fatto il loro primo sciopero da molto tempo per difendere la testata e perché l’attuale proprietà, il gruppo Gedi, non ha dato risposte e garanzie sulle voci di cessione del Secolo XIX.

Il secondo fatto è appunto una voce ma di una consistenza che la rende quanto mai reale: il gruppo Gedi ha messo in vendita il giornale e lo ha fatto con le stesse modalità con le quali ha già venduto il Tirreno e sei testate del Veneto. Ovvero senza dire niente a nessuno fino a quando non arriva il fatto compiuto. Sia in Veneto sia al Tirreno tutto ciò è avvenuto dopo che Gedi aveva smentito per mesi qualsiasi ipotesi di cessione. Quindi i giornalisti del Secolo che non son più furbi degli altri ma semplicemente leggono i giornali e imparano dalle esperienze altrui, hanno capito l’antifona: girano le voci, Gedi smentisce, ergo Gedi ci sta per vendere.

Passiamo ora agli ingredienti della strana macedonia informativa. Partendo da quello più misterioso: il pestello. Ebbene, non si tratta di un pestello normale ma di quello gigante che la Regione Liguria sta mandando in giro per l’Europa; ora sul Tamigi, ora sui campi da sci, ora a Sanremo e presto sulla Senna. Ebbene quel pestello è stato scelto dal presidente di Regione, Giovanni Toti, come esempio di marketing ligure a livello planetario.

Ma è stato quasi contemporaneamente sbertucciato dal Secolo XIX della nuova direttrice di Stefania Aloia. Una sorta di vilipendio cui Toti non era più abituato, visto che il precedente direttore, Ubaldeschi, era più totiano di Lilli Lauro. Da quel pestello è nata una guerra fatta di giornalismo e di colpi bassi. Con tagli di pubblicità (migliaia di euro della Regione ridistribuiti ad altre testate), eventi culturali affidati a media partner alternativi (come il super flop “Il tempo delle donne” con i giornalisti del Corriere della Sera senza spettatori al Teatro della Gioventù). Fino a quando, una volta saputo della cessione del Secolo XIX, Toti si è fregato le mani, ha incontrato la proprietà del Secolo e messo insieme due imprenditori del calibro di Aldo Spinelli e Maurizio Rossi, perché con così poco tempo a disposizione il convento non passava di meglio. Obiettivo? Comprare il Secolo, mandare a casa Aloia, tornare a fare pezzi dedicati alle meraviglie dei Pestelli giganti.
La famiglia in fuga, come potete immaginare, è quella di Elkann-Gedi-Stellantis. Vendono tutto, se ne vanno dall’Italia perché si sentono offesi e traditi da un Paese che non solo non ama i pestelli ma neppure gli eredi Agnelli (rima non voluta).
Il terzo e quarto ingrediente li raccontiamo insieme:

il Porto di Genova grazie a una serie di fattori sta crescendo e diventando anche centrale nel vorticoso giro di miliardi, tra opere pubbliche faraoniche, merci che arrivano e armatori di sempre più grosso calibro.

Quindi Genova torna a interessare chi ha le palanche. Avere il giornale della città, insomma, può fare gola a un bel po’ di imprenditori veri e non del calibro di quelli chiamati a raccolta da Toti. Il giornale risanato invece è una gran botta di fortuna (eufemismo) del futuro compratore: il Secolo ha tagliato alla grande tutti i dipendenti amministrativi e una bella metà di giornalisti. Tanto che ha anche dimezzato i locali della sede di Piccapietra. Insomma, rispetto a qualche anno fa i costi sono dimezzati, molto più di quanto sono diminuiti i ricavi. Comprarlo è molto più conveniente e se diventa anche utile a qualche big dell’imprenditoria e della finanzia o persino a qualche editore (in giro pare che ne esistano ancora) chissà che alla fine pestello gigante e famiglia in fuga non rimangano che un ricordo di tempi bui…ma non buonissimi.

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