Dopo 30 anni di latitanza, nella giornata di ieri, Matteo Messina Denaro è stato finalmente arrestato. Boss di Cosa nostra, implicato nella morte di Falcone e Borsellino e responsabile di decine di omicidi, compreso quello del piccolo Giuseppe di Matteo, era l’ultimo grande nome ancora in fuga dalla giustizia. L’arresto non è avvenuto in un covo isolato da qualche parte in campagna, ma per le strade di Mazara del Vallo, poco fuori la clinica in cui il boss si sottoponeva alla chemio.
Proprio la malattia – un tumore al colon – è stata fondamentale per rintracciare il latitante. Si parla infatti di un’indagine tradizionale, non basata su soffiate o pentiti, ma sul lavoro di centinaia di uomini delle forze dell’ordine.
La strategia è stata la medesima impiegata per Bernardo Provenzano. L’obbiettivo: disarticolare la rete dei favoreggiatori. “Una fetta della borghesia lo ha aiutato“, dice il procuratore De Lucia. Ma, grazie alle intercettazioni, i complici avrebbero commesso un grave errore. Avrebbero infatti fatto cenno alle condizioni di salute di Messina Denaro. Dunque, indagando sulle informazioni dei pazienti oncologici, è emerso un nome noto alle autorità: Andrea Bonafede, una vecchia conoscenza del boss.
In base ad alcune incongruenze ed irregolarità, gli investigatori hanno intuito che il capomafia stesse usando un nome falso, quello di Bonafede appunto. Quindi è stato possibile identificare Matteo Messina Denaro, poi arrestato mentre si dirigeva in clinica.
“Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa, cioè la raccolta di tantissimi dati informativi dei tanti reparti dei carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative”, ha dichiarato Teo Luzi, comandante dei carabinieri. “Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario. Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell’attacco allo Stato con le stragi. Risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato. Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di ricorse strumentali. Un risultato ottenuto grazie al lavoro anche delle altre forze di polizia, in particolare dalla polizia di Stato. La lotta a Cosa nostra prosegue. Il cerchio non si chiude. E’ un risultato che dà coraggio che ci dà nuovi stimoli ad andare avanti e ci dà metodo di lavoro per il futuro, la lotta alla criminalità organizzata è uno dei temi fondamentali di tutti gli stati”
Le condizioni di salute del boss non precludono il carcere.
Una malattia ha condotto la giustizia da Messina Denaro, ma la stessa malattia potrebbe allontanare Messina Denaro dalla giustizia. Essendo l’Italia un paese civile, se le condizioni di salute del boss dovessero essere troppo critiche, il carcere – tantomeno il carcere duro – non sarebbe un’opzione praticabile. Tuttavia non sembra essere questo il caso.
“Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere”, ha spiegato Paolo Guido, uno dei PM responsabili per l’arresto. “Era ben vestito, indossava capi di lusso. Ciò ci induce a dire che le sue condizioni economiche erano buone. Ovviamente sarà curato come ogni cittadino ha diritto essere curato””, ha concluso. Al momento della cattura indossava anche un orologio molto particolare del valore di 30-35mila euro.”
Come è possibile che Matteo Messina Denaro sia stato arrestato solo ora
Trent’anni di latitanza ed il boss riceveva cure mediche regolari senza che nessuno lo avesse mai riconosciuto o segnalato alle autorità. Qualcuno potrebbe sollevare più di un sospetto sulla complicità della clinica. Tuttavia è bene ricordare che il volto del latitante non era conosciuto, ad esclusione del suo ben noto strabismo. Inoltre “i documenti che esibiva erano in apparenza completamente regolari”, ha spiegato De Lucia.
Non è irragionevole, dunque, pensare che la clinica La Maddalena non sapesse nulla della vera identità del proprio paziente. “Era un nostro paziente da anni, non sapevamo chi fosse”, è la confessione anonima di una dottoressa. Nessuna dichiarazione ufficiale è stata rilasciata dai dirigenti della clinica.
“Allo stato non abbiamo elementi per parlare di complicità del personale della clinica” ha affermato De Lucia. “Ma le indagini sono comunque partite ora”.
Non vi è dubbio, comunque, che tanti anni di latitanza siano stati possibili solo grazie all’aiuto di un gran numero di complici, sui quali le indagini andranno avanti. Complici e omertà.